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Zes unica? Non basta: al Sud servono infrastrutture #finsubito prestito immediato


L’assenza del presidente del Consiglio alla Fiera del Levante dimostra che il Mezzogiorno non è mai stato una priorità per questo governo. La questione meridionale è stata risolta una volta per tutte con il varo della Zes unica che, nelle intenzioni piuttosto ottimistiche, dovrebbe garantire, da sola, per il semplice fatto di essere stata istituita, investimenti e rilancio produttivo e occupazionale, attutendo in teoria gli effetti negativi dell’autonomia differenziata.

Il resto è parte assistenza ridotta al minimo e parte economia lasciata alla illegalità (come a dire: arrangiatevi!). Una parte della stampa, anche meridionale come “Il Mattino”, enfatizza i recenti successi dell’economia meridionale (misurati dalle esportazioni in crescita), diffondendo un certo ottimismo sul futuro del Sud. In questo clima poche sono le voci critiche che ancora tentano di evidenziare i problemi strutturali del Mezzogiorno, neppure minimamente affrontati dal governo.

Tra queste è senz’altro degno di nota il recente intervento del governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, a Catania, nell’ambito dell’iniziativa “In viaggio con la Banca d’Italia”. Un divario «ampio e persistente» che riguarda un’area tanto estesa, rappresenta «un primato negativo tra le economie avanzate» e frena la crescita del Paese.

In termini di Pil pro capite le regioni meridionali rappresentano poco più della metà del Pil pro capite delle regioni settentrionali. Se il Pil pro capite del Mezzogiorno – osserva Panetta – aumentasse fino al 75% di quello del Centro-Nord, il reddito pro capite dell’Italia, supererebbe quello della Francia. La crescita del Paese, quindi, non può essere un obiettivo realistico se non cresce il Mezzogiorno. La debolezza dell’economia meridionale riguarda «le componenti basilari dell’assetto produttivo e istituzionale».

Occorrono interventi strutturali, non misure contingenti. Il richiamo all’esperienza dell’intervento straordinario è obbligato: «La convergenza ha registrato forti progressi negli anni Cinquanta e Sessanta, quando gli interventi hanno privilegiato la costruzione di infrastrutture e di grandi impianti industriali a partecipazione pubblica. In quella fase il Pil pro capite del Mezzogiorno in rapporto a quello del Centro-Nord è aumentato dal 50 % alla fine degli anni cinquanta al 60 nei primi anni Settanta».

Il processo di convergenza si è interrotto, secondo Panetta, per la crisi dell’industria pesante e per la politica di assistenzialismo che ne è derivata. In altre parole, la politica più adatta per il Mezzogiorno deve fondarsi, come l’esperienza storica dimostra, su interventi consistenti diretti a modificare l’assetto produttivo e infrastrutturale. «Durante la fase dell’intervento straordinario – sottolinea il governatore – sono state destinate al Sud risorse finanziarie cospicue, che in alcuni anni sono arrivate al 2% del Pil nazionale».

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La crescita recente è dovuta «a fattori temporanei, legati alla risposta fornita agli shock globali dalle autorità nazionali ed europee», che senz’altro rivelano un possibile miglioramento della capacità competitiva dell’economia meridionale, ma sono ancora insufficienti per colmare i «profondi divari meridionali», e «non giustificano eccessi di ottimismo. Il riassorbimento di divari territoriali così radicati richiede perseveranza e lungimiranza. Richiede inoltre un intervento articolato su numerosissimi fronti, indirizzato da una chiara visione strategica e ispirato a principi etici».

In prospettiva il Mezzogiorno può trovare un vantaggio competitivo per la sua collocazione in area di stabilità geopolitica e per la sua posizione geografica nel Mediterraneo (attraverso cui transita un quinto del traffico marittimo internazionale) e quindi può attirare investimenti di imprese straniere che intendono delocalizzare gli impianti in aree sicure e per le imprese nazionali che vogliono mantenere al riparo, entro i confini nazionali, le catene produttive strategiche, e che la Zes potrebbe favorire se coerentemente inserita in interventi strutturali. Gli 82 miliardi messi a disposizione dal Pnrr devono dunque essere destinate a interventi infrastrutturali in grado di accrescere la capacità produttiva (contrasto alla crisi idrica, potenziamento rete elettrica, miglioramento del sistema di trasporti e deo collegamenti interni).

L’attuazione del Pnrr per risolvere i problemi strutturali deve privilegiare l’efficienza e non la rapidità di esecuzione (allo stato attuale 42% dei 114 miliardi per cui è possibile calcolare una ripartizione su base territoriale è stato assegnato al Mezzogiorno). Un monito rafforzato anche dalla chiusura del suo intervento in cui, citando Donato Menichella, governatore della Banca d’Italia negli anni Cinquanta e tra i padri dell’intervento straordinario, sottolinea che «nessun strumento, per quanto ben concepito, può dare risultati utili se non è affidato a mani sapienti ed a coscienze rette».





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