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Chiariamo come prima cosa che chi assume un lavoratore domestico, anche per poche ore al mese, è tenuto a versare sia i contributi a suo carico, sia quelli a carico del dipendente, che trattiene dalla sua retribuzione. Il datore di lavoro può anche scegliere di non trattenere la quota al dipendente, e farsi totale carico della contribuzione.

Il versamento va fatto ogni tre mesi all’Inps (ora si può fare anche tramite App Io). Le scadenze sono il 10 aprile, per i contributi del primo trimestre dell’anno, e a seguire il 10 luglio per il secondo trimestre; il 10 ottobre per il terzo e il 10 gennaio per il quarto trimestre dell’anno precedente.

Come si calcolano i contributi per un collaboratore domestico

L’importo viene stabilito dall’Inps su base oraria, e per i rapporti fino alle 24 ore settimanali variano in base alla retribuzione corrisposta. Sopra tale limite orario è stabilito un valore orario fisso indipendentemente dalla retribuzione percepita. È l’Inps a pubblicare ogni anno le tabelle contributive per l’anno in corso (qui quelle di quest’anno): per il 2024, al lavoratore con una retribuzione oraria effettiva tra i 9,40 e gli 11,45 euro, il datore di lavoro verserà 1,88 euro per ora (1,89 se il lavoratore ha diritto agli assegni familiari), di cui 47 centesimi a carico del collaboratore, che saranno trattenuti dalla sua retribuzione. Se il rapporto di lavoro prevede più di 24 ore settimanali, il contributo è fisso a 1,21 euro (1,22 con gli assegni familiari), di cui 30 centesimi a carico del lavoratore. Va aggiunto poi in entrambi i casi il contributo di assistenza contrattuale (quello che si versa alla Cassa Colf) che è pari a 6 centesimi a ora (di cui 2 a carico del dipendente). Se il rapporto è a tempo determinato l’importo dei contributi è un po’ più alto.

Cosa “coprono” i contributi

I versamenti effettuati permettono al lavoratore di ottenere indennità di disoccupazione di maternità, assegno per il nucleo familiare, oltre che le prestazioni pensionistiche e le prestazioni previste da Inail in caso di infortunio.

Cosa succede se il lavoratore domestico si ammala

L’inps non eroga però ai lavoratori domestici l’indennità di malattia, che resta in carico alle famiglie, secondo questo schema:

  • Fino ad un massimo di 8 giorni di calendario per anno solare, per i lavoratori con anzianità fino a 6 mesi);
  • 10 giorni di calendario per anno solare, per i lavoratori con anzianità da più di 6 mesi a 2 anni;
  • 15 giorni di calendario per anno solare, per i lavoratori con anzianità oltre i 2 anni;
  • In caso di ricoveri ospedalieri o malattie con convalescenza più lunga, subentra la Cassa Colf a cui vanno versati i contributi unitamente a quelli dell’Inps (vedi paragrafo relativo al calcolo). Se non si sono versati i contributi a cassa colf il datore di lavoro deve garantire al lavoratore le stesse indennità.

Quali contributi si possono “scaricare”

I contributi versati all’Inps sono deducibili dal reddito imponibile fino a un massimo di 1.549,37 euro all’anno, ovviamente solo per la parte a carico del datore di lavoro. Inoltre, se il lavoratore domestico si occupa dell’assistenza a persone non autosufficienti, il datore di lavoro  può detrarre dall’imposta lorda il 19% delle spese sostenute, a patto che il suo reddito sia inferiore a 40.000 euro lordi. La detrazione spetta sia se ad affrontare la spesa sia la persona non autosufficiente sia se a pagare è un familiare.

Chi paga le imposte del lavoratore

Infine, per quanto riguarda il collaboratore domestico, questi, dopo la stipulazione del contratto di lavoro, è tenuto a dichiarare i redditi conseguiti e a pagare autonomamente Irpef, addizionali comunali e regionali. Il datore di lavoro domestico, infatti, non fa da sostituto d’imposta trattenendo le imposte dalla busta paga. Questi dovrà fornire al lavoratore un’attestazione della retribuzione lorda erogata nell’anno, comprensiva di tredicesima e dei contributi trattenuti.



 

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