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Da una suggestione a una pista calda, che tra blitz e telefoni bollenti può diventare un affare in dirittura. Oppure si può raffreddare, magari per colpa di una brusca frenata dovuta a quel nodo ingaggio che non si è riusciti a sciogliere. E poi un mare di indizi social, ottimismi che filtrano, occasioni che appaiono e pallini che sfumano. Il gergo del calciomercato è tanto ripetitivo quanto fumoso e sfuggente, come inevitabile conseguenza dell’attenzione sempre più morbosa degli appassionati verso un carrozzone – quello del mercato trasferimenti – che è ormai diventato parte integrante dello show calcistico. 

Ma, accanto a questo slang fantasioso e dai contorni a tratti surreali, c’è un altro lessico tutt’altro che vago, anzi, estremamente concreto e reale. Si tratta di quei concetti di natura economico-finanziaria che regolano le operazioni di tutte le società, incluse quelle calcistiche. Ammortamento, flussi di cassa, fair play finanziario, costi annui: sono aspetti fondamentali per ogni decisione dei club, di cui si sente parlare sempre più frequentemente ma che appaiono incomprensibili alla maggior parte degli appassionati. Così, in questo pezzo, abbiamo provato a spiegare in modo semplice questi e altri concetti relativi alla sfera economica del calcio, per aiutarvi a comprendere meglio le motivazioni che si celano dietro alla maggior parte delle scelte operate da ogni club. 

L’ammortamento

Cole Palmer fino al 2033, Enzo Fernandez fino al 2032, Caicedo e Mudryk fino al 2031: sono solo alcuni dei contratti extra-large offerti dal Chelsea ai propri acquisti più recenti. Ma come si spiega questa strategia?

Uno dei concetti fondamentali per capire come operano le società calcistiche è l’ammortamento: si tratta di un elemento comune a tutte le imprese, a prescindere dal settore in cui operano. Nello specifico, esso riguarda le cosiddette immobilizzazioni, ovvero tutti quei beni che l’impresa sfrutta per un periodo di tempo prolungato, generalmente superiore ad un anno: ad esempio, i macchinari che un’azienda tessile utilizza per produrre vestiti, oppure un trattore impiegato da un’azienda agricola.

In tutti questi casi, si tratta di beni che l’impresa acquista oggi e che, poi, utilizzerà per un certo numero di anni: il loro costo andrà quindi suddiviso (ammortizzato) lungo il periodo di vita utile del bene. Per farlo viene utilizzato l’ammortamento: se un macchinario costa 100.000€ ed ha una vita utile di 10 anni, l’impresa avrà – in ciascun esercizio per i prossimi 10 anni – una quota di ammortamento annua pari a 10.000€ (se utilizza il metodo a quote costanti, come vedremo in seguito). 

Qui spiegata la strategia societaria adottata dal Chelsea negli ultimi anni. (Instagram: @transfermarkt_official)

Nel caso delle società calcistiche, le immobilizzazioni sono costituite principalmente dai calciatori – o meglio, dai diritti alle loro prestazioni sportive, comunemente definiti “cartellino”. Proprio come accade per ogni azienda, i cartellini sono beni pluriennali e vanno quindi ammortizzati in base alla durata del contratto del calciatore. Ad esempio, se la Juventus ha acquistato Koopmeiners con un contratto quinquennale, il costo di 50 milioni andrà ripartito, naturalmente, su cinque anni: quindi, la quota di ammortamento per la società bianconera ammonterà a 10 milioni per ciascuna delle prossime cinque stagioni (salvo eventuali rinnovi di contratto).

Chiarito in cosa consiste il concetto di ammortamento, appare facile comprendere il motivo per cui il Chelsea ha optato per offrire contratti così lunghi ai propri giocatori: il prezzo pagato per acquistare Mudryk rimane di 100 milioni, ma, dividendolo su otto anni di contratto invece che su cinque, la singola quota di ammortamento sarà inevitabilmente inferiore, e di conseguenza anche il costo annuo dell’operazione. L’obiettivo di questa strategia, dunque, era quello di ridurre i costi annui a bilancio della rosa del Chelsea, in modo tale da aumentare il margine di manovra (e, banalmente, le possibilità di investimento) pur rimanendo all’interno dei limiti dettati dal Fair Play Finanziario. 

