diDafne Roat
La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso del patron della Tim srl Michele Albertini, uno dei proprietari delle aree inquinate dell’ex Sloi e Carbochimica
Le aree inquinate a Trento nord restano sotto sequestro. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso del patron della Tim srl Michele Albertini, uno dei proprietari delle aree inquinate dell’ex Sloi e Carbochimica di Trento nord. L’imprenditore trentino, assistito dagli avvocati Giuliano Valer e Guido Aldo Carlo Camera, aveva impugnato il sequestro probatorio dei due Sin (siti di interesse nazionale) chiesto e ottenuto dal pm Davide Ognibene e Alessandro Clemente che indagano per inquinamento ambientale.
Il sequestro dei siti
Ancora non si conoscono le motivazioni della decisione dei giudici supremi che hanno confermato la legittimità del provvedimento, ma il collegio, presieduto dal giudice Luca Ramacci, attuale presidente di Sezione presso la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione, e grande esperto in materia ambientale, ha evidentemente condiviso il ragionamento dei pm trentini che ha portato al sequestro dei siti. La stessa Procura generale, giovedì nel corso della discussione in aula, aveva chiesto la conferma del sequestro in ragione di un reato, ossia l’inquinamento ambientale, ritenuto «permanente». Secondo la difesa, invece, il sequestro dei siti non era necessario visto che gli investigatori avrebbero comunque potuto accedere alle due aree per effettuare i rilievi delle sostanze inquinanti. Campionamenti che sono tuttora in corso da parte dei tecnici di Appa e dei carabinieri del Noe, incaricati dalla Procura di Trento.
Il piombo tetraetile
A preoccupare è soprattutto il piombo tetraetile che ha permeato i terreni e può contaminare anche le acque sotterrane dell’area a valle di proprietà della società Sequenza, tanto che a fine agosto il Comune di Trento ha adottato un’ordinanza con la quale ha intimato alle società Tim, Imt, Mit, Nilupa, Vem e Albatro, proprietarie dell’area ex Sloi di Trento di intervenire per evitare la contaminazione del compendio da 2,8 ettari dove il gruppo Podini vorrebbe realizzare un quartiere da cento milioni con sei torri. È chiaro che non sono i titolari delle sei società, che nel ‘95 avevano acquistato i terreni dell’ex sito industriale, i responsabili dell’inquinamento, ma è la Sloi, società però estinta e quindi cancellata dal registro delle imprese di Roma. Il problema è che il proprietario del terreno, anche se non è il responsabile, è tenuto a mettere in atto le necessarie misure di prevenzione. Ma gli imprenditori ritengono di non essere loro a dover intervenire e in particolare Albertini ha sempre lottato per risolvere la situazione di stallo dell’area causata dall’inquinamento, un anno fa aveva rilanciato l’idea di un progetto congiunto «ispirato a principi di sostenibilità, innovazione e riequilibrio delle funzioni presenti in zona», ma si era dovuto scontrare contro l’intervento della Procura che solo un mese dopo, a dicembre 2023, aveva ordinato il sequestro probatorio dei terreni dell’ex Sloi e ex Carbochimica. Provvedimento confermato dal Tribunale del Riesame che, però aveva indicato un reato diverso da quello ipotizzato dalla Procura, che ha aperto un’inchiesta per inquinamento ambientale (come previsto dall’articolo 452 bis del codice penale).
I cinque proprietari
Il Riesame aveva evidenziato una violazione dell’articolo 257 del Codice dell’ambiente. La sostanza cambia poco e ora la conferma del sequestro arriva anche dalla Corte Suprema. Secondo la ricostruzione della Procura, confermata dagli approfondimenti investigativi dei carabinieri del Noe di Trento e dei tecnici di Appa, i cinque proprietari delle due aree non avrebbero ottemperato all’ordine del ministero dell’Ambiente del 2020 di effettuare ulteriori analisi e interventi finalizzati a verificare la propagazione dell’inquinamento. Da allora, ad avviso dei magistrati, non sarebbe stato fatto nulla e questa presunta inerzia avrebbe contribuito a causare la fuoriuscita di idrocarburi e oli dalle aree, rilevata nel cantiere allestito per la realizzazione del bypass ferroviario. Ma l’attenzione è puntata soprattutto sulle 180 tonnellate di piombo tetraetile che hanno permeato il terreno. Nei giorni scorsi si è tenuto un vertice in Procura tra il procuratore Sandro Raimondi, i due pm Alessandro Clemente e Davide Ognibene, il sindaco Franco Ianeselli, il prefetto, il direttore generale della Provincia Raffaele De Col, l’Appa, i carabinieri del Noe di Trento, funzionari della Provincia e del Comune e il ministero. In questa sede è stato deciso e istituito un tavolo tecnico di lavoro permanente sulle aree inquinate a Trento nord, che coinvolge anche Ispra, volto a studiare le strategie per la verifica dello stato di inquinamento dei terreni (già in corso) e per un’eventuale bonifica ambientale. Al lavoro c’è anche l’ingegnere Luca Proietti, direttore della Direzione generale economia circolare e bonifiche del ministero dell’Ambiente della Sicurezza Energetica.
Bypass ferroviario
La Procura è determinata a trovare una soluzione per garantire in primis la salute dei cittadini e degli abitanti che vivono nelle zone limitrofe ai due Sin e di tutti gli operatori che lavorano alla realizzazione del bypass ferroviario, cercando una via anche per scongiurare ulteriori contaminazioni dei terreni. L’esproprio sembra l’unica strada percorribile, il ministero potrebbe decidere di avocare a sé l’area, ma potrebbero farlo anche il Comune e la Provincia. I titolari delle aree Paolo e Stefano Tosolini della Mit srl, Sergio e Adriano Dalle Nogare della Imt srl e Albertini hanno visioni differenti e pertanto potrebbe non essere così semplice trovare un’intesa. Poi resta il nodo dei costi, bonificare è un impegno decisamente oneroso.
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