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Non tutte le Regioni hanno reagito allo stesso modo alla lettura delle sentenze della Corte Costituzionale sulla questione del payback per i dispositivi medici. Tra coloro che si sono detti soddisfatti, almeno in misura parziale, ci sono gli amministratori della Regione Campania.

Con la sentenza 139, la Consulta ha accolto il ricorso, presentato dallo stesso ente, in merito alla incostituzionalità della norma che riguardava il riparto dei fondi. “Da un lato – spiega Ettore Cinque, assessore al Bilancio e al Finanziamento del Servizio sanitario regionale della Campania – c’è soddisfazione, perché non vi è dubbio che il vizio di incostituzionalità rilevato dalla sola Regione, riguardo all’articolo 8 del decreto legge 34 del 2023, fosse più che fondato.

Dall’altro, restiamo sorpresi dalla capacità della Corte di ricomporre il quadro con un equilibrismo notevole: le due sentenze contigue, la 139 (su nostro ricorso) e la 140 (su ricorso delle imprese fornitrici, sollevato incidentalmente dal Tar del Lazio) devono, infatti, essere lette congiuntamente”.

Ragion di Stato

A muovere i giudici costituzionali, a parere del membro della giunta campana, sarebbe stata la volontà a non provocare uno tsunami.

“Non c’è dubbio – sostiene l’assessore Cinque – che la Corte abbia usato le nostre giuste recriminazioni per addolcire la pillola nei confronti delle imprese fornitrici di dispositivi medici, alle quali ha poi rigettato il ricorso con la successiva sentenza 140. La interpretiamo come un contrappeso o, se si vuole, una mitigazione, della sentenza numero 140 dettata soprattutto dalla ragion di Stato. Dichiarare ora incostituzionale l’impalcatura del payback, infatti, avrebbe comportato un problema notevole per il Servizio sanitario nazionale. Resta però l’amaro in bocca perché non si è andati fino in fondo. Mi chiedo: le Regioni che nel 2022 hanno imputato a ricavo la quota parte del Fondo di un miliardo e 85 milioni di euro, cosa dovranno fare ora? Cancellare una parte del credito verso le imprese fornitrici? In qualche misura la Corte lo dice chiaramente che quei fondi erano una mitigazione del peso del payback a carico delle ditte fornitrici e, quindi, a loro andrebbe assegnato, a prescindere dalla rinuncia o meno ai contenziosi”.

Dentro i limiti

La Campania, per gli anni a cui la norma fa riferimento per l’applicazione del payback, ovvero dal 2015 al 2018, non ha sforato il tetto di spesa per i dispositivi medici e quindi non sarebbe interessata al meccanismo, mentre per quanto riguarda il periodo dal 2019 in poi, come ricorda l’assessore Cinque, lo sforamento è stato molto modesto.

A fondo perduto

“Rispetto alla norma introdotta dall’articolo 8 del decreto legge 34 del 2023 – continua Cinque – la Regione Campania ha subito osservato che non vi era nessun collegamento tra l’erogazione del contributo governativo alle Regioni interessate e la riduzione al 48% del debito a carico delle imprese, né tantomeno era previsto un meccanismo di vincolo in funzione della rinuncia effettiva ai contenziosi. In altri termini, l’intervento del governo si è tradotto in un vero e proprio contributo a fondo perduto a favore solo di alcune Regioni, peraltro imputabile a conto economico già nell’esercizio antecedente, a prescindere da quanto le imprese fornitrici avessero già corrisposto o previsto di corrispondere. Abbiamo dimostrato alla Corte che l’applicazione della norma si sarebbe potuta tradurre in un guadagno netto, perché le Regioni interessate, in caso di esiti favorevoli dei contenziosi attivati, avrebbero potuto ricevere l’intera quota a carico delle imprese (e non solo il 48%), in aggiunta alla quota del fondo istituito dall’articolo 8. Come Regione Campania ci aspettavamo, in verità, immache l’incostituzionalità della norma si sarebbe tradotta in un riparto del fondo a vantaggio di tutte le Regioni per quota d’accesso al finanziamento sanitario indistinto, atteso che non c’era alcun vincolo legato al payback. La Corte, invece, ha ritenuto che, nello spirito originario della norma, quelle risorse debbano essere destinate a vantaggio di tutte le imprese debitrici del payback, riducendo, proporzionalmente per tutte, il debito al 48%”.