Per lo stesso motivo, talvolta, si verificano dei rinnovi di contratto poco pubblicizzati: un esempio è quello di Marash Kumbulla, che, a fine 2022, ha prolungato di due anni il proprio rapporto con la Roma, portando la scadenza da giugno 2025 a giugno 2027. In questo modo, l’ammortamento del suo cartellino è stato spalmato su più anni, riducendo significativamente il costo annuo per la società giallorossa.

Le plusvalenze

Luglio 2019: la Juventus acquista Matthijs de Ligt dall’Ajax per la cifra record di 85,5 milioni. Fast-forward a tre anni dopo, luglio 2022: la Juventus vende lo stesso de Ligt al Bayern Monaco per 67 milioni, facendo registrare una plusvalenza di 30,7 milioni. Ma com’è possibile, se lo ha ceduto ad un prezzo inferiore a quello che aveva pagato per portarlo a Torino?

La spiegazione è relativamente semplice: la plusvalenza non si calcola sul costo di acquisto, ma sul valore contabile di un bene. Tornando all’esempio precedente di Koopmeiners, sempre a tinte bianconere, sappiamo che l’ammortamento annuo è pari a 10 milioni ogni anno. Dopo due anni dall’acquisto, quindi, quale sarà il valore contabile del suo cartellino? Il calcolo è decisamente immediato: basterà prendere il costo storico (50 milioni) e sottrarre la “somma” degli ammortamenti avvenuti in quel periodo di due anni, ovvero 20 milioni (10 il primo anno, 10 il secondo), ottenendo un valore contabile pari a 30 milioni di euro. 

Di conseguenza, se tra due anni la Juventus dovesse ricevere (e accettare) un’offerta pari a 35 milioni di euro per Koopmeiners, farebbe registrare una plusvalenza di 5 milioni con effetto positivo sull’esercizio 2026/2027, nonostante il costo storico di acquisto fosse maggiore di tale cifra. 

Le plusvalenze sono particolarmente importanti per i club calcistici, in quanto si tratta a tutti gli effetti di ricavi economici che contribuiscono a migliorare i conti della società e, nello specifico, aiutano a rispettare i parametri imposti dall’UEFA attraverso il Fair Play Finanziario.

Gli ammortamenti del Napoli

Torniamo sugli ammortamenti per una precisazione: l’esempio proposto in precedenza, nel quale i 50 milioni del cartellino di Koopmeiners vengono ripartiti egualmente in cinque quote da 10 milioni ciascuna, rappresenta il caso più diffuso nell’industria calcistica, quello in cui le società optano per il metodo di ammortamento a quote costanti – ma non è l’unico. Esistono club che, infatti, adottano metodi contabili differenti: un esempio è quello del Napoli, che nel proprio bilancio ammortizza i diritti alle prestazioni sportive dei calciatori secondo il metodo a quote decrescenti. Prendendo il caso dell’acquisto di Buongiorno, il costo di 35 milioni non viene ripartito in cinque quote uguali da 7 milioni ciascuna, ma secondo delle percentuali che decrescono di anno in anno:

• il 40% del costo storico nel primo anno di contratto;
• il 30% del costo storico nel secondo anno;
• il 20% del costo storico nel terzo anno;
• il 7% del costo storico nel quarto anno;
• il 3% del costo storico nel quinto e ultimo anno.

(dati: Calcio e Finanza)

Questo metodo permette alla società partenopea di ottenere un vantaggio: ammortizzando la maggior parte del costo nei primissimi anni, infatti, andando avanti nel tempo risulterà più facile realizzare una plusvalenza.

