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Di Tanno: “Ai giovani vorrei dire che l’auto è simbolo di libertà” – #finsubito prestito personale immediato – Richiedi informazioni


Il primo è stato un anziano cliente di 82 anni: «Un signore che ha comperato una Panda rossa». Come l’ha convinto? «Ero diventato abbastanza bravo già da molto giovane, quando aiutavo i miei che gestivano una pompa di benzina e vendevano auto usate».

Così, in mezzo alle automobili fin da bambino, è iniziata la fortuna di Alberto Di Tanno, 60 anni, oggi alla guida della più grande rete di concessionari italiani: «Vendiamo 60.000 auto all’anno, metà nuove e metà usate». Un acquisto ogni tre minuti: risultato notevole in un periodo di crisi del mercato delle quattro ruote.

Per una rete di concessionari non è facile fare fortuna nell’epoca della mobilità alternativa, quando il trasporto pubblico, nonostante le inefficienze, è comunque più diffuso di un tempo, quando da Torino a Roma un Frecciarossa impiega quattro ore e mezza mentre un’automobile ce ne mette sette.

«Soprattutto – aggiunge Di Tanno – sulle nuove generazioni l’auto non ha l’appeal di una volta. Quando eravamo giovani noi, aspettavi di compiere diciotto anni e il giorno successivo eri a iscriverti a scuola guida. Oggi per i ragazzi non è così. Quelli che vivono nelle grandi città del mondo non ci pensano proprio a prendere la patente, almeno nei primi anni di gioventù».

E allora che cosa spinge a comperare l’auto? Per quale motivo ogni tre minuti nella rete di Intergea, la società di concessionari che fa capo al signor Alberto, avviene un passaggio di proprietà? «Perché, nonostante tutti i cambiamenti, l’auto è ancora sinonimo di libertà. La prendo quando mi serve, vado dove voglio, non sono vincolato ad orari. Queste sono possibilità che le persone continuano ad apprezzare, anche nell’epoca della mobilità alternativa».

Chi fa il suo mestiere non gode sempre di buona fama. Tanto che l’affidabilità di chi ti propone l’auto, soprattutto se usata, è messa in discussione anche dai proverbi. Sa come si dice? Comprerebbe un’auto usata da tizio o caio? «Lo so che questo si dice. Guardi, siccome conosco la fama, io sono stato il primo in Italia a certificare i chilometri».

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Con tutto il rispetto, bisogna fidarsi… «Anche io mi devo fidare. La certificazione la fa chi mi vende l’automobile. È una questione di responsabilità: se i chilometri dichiarati sono meno di quelli effettivamente percorsi è il venditore che ne risponde, anche penalmente. Ma, le garantisco, non succede mai. È lo stesso sistema dell’autocertificazione che fa da deterrente».

Tutto comincia a Madonna di Campagna, periferia nord di Torino: «La mia famiglia gestiva un distributore di benzina. Io davo una mano. Parallelamente avevamo anche un’officina e vendevamo auto usate». Capitava nella Torino dei Settanta e Ottanta, quando l’automobile aveva ancora il fascino di status symbol, prima che le crisi energetiche e il taglio di 20.000 posti a Mirafiori con la cassa integrazione facessero vedere l’automobile sotto una luce diversa. Ma è sempre intorno all’azienda torinese che si sviluppa l’attività iniziale di Di Tanno: «Alla Fiat devo tutto. Non solo perché è il principale gruppo che abbiamo nei nostri saloni ma anche per l’esempio che manager come Sergio Marchionne hanno saputo dare a tutti noi dell’automotive. Era una persona speciale che aveva un passo in più, era veloce nel pensiero e nell’azione». Lo ha conosciuto? «L’ho incontrato in due occasioni, alle cene dei concessionari. Non posso dire di averlo conosciuto. Ma l’ho ammirato, questo sì».

A 16 anni il giovane Alberto aiuta il fratello a vendere una Fiat 600: «Non è stata la mia prima vendita, quella arriverà il 1 aprile del 1993 con la Panda rossa nel primo concessionario che ho aperto. Ma è stato un inizio anche quello: una 600 azzurra».

Prove tecniche di vendita. Oggi la sua organizzazione ha 169 punti vendita in sette regioni italiane, prevalentemente nel Nord. Com’è arrivato a costruire tutto questo, partendo da zero e arrivando a quasi due miliardi di euro di fatturato? Come si fa? Come si convince una persona a impegnare decine di migliaia di euro per acquistare un’auto? Ci racconti la sua tecnica, i suoi segreti. «Diciamo che da tempo non sono più operativo.

