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Dimon (JPMorgan) & Wall Street guardano a scontro Trump-Harris #finsubito prestito immediato


A poco meno di un mese dalle elezioni negli Stati Uniti, il numero uno di JPMorgan, Jamie Dimon, si mantiene equidistante da entrambi i candidati alla presidenza, Donald Trump e Kamala Harris, non escludendo tuttavia un potenziale endorsement o qualcosa che gli somigli molto.

“Deciderò e voterò”, ha detto il CEO della più grande banca degli Stati Uniti in un’intervista a Bloomberg Television. “Mi riservo il diritto di fare come voglio. Sono un cittadino. Posso votare. Posso dire ciò che voglio. Non ho mai avuto l’abitudine di appoggiare dei candidati ma sto pensando attentamente a quello che voglio dire o fare, o qualcosa del genere”.

Dimon si terrebbe in contatto ogni settimana con membri di alto livello sia dello staff di Donald Trump che di quello di Kamala Harris, secondo quanto scrive Bloomberg, citando persone informate su quelle conversazioni. Nell’arco del suo presidio alla guida di JPMorgan, iniziato nel 2006, Dimon è diventato uno dei mostri sacri di Wall Street e a 68 anni la sua influenza e carisma hanno pochi eguali. È chiaro che il suo appoggio rappresenterebbe un sigillo di approvazione indiscutibile sulle politiche economiche dei candidati e una spinta forse decisiva in una corsa incerta come non mai.

Rapporto Dimon-Trump altalenante, parole positive a inizio anno

Il feeling tra Dimon e Trump è stato negli anni altalenante, soprattutto per le tendenze da “showman” dell’ex presidente americano, le cui politiche pro business e pro crescita rientrano tuttavia nella sensibilità del banchiere. Parlando ai microfoni di Cnbc a margine dell’annuale meeting del World Economic Forum di Davos lo scorso gennaio, Dimon ebbe parole di rivalutazione se non proprio di elogio per l’operato di Trump alla presidenza. “Fate un passo indietro e siate onesti”, disse il banchiere, Trump “ha fatto crescere l’economia molto bene. La riforma della ‘trade tax’ ha funzionato. Ha avuto ragione in alcune cose per quanto riguarda la Cina”, e in aggiunta “aveva abbastanza ragione sulla NATO e sull’immigrazione”.

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Venerdì scorso tuttavia sul profilo Truth Social di Trump è apparso un post in cui si dava per certo l’endorsement di Dimon, il cui staff ha prontamente smentito.

Nel 2016 il neo-eletto Trump lo avrebbe corteggiato per un posto da ministro nel suo governo ma la cosa non andò a buon fine. Un paio d’anni dopo il presidente scrisse un ambiguo post su X (allora Twitter) in cui definiva Dimon “un pessimo oratore pubblico” e “un pasticcione nervoso”, ma al di là di quello “eccezionale”.

Infine, proprio quest’estate Trump aveva ventilato l’ipotesi, ritrattandola poco dopo, di Jamie Dimon come ministro del Tesoro in una sua eventuale amministrazione.

Harris apprezzata per le politiche sociali

Ultimamente le simpatie di Dimon sembrano indirizzarsi verso Kamala Harris, e non solo perché la signora Dimon, Judy, ha esplicitamente appoggiato la candidata dei Democratici, facendo anche una donazione di 250 mila dollari.

Dimon ha sostenuto alcune delle priorità di Harris, in particolare l’aumento dei crediti fiscali per le famiglie dal reddito più modesto, definendolo un “no brainer”, una ovvietà. Il banchiere si è anche detto favorevole in linea di principio all’aumento delle tasse per gli americani più ricchi, in modo che non abbiano una pressione fiscale effettiva inferiore a quella della classe media, la cosiddetta “Buffett Rule”, proposta per la prima volta dal governo Obama nel 2012.

Dimon vicino alla pensione, possibile ruolo come ministro?

Fin dai tempi dell’amministrazione Obama si è parlato di un ruolo politico attivo per Dimon, verosimilmente come ministro del Tesoro. Ora che il banchiere pare essere prossimo alla pensione la prospettiva di un suo coinvolgimento appare sempre più realistica. Un suo incarico sarebbe possibile sia in un governo Trump che in un governo Harris e in quest’ottica un suo endorsement sarebbe quindi da escludere.

Fatto sta che quest’anno Dimon ha parlato spesso di politica e di come vorrebbe le cose si indirizzassero per il suo paese. “Voglio aiutare il governo a fare le cose giuste”, ha detto ancora nell’intervista a Bloomberg e prendendo come modello la “leadership che unisce” del presidente Dwight Eisenhower. Concetto che aveva già espresso in un suo editoriale pubblicato dal Wall Street Journal in agosto, scrivendo che “se vogliamo davvero unire il paese dobbiamo cominciare a trattare le vedute, le lamentele e le critiche dell’opposizione come opportunità per trovare un terreno comune e migliorare”.

Wall Street preferisce (di poco) i repubblicani

Complessivamente il settore finanziario appare aver donato generosamente sia ai Democratici che ai Repubblicani in questo ciclo, con questi ultimi in leggero vantaggio. Secondo dati rilevati alla fine di settembre da OpenSecrets, gruppo no profit che traccia i flussi di denaro nella politica statunitense, dalla finanza sarebbero andati negli ultimi due anni 247 milioni di dollari verso i candidati repubblicani, contro 227 milioni verso quelli democratici.

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I fan di Trump e Harris fra i big della finanza

Molti pezzi grossi di Wall Street hanno già preso posizione. Sia il CEO di Lazard, Peter Orszag che il direttore generale della stessa banca d’affari Ray McGuire hanno espresso pubblicamente il loro sostengo a Harris, come riportato da Reuters. Il caso di Orszag tuttavia non sorprende troppo, essendo stato membro di alto livello nelle amministrazioni Clinton e Obama.

Trump dal canto suo può annoverare Stephen Schwarzman, CEO del colosso del private equity Blackstone, che in marzo ha annunciato il suo sostegno all’ex presidente, vedendolo più affidabile su temi di economia, immigrazione e politica estera. Dalla parte di Trump anche Scott Bessent, CEO dell’hedge-fund Key Square Capital Management, che fa anche da consulente non ufficiale per la sua campagna.

Anche Bill Ackman, il miliardario CEO di Pershing Square Capital, molto attivo sui social, si è espresso pubblicamente a favore di Trump dopo il tentativo di omicidio dell’ex presidente al comizio di Butler, in Pennsylvania.



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