Facciamo un esempio pratico: nel 2022 Napoli e Milan acquistano entrambe un calciatore per 50 milioni con contratto quinquennale, e dopo due anni (nel 2024) entrambe ricevono un’offerta da 25 milioni per il suo cartellino. Nel caso del Milan, l’ammortamento annuo sarà di 10 milioni, che dopo due anni si sommeranno per un totale di 20: quindi, il valore contabile nel 2024 sarà pari a 30 milioni, con l’offerta da 25 che comporterebbe una minusvalenza per la società rossonera. Per il Napoli, invece, la situazione sarà diversa: ammortizzando il 40% del costo storico nel primo anno (20 milioni) e il 30% nel secondo (15 milioni), il valore contabile dopo due stagioni ammonterà ad appena 15 milioni, permettendo alla società di De Laurentiis di realizzare un’ampia plusvalenza accettando la stessa offerta da 25 milioni.

Lo svantaggio di questo metodo, che spiega anche il motivo per cui sono solo pochi club ad utilizzarlo, risiede nel fatto che, nei primi due anni, la società si troverà ad iscrivere a bilancio un costo nettamente maggiore in termini di ammortamento. Ciò, naturalmente, rende il passaggio a questo tipo di ammortamento difficilmente sostenibile per società che già si trovano a fare i conti con perdite di esercizio.  

Stipendi lordi, costi annui e decreto crescita

Uno dei principali parametri per valutare lo stato di salute di un club, e la sua aderenza alle regole del Fair Play Finanziario, è il costo della rosa, ovvero la somma dei costi annui totali dei singoli calciatori (e dell’allenatore) a carico della società. Nello specifico, il costo annuo di un giocatore dipende, sinteticamente, da due componenti: 

• l’ammortamento del costo del suo cartellino (e di eventuali costi accessori come le commissioni), come spiegato in precedenza;
• il suo stipendio lordo (più eventuali altri costi sostenuti dalla società per la retribuzione, come bonus fedeltà o altri benefit).

Qui le variazioni del monte ingaggi delle squadre di Serie A (Fonte: calcioefinanza.it)

Solitamente, quando si parla dello stipendio di un calciatore, si fa riferimento alla cifra netta, ma ciò che conta per le società è il lordo, ovvero ciò che effettivamente esce dalle casse dell’impresa (in parte destinato al dipendente e in parte al fisco). Volendo semplificare all’estremo i calcoli, grossolanamente lo stipendio netto ammonta a poco più della metà della retribuzione lorda: ad esempio, nel caso di un lordo pari a 5 milioni di euro, il calciatore incasserà una cifra compresa tra i 2,62 e i 2,73 milioni di euro, in base alla regione di residenza fiscale, come riportato nelle Tabelle Lordo-Netto 2024 dell’Assocalciatori. 

In questo discorso si inserisce il tema del Decreto crescita, misura in vigore dal 2019 al 2023, che consentiva di beneficiare di considerevoli sgravi fiscali per quei calciatori che arrivavano in Italia dopo almeno due anni all’estero, impegnandosi a mantenere la residenza in Italia per almeno due anni. In particolare, nel caso di uno stipendio netto pari a 5 milioni, il lordo (cioè il costo effettivo per la società) normalmente ammonterebbe a circa 9,5 milioni, ma grazie al Decreto crescita tale cifra scendeva a circa 6,5 milioni. Visti i numeri, appare immediato capire come questa agevolazione fosse diventata in poco tempo fondamentale per aumentare la competitività delle squadre italiane rispetto ai club stranieri: a parità di costo lordo, le società del nostro campionato potevano offrire ai giocatori stranieri uno stipendio netto ben più alto, riuscendo ad effettuare operazioni maggiormente onerose dal punto di vista economico.

Come le big di Serie A hanno sfruttato il Decreto Crescita (Instagram: @transfermarkt.it)

Secondo un calcolo di Sky Sport, il vantaggio economico per le big italiane è stato notevole, con un totale di quasi 92 milioni di euro risparmiati tra le sole Milan (22,5 mln), Roma (22,2), Inter (14,9), Juventus (12,4), Napoli (11,9) e Lazio (7,8). Non a caso, l’abolizione di questo strumento è stata criticata quasi unanimemente dai club partecipanti alla Serie A, che lamentano una perdita di competitività a fronte di diversi dubbi sull’eventuale vantaggio in termini di gettito fiscale per lo Stato. 