Mi occupo di analisi di bilancio e di controllo di gestione delle 32 società del gruppo. Su questo sono concentrato come presidente della holding». Certo ma la vendita è come la bicicletta: se si impara ad andarci non si dimentica più: «Si fa presto a dire vendere un’auto. Intanto le tecniche cambiano. La regola generale è che circa metà degli acquirenti di automobili esce dal concessionario con un’auto diversa da quella che voleva acquistare entrando».

Questo capita perché voi siete furbissimi e orientate le scelte dove vi conviene: «Questo capita soprattutto perché parlando con il venditore l’acquirente scopre di avere esigenze in parte diverse da quelle che riteneva di avere. A proposito questo spiega bene perché le vendite di auto su internet non hanno avuto il successo che si immaginava».

Perché? «Perché l’auto è un business, è uno strumento che certamente risolve il problema della mobilità ma è anche passione, emozione. Queste sono cose che con un computer non si possono discutere».

C’è un segreto per vendere un’auto ogni tre minuti? «La tecnica di vendita dell’auto usata è radicalmente diversa da quella dell’auto nuova. Prezzo e utilizzo sono decisivi per un cliente che vuole portarsi a casa un veicolo di seconda mano. Nel nuovo è molto più importante il brand e anche il battage pubblicitario che si porta dietro. L’auto nuova, se non è una piccola utilitaria, è ancora, spesso, uno status symbol».

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Il metodo di Alberto è basato sulla sua passione per la statistica: «Tutto è misurabile, anche la resa del lavoro». Certo, sulle linee di montaggio è relativamente facile misurare l’efficienza in base al numero di pezzi che ogni addetto produce. Ma negli uffici amministrativi? «Misuriamo l’efficienza anche tra le scrivanie. Lo facciamo paragonando la produzione tra gruppi omogenei che svolgono compiti simili in concessionarie e strutture diverse».

Un mondo, quello dell’automobile, che tra pochi anni sarà comunque cambiato in modo radicale. Come si prepara il più grande gruppo di concessionari italiano alla sfida? La risposta è stupefacente: «Aumentando il numero di saloni che aderiscono a Intergea». Ma come? Le aziende riducono la produzione e lei aumenta la rete di vendita? «È nei periodi di crisi che bisogna espandersi». Il gruppo sta per vendere ai francesi di Axa il suo ramo assicurativo, Nobis, che oggi vale un po’ meno di mezzo miliardo di euro: «Siamo stati tra i primi a creare un sistema assicurativo direttamente legato al commercio delle auto. Ora i francesi si sono interessati al nostro metodo perché vogliono applicarlo anche da loro». Alberto indossa un paio di occhiali verdi. In tutte le foto li esibisce con orgoglio. Un vezzo? «No, il colore sociale della nostra assicurazione. Quegli occhiali li indosso per orgoglio sì, ma aziendale».

Allargare ulteriormente la rete di vendita. Ma come prepararsi alla rivoluzione elettrica? Alberto si avvicina alla finestra degli uffici di Borgaro che guarda la statale che va verso Torino: «Rivoluzione elettrica? Forse un giorno ci sarà ma per il momento, soprattutto in Italia, si avverte poco. Quando guardo qui sulla strada di auto elettriche ne vedo passare ben poche. Del resto torniamo ai dati, alle statistiche. Ogni anno solo il 3-4 per cento delle auto vendute in Italia è totalmente elettrico. Sul parco circolante rappresentano meno dell’1 per cento. Per ora quella elettrica è soprattutto una seconda macchina da città».

Ancor più futuristica appare oggi la rivoluzione delle auto senza guidatore che hanno subìto un contraccolpo nei piani di sviluppo dalle diffidenze legate alla pandemia e ai rischi rappresentati da un’auto condivisa.

Ma il Cavaliere della Repubblica Di Tanno non si abbandona al pessimismo: «Ho fiducia che le quattro ruote si evolveranno ma non scompariranno». Forse per questo uno dei suoi tre figli, Luca, ha intrapreso la carriera in azienda e oggi è amministratore delegato. Diciamolo, facile per il figlio del titolare… «Lei dice? Non è così. Io penso che si debba essere inflessibili con tutti, soprattutto se sono i tuoi figli».

E dunque? «E dunque ha cominciato in incognito facendo il lavaggista. Lavava le auto da consegnare ai clienti. Insomma, la gavetta. I veri capi sono quelli che partono dal basso. Perché conoscono tutto il processo della produzione. E sanno identificarsi con i loro collaboratori».

Il tempo è tiranno: «Sì adesso devo andare. Ho la partita di calcio, la mia vera passione fuori dal lavoro». Maglia sociale rigorosamente verde, come i colori aziendali e quelli degli occhiali: «Gioco mezzala. Finché avrò fiato di correre. Ho partecipato anche alla Partita del Cuore».



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