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Pensioni 2025 l’editoriale: dietrofront del Governo sulle uscite anticipate? #finsubito prestito immediato



Dalla pubblicazione nei giorni scorsi del Piano Strutturale di Bilancio di Medio Termine 2025-2029 approvato dal Consiglio dei Ministri e già inviato all’UE emerge un quadro che, per quanto riguarda la previdenza, è completamente diverso rispetto a tutte le dichiarazioni fatte in questi ultimi mesi dagli esponenti del Governo.

Riforma Pensioni 2025, non ci sarà nulla per le uscite anticipate

Non ci sarà alcuna riforma strutturale della previdenza e soprattutto non ci sarà quella flessibilità in uscita anticipata che da anni viene richiesta e che la Lega con Salvini e Durigon ha sempre affermato di voler attuare. Niente “Quota 41” per tutti indipendentemente dall’età anagrafica, il cui costo sarebbe di circa quattro miliardi l’anno e niente nemmeno per “Quota 41 light” che Durigon ha rilanciato quest’estate con il conteggio totalmente contributivo di per sé molto penalizzante perché avrebbe obbligato a percepire un assegno previdenziale con decurtazione del 15/20% per sempre. Il costo di questa misura che in ogni caso avrebbe avuto poco appeal sarebbe stato di circa un miliardo ma, evidentemente, comunque troppo alto per le pochissime risorse messe sul piatto della previdenza.

Al momento dei tre istituti in scadenza al 31 dicembre quello certo di riconferma è sicuramente l’Ape Sociale con taluni dubbi per il rinnovo per un altro anno di Opzione Donna e Quota 103. Nonostante Opzione Donna e Quota 103 siano costati quest’anno molto meno di quanto preventivato perché pochissime persone vi hanno potuto accedere a causa di requisiti troppo restrittivi la loro riconferma sarebbe in forse, anche se, credo, che alla fine saranno comunque riconfermati da parte di un Esecutivo che rischierebbe di perdere la faccia su una questione quella dell’anticipo pensionistico su cui avevano puntato molto in campagna elettorale.

Pensioni anticipate 2025: cosa ci sarà nella manovra?

Ma al di là di questi piccoli interventi di maquillage sembra proprio che di flessibilità in uscita anticipata non se ne parli ma addirittura si parli di flessibilità posticipata. Non è una novità che l’Europa da sempre punti il dito sulle pensioni in Italia intimando di contenere i costi troppo elevati ma, probabilmente, se tali saranno le scelte del Governo stiamo andando oltre a quella che è una necessita vista la reale situazione della previdenza in Italia. Celebrare la Legge Fornero come baluardo ai costi esagerati delle pensioni e ipotizzare di ritardare l’uscita dal mondo del lavoro oltre i 67 anni mediante bonus fino ad arrivare fino a 70 anni mi sembra paradossale. Se si volesse consentire tale uscita volontaria oltre l’età ordinamentale di pensionamento dovrebbe essere permesso altresì, a chi lo desidera, di poter uscire prima dal mondo del lavoro accettando lievi penalizzazioni annue. Mi sembra invece che si stia ragionando solo in un verso con addirittura ipotetici aumenti delle finestre d’uscita per chi uscisse con la pensione anticipata fissata a 42 anni e 10 mesi per gli uomini e a 41 anni e 10 mesi per le donne. Se poi consideriamo che dal 2025 riprenderà a correre l’aumento dell’aspettativa di vita che aumenterà ulteriormente i requisiti per il pensionamento mi sembra che ci sia la volontà di mantenere nel futuro solamente l’Ape Sociale a salvaguardia di categorie svantaggiate e al tempo stesso si cerchi di comprimere sempre più la pensione anticipata. Il tutto per aumentare velocemente l’età effettiva di uscita che nel 2023 è stata di 64,2 anni come fatto notare nel XXIII rapporto INPS dove veniva anche rilevato che la spesa per le pensioni in Italia è aumentata fino a 347 miliardi e che “lo scenario demografico attuale, caratterizzato dall’aumento dell’età media della popolazione, dal calo della fecondità e dalla riduzione della popolazione in età lavorativa, non compensati dall’immigrazione, sta determinando un peggioramento del rapporto tra pensionati e contribuenti”.

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Nulla è previsto, invece, per la pensione di garanza per i giovani e per intervenire sulla tassazione delle pensioni che essendo attualmente equiparate integralmente al reddito dei lavoratori in attività e non godendo di una tassazione privilegiata sono in Italia tra le più alte in Europa.

In questo quadro per nulla edificante l’unica nota positiva riguarda il tasso di inflazione che sta scendendo molto velocemente e che nel 2024 dovrebbe assestarsi sull’1,5%. Questo dato dovrebbe finalmente consentire al Governo di perequare tutte le pensioni al 100% dell’inflazione e non soltanto quelle fino a quattro volte il trattamento minimo (circa 1.750 euro netti mensili) cosa che ha determinato dubbi di costituzionalità su cui la Consulta si esprimerà nei prossimi mesi.




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