E gli svincolati, sono operazioni “al risparmio”?

In breve, scordatevi il “budget trasferimenti” della carriera allenatore di FIFA: ogni operazione di mercato va valutata sul parametro del costo annuo. Facciamo l’esempio della Roma, che dopo anni di svincolati e prestiti ha deciso, tra lo stupore di molti, di investire oltre 100 milioni di euro in cartellini nell’ultimo mercato estivo. Ebbene, a Trigoria non hanno trovato pozzi di petrolio né miniere d’oro: le numerose partenze, da Lukaku a Spinazzola (passando per Mourinho e Abraham), hanno portato un risparmio in termini di costi annui pari a circa 80-90 milioni di euro (secondo i dati raccolti da “AS Roma Data”) tra ammortamenti e stipendi, comportando un ampio margine di manovra sul mercato.

Inoltre, è opportuno uscire dall’ottica secondo cui gli acquisti a parametro zero siano operazioni “al risparmio”. Rimanendo in casa giallorossa, Paulo Dybala, arrivato da svincolato, quest’anno potrebbe avere un costo totale per la società pari a circa 13 milioni di euro, considerando uno stipendio che – secondo diverse fonti – si aggirerebbe sui 7 milioni netti. Per confronto, il nuovo centravanti ucraino Artem Dovbyk, pagato 30,5 milioni più bonus (con un ingaggio che dovrebbe avvicinarsi ai 3,5 milioni netti all’anno), comporterà un costo annuo pari a circa 12,5 milioni di euro per le prossime cinque stagioni (6,1 mln di quota ammortamento più 6,4 mln di stipendio lordo). Quindi, i costi economici delle due operazioni, seppur calcolati sulla base di dati non ufficiali e senza considerare le commissioni, sono simili, nonostante un racconto giornalistico che sembra considerare l’acquisto di Dovbyk molto più oneroso di quello di Dybala.

Il Fair Play Finanziario

Veniamo, ora, ad una delle più importanti novità degli ultimi 15 anni nel panorama calcistico europeo: il Fair Play Finanziario dell’UEFA. Visto come un meccanismo oscuro, a tratti come una mannaia pronta a colpire qualsiasi club, si tratta in realtà di uno strumento concepito per tutelare la stabilità economico-finanziaria del panorama calcistico europeo. 

Introdotto per la prima volta nel 2011, il FPF ha ottenuto risultati significativi, riducendo considerevolmente le perdite aggregate dei club delle prime divisioni europee (prima dell’impatto negativo della pandemia). Tuttavia, non sono mancate (e non mancano tuttora) le polemiche su questo sistema, che alcuni ritengono troppo severo con i club di medio-grandi dimensioni e, al contrario, troppo permissivo con potenze economiche come Manchester City e PSG.

Ma cosa prevede, esattamente, il Fair Play Finanziario? L’ultima versione, denominata ufficialmente “UEFA Club Licensing and Financial Sustainability Regulations”, si fonda su tre pilastri distinti: solvibilità, stabilità e controllo dei costi della rosa.

L’obiettivo della solvibilità è assicurarsi che i club saldino tutti i propri debiti nei tempi prestabiliti, attraverso controlli trimestrali.

La stabilità prevede che in un singolo periodo di monitoraggio (tre anni), alle società sia concessa una tolleranza pari ad una perdita massima aggregata di 60 milioni di euro, a patto che tale perdita venga coperta da capitale proprio;

Per rispettare il controllo dei costi della rosa i club sono tenuti a mantenere il costo della propria rosa (inclusi stipendi, trasferimenti e commissioni relative a giocatori e allenatore) entro il limite del 90% delle entrate totali per la stagione 2023/24, entro l’80% per il 2024/25 ed entro il 70% dal 2025/26 in avanti. Ciò vuol dire che, se le entrate totali ammontano a 100 milioni, dal 2025/26 il costo annuo della rosa dovrà rimanere al di sotto di quota 70 milioni. 