Il payback farmaceutico

La lettura della sentenza proietta il pensiero dell’assessore Cinque al meccanismo esistente nel settore farmaceutico per gli acquisti diretti: “contrariamente al payback dei dispositivi medici, che viene ripartito tra le Regioni proporzionalmente allo sforamento del tetto di spesa (tanto che la Campania, non avendo sforato nel 2015-18, non ha alcun credito nei confronti delle ditte fornitrici), nel caso del payback farmaceutico vi è una norma per la quale il payback a carico delle aziende farmaceutiche viene ripartito tra le Regioni per quota capitaria e non in funzione degli sforamenti.

Questo fa sì che alcune Regioni ricevano, come payback da acquisti diretti, ben più dello sforamento del tetto, generando così ‘utili da payback’: un vero ossimoro. Credo che la sentenza della Corte sancisca un principio: non si può gravare il sistema delle imprese fornitrici per poi ripartire i fondi con criteri differenti rispetto allo sforamento realizzato, atteso che il payback altro non è se non la restituzione di quota parte del pagato”.

Gioco di sponda

In ogni caso, la Regione Campania rivendica di aver fornito una sponda “affinché – commenta Cinque – la filiera dei fornitori di dispositivi medici venga ristorata in qualche misura, rispetto al payback originario. Abbiamo fatto una battaglia da sponde diverse, ma con il comune obiettivo di stabilire un principio rispetto ad una norma che aveva criticità importanti. In prospettiva bisognerà trovare soluzioni strutturali sostenibili, perché è del tutto evidente che vi è un limite oltre il quale il sottofinanziamento ormai cronico del Ssn non possa essere posto a carico delle filiere produttive fornitrici del sistema”.

Pronti a batter cassa

Altra reazione è stata quella che si è registrata in Toscana. Qui, il governatore, Eugenio Giani, si è detto pronto a riscuotere i ricavi dal payback: “basta – dichiara, all’indomani delle sentenze – un decreto ministeriale e noi possiamo mettere a bilancio, come voce attiva, le annualità che mancano di payback: dal 2019 ad oggi si tratta di 420 milioni (nella sola Regione Toscana, n.d.r). Se con questo decreto ministeriale veniamo abilitati non a prendere dallo Stato, ma a poter escutere queste risorse con decreto ingiuntivo dagli imprenditori che in questi anni il payback non l’hanno pagato, io tolgo subito l’addizionale Irpef”.

Il governatore, in particolare, si riferisce alla eventuale imposizione di un balzello sull’addizionale Irpef per i 600 mila cittadini toscani con redditi superiori ai 28 mila euro lordi per l’anno 2024 che la giunta è in procinto di varare.

Pronuncia politica

Non nasconde l’amarezza per l’esito Massimiliano Boggetti, coordinatore della Commissione sanità di Confindustria Toscana, past president di Confidustria dispositivi medici, oggi a capo del Cluster tecnologico nazionale Scienze della Vita Alisei.

“La grossa sorpresa che arriva dalla Consulta – dice Boggetti – è che invece di essersi espressa sui punti sollevati dal presidente del Tar del Lazio ha fatto sicuramente una pronuncia di carattere politico. Non riesco a comprendere che una Regione come la Toscana possa immaginare di curare i propri cittadini chiedendo contributi solidali alle imprese”.

Dunque, “l’appello alla politica – invita – è di ragionare, perché un Paese non si sviluppa così. Siamo in difficoltà nella crescita e non credo che introdurre meccanismi così controversi sul settore dispositivi medici ci aiuti a tornare ad essere attrattivi nei confronti di imprese che vogliano venire a investire in Italia. Il nostro settore è forse uno dei pochi comparti rimasti in questa Toscana che hanno ancora la capacità di poter aiutare la crescita e che invece di essere aiutati vengono tartassati”.

L’ordine del giorno lombardo

Decisamente differente la posizione assunta dalla Regione Lombardia. A pochi giorni dalle sentenze, il Consiglio regionale ha approvato all’unanimità un ordine del giorno che impegna la giunta a vagliare tutte le possibