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Il taglio del cuneo fiscale sarà confermato e possibilmente reso definitivo con la legge di Bilancio per il 2025. Esso si traduce in una riduzione del 7% per i contributi Inps sui redditi lordi annuali dei lavoratori dipendenti del settore privato fino 25.000 euro e del 6% fino a 35.000 euro. Servono le coperture finanziarie, perché all’ente previdenziale quei circa 10 miliardi che ogni anno vengono a mancare servono sia per pagare le pensioni, sia per il calcolo dell’assegno futuro degli attuali beneficiari.

Contributi Inps e solidarietà tra generazioni

Il nostro sistema funziona “a ripartizione”: i contributi versati all’Inps da chi oggi lavora pagano le pensioni, sempre di oggi.

Quando i lavoratori andranno in pensione, a loro volta riceveranno l’assegno grazie ai pagamenti effettuati da chi in quel momento si troverà ancora al lavoro. E’ la famosa “solidarietà intergenerazionale” di cui sentiamo spesso parlare senza averne piena comprensione.

Demografia minacciano pensioni

Questo meccanismo si rivela un po’ ambiguo. Da un lato i contributi Inps alimentano il gettito per pagare le pensioni subito, dall’altro servono per il calcolo del proprio assegno. Con l’introduzione del metodo contributivo si è dato vita a una confusione mentale. Si sta sempre più andando verso una gestione della previdenza secondo criteri privatistici, ma allo stesso tempo resta in piedi il vecchio sistema che lega tra loro le generazioni attraverso un legame indissolubile.

Questo cambiamento si è reso necessario per contenere la spesa previdenziale. Le nascite collassano di anno in anno e sono oramai ai minimi storici. Grazie alla maggiore longevità, invece, la popolazione invecchia e il numero dei pensionati aumenta. Ciò alimenta lo squilibrio tra contributi Inps annualmente versati e uscite. Giustamente, in molti notano che questo sistema sia destinato al collasso prima o poi. In effetti, se non fosse per lo stato, che copre i “buchi” previdenziali attingendo alle entrate della fiscalità generale, già da un pezzo l’ente avrebbe dichiarato fallimento.

Lavoratori dipendenti privati pagano per tutti

E se vi dicessimo che le cose non starebbero così per tutti? I dati forniti dalla stessa Inps trovano che la gestione riguardante i soli lavoratori dipendenti del settore privato abbia esitato nel 2023 un saldo attivo di 7,9 miliardi. In effetti, l’anno prima i contributi Inps versati ammontavano per Itinerari Previdenziali a 135,5 miliardi e gli assegni staccati in loro favore a 129,9 miliardi. Peccato che ci sia puntuale la zavorra degli ex dipendenti pubblici (ex Inpdap), inglobati nell’Inps sin dal 2012. Il loro saldo risulta profondamente negativo. Considerati sia il contributo che le prestazioni in precedenza a carico dello stato, parliamo di un valore negativo per almeno 14 miliardi e in crescita di anno in anno. Era già salito a 19 miliardi nel 2023.

Proseguendo nella disamina, troviamo che in negativo siano i saldi anche per gli artigiani (-4,8 miliardi), commercianti (-1,9 miliardi), coltivatori diretti (-2,05 miliardi), mentre i lavoratori a tempo determinato hanno chiuso lo scorso anno a +12,66 miliardi e i parasubordinati a +9,14 miliardi. In definitiva, il settore privato ha esitato un saldo attivo pari a quasi 22 miliardi. A fronte di questi numeri, chiediamoci se sia ancora corretto immaginare che i contributi Inps siano fissati alla stessa percentuale per tutte le categorie dei lavoratori. Possibile che i lavoratori dipendenti del settore privato debbano coprire i buchi sia degli autonomi che dei loro colleghi del Pubblico Impiego?

Aliquote di equilibrio per la previdenza

Itinerari Previdenziali ha trovato che se ciascuna categoria dovesse pensare solo a sé stessa, l’equilibrio per i conti previdenziali si otterrebbe fissando per i contributi Inps le seguenti aliquote:

  • 29,02% per i lavoratori dipendenti del settore privato
  • 65,20% per i lavoratori dipendenti del settore pubblico
  • 33,28% per i lavoratori autonomi artigiani
  • 23,43% per i lavoratori autonomi commercianti
  • 67,13% per i lavoratori autonomi coltivatori diretti
  • 11,64% per i lavoratori autonomi professionisti
  •   4,92% per i lavoratori parasubordinati

Si può fare appello alla solidarietà tra categorie quando in gioco c’è una variabilità di aliquote di equilibrio che vanno da meno del 5% a più del 67%? C’è una parte dell’Italia costretta a finanziare l’altra.

Va bene fino ad un certo punto. Anche perché i contributi Inps oggi risultano più pesanti di quanto dovrebbero per quei lavoratori in futuro maggiormente esposti al rischio di assegni bassi. E ciò si traduce in retribuzioni e redditi netti più bassi, con la conseguenza che si restringono per loro le possibilità di aderire ad una qualche forma di previdenza integrativa.

Contributi Inps differenziati per responsabilizzare politica e categorie sociali

Tutto ciò diventa ancora meno sopportabile se si pensa che questo prelievo extra a carico di alcuni va a beneficio di categorie favorite nei decenni passati da clientelismi e lassismi. Parliamo principalmente del Pubblico Impiego, ma non escludiamo neanche gli occhi chiusi dinnanzi all’elevata evasione fiscale e contributiva che si annida tra gli autonomi. Se a ciascun lavoratore fosse richiesto di versare contributi all’Inps in linea con il fabbisogno della categoria di appartenenza, si accrescerebbe il senso di consapevolezza circa gli effetti delle proprie azioni. Il metro uguale per tutti fa comodo alla politica per nascondere le proprie responsabilità rispetto alle scelte scellerate passate e persino attuali. Con contributi Inps differenziati, in tanti le chiederebbero conto della gestione dei conti previdenziali.

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