Le sanzioni per le violazioni sono differenti in base al “pilastro” non rispettato, e variano dalle multe alla squalifica dalle competizioni europee, ferma restando la possibilità di stipulare un settlement agreement. Nello specifico, il settlement agreement è un accordo tra la UEFA e le società che non hanno rispettato tutte le restrizioni del FPF, finalizzato a stabilire obiettivi e modalità con cui il club dovrà rientrare all’interno dei parametri previsti (oltre a multe e sanzioni in caso di mancato rispetto). Ciò comporterà, naturalmente, dei “paletti” ulteriori per le società coinvolte, a cui può essere limitato il margine di manovra sui trasferimenti o sulla registrazione dei giocatori.

Attualmente, le squadre italiane sottoposte a settlement agreement sono Inter, Milan e Roma: nel caso di quest’ultima, uno dei “paletti” più stringenti – quello del transfer balance, che vietava qualsiasi aumento del costo della rosa inserita in lista UEFA da una stagione all’altra – è stato sospeso condizionalmente a partire dalla stagione in corso, consentendo al club giallorosso di operare con più libertà sul mercato.

E gli acquisti a rate?

Negli ultimi anni è capitato di vedere diversi tifosi – ma anche alcuni giornalisti – reagire con stupore alle notizie di società che, come nell’esempio della Juventus, concludessero operazioni di mercato rateizzando i pagamenti. È necessario fare chiarezza: in economia aziendale c’è una netta distinzione tra costi e ricavi, che sono grandezze economiche, e flussi di cassa in entrata o in uscita, che riguardano invece l’ambito finanziario.

Facciamo un esempio: immaginate di avere un bar, e di acquistare un macchinario per fare il caffè alla cifra di 5.000€. Avrete sostenuto, naturalmente, un costo economico di 5.000€, ma questo dato non ci dice nulla sulle movimentazioni finanziarie (in parole povere, le uscite di denaro), che invece dipendono dalle modalità di pagamento. In particolare, potreste aver concordato di pagare il macchinario in dieci rate da 500€ ciascuna, oppure di saldarlo tutto subito, o ancora di iniziare a pagarlo tra cinque anni: questi aspetti determineranno quando e come avverranno le uscite di cassa, ma non hanno nulla a che vedere con il costo economico, che in ogni caso rimarrà pari a 5.000€.

Lo stesso si può dire nel caso del calciomercato: un calciatore pagato 50 milioni comporterà sempre un costo pari a 50 milioni, che verrà ammortizzato sulla durata del contratto come spiegato in precedenza, a prescindere dalla rateizzazione e dalle modalità di pagamento. Tornando alla Juventus, Giuntoli e i suoi predecessori non sono né maghi della finanza alla Wolf of Wall Street né accattoni che non hanno disponibilità per pagare cash: la pratica di rateizzare pagamenti milionari, infatti, è comune a tutte le società, incluse quelle calcistiche, e sono davvero poche le operazioni saldate in un’unica soluzione. La differenza con gli altri club risiede nel fatto che i bianconeri, per esigenze di borsa e decisioni comunicative, solitamente includono questo tipo di informazioni nei propri comunicati ufficiali.

In conclusione, le squadre di calcio, al di là dell’unicità che le contraddistingue in termini di spettacolo e passione, sono a tutti gli effetti aziende di dimensioni considerevoli, inevitabilmente soggette alle stesse dinamiche economico-finanziarie delle società operanti in settori diversi. Naturalmente, il bello del calcio è la spontaneità dei tifosi, l’irrazionalità della passione verso i propri colori, ma se si vuole davvero afferrare a fondo il modo in cui operano i club è importante comprendere, in linea generale, come funzionano le logiche alla base dell’industria economica del calcio.

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