Non è un festival del libro. Non è un festival di musica. Non è un festival teatrale, e nemmeno di cinema. Non è solo scienza, e non è solo innovazione. Il Festival della Scienza e dell’Innovazione di Settimo Torinese, appena conclusosi, in realtà, non è niente di tutto questo. Semplicemente non è. Un non luogo. Un “non festival”. Nessuno lo ammette apertamente, ma tutti lo pensano.
Cos’è davvero il festival?
Una passerella. Una sfilata di VIP per pochi intimi, perché i posti finiscono ancora prima che si aprano le prenotazioni. Quest’anno è toccato a Benedetta Parodi, Luca Bizzarri e Pif. L’anno prossimo? Chi lo sa…
A spiegare il senso della manifestazione ci ha provato Dario Netto, il direttore organizzativo, ma nessuno lo ha capito. Delle due l’una: o non si è spiegato bene lui, o siamo tutti tordi… Boh.
L’unica cosa certa? Gli eventi sono pagati dagli sponsor, ma dietro ci sono un bel po’ di dipendenti della Fondazione, quindi del Comune. Tutti stipendiati (Netto compreso) dai cittadini. Questo, se non altro, è chiarissimo. E poco importa se di scienza non se ne vede traccia e l’innovazione è un concetto nebuloso. L’importante è che, per qualche giorno, Settimo finisca sotto i riflettori.
Poco importa se, negli eventi che tutti vorrebbero vedere e ascoltare da vicino, i posti finiscono prima ancora di essere messi a disposizione. Vuoi perché di locali adeguati non ce ne sono, vuoi perché le “autorità” sono tante. Poco importa. Il festival dell’innovazione è anche questo: il festival che c’è, ma non c’è per gran parte dei cittadini. Anche questa, a ben guardarla, è un’innovazione. E si badi bene, messa in pratica senza il bisogno di uno scienziato.
Ma c’è altro da dire. Perché il festival, quando è nato nel 2013, ai tempi del sindaco Aldo Corgiat (toh guarda, neanche questa è farina di Elena Piastra…), era tutta un’altra cosa. Basta leggere il programma. L’evento aveva una missione e un’anima. L’obiettivo dichiarato? Avvicinare il pubblico, soprattutto le nuove generazioni, alla scienza, con un programma ricco ma non eccessivamente ambizioso. L’iniziativa era sperimentale, ma fresca e genuina. I temi erano concreti e accessibili: si parlava di biotecnologie, fisica, chimica, robotica, con un occhio di riguardo per la divulgazione scientifica rivolta alle scuole. Buona la prima, e anche le successive edizioni, capaci di rispondere a una domanda culturale reale, senza fronzoli.
Oggi, non più. Nella sua dodicesima edizione, il tema delle Frontiere ha esplorato argomenti che spaziavano dalle nuove tecnologie all’intelligenza artificiale, fino a questioni sociali come il ruolo delle donne nel lavoro o la parità di genere. Se da un lato si potrebbe pensare a un naturale ampliamento degli orizzonti, dall’altro ci si è trovati di fronte a un festival che sembra essersi perso per strada.
E qui arriva la verità scomoda: per specializzarsi in qualcosa di effettivamente innovativo, ci sarebbero volute capacità che probabilmente Netto non ha. Mettere in piedi un carrozzone, invece, è semplice: basta chiamare qualche VIP e spendere tutto il budget. Fine della direzione. Di fronte a un “non festival”, la vera innovazione è stata creare un evento che esiste e non esiste allo stesso tempo.
Insomma, un non luogo, un “non festival” cucito addosso perfettamente a una città che non è città e nemmeno paese. E a una sindaca che fa tutto, tranne che la sindaca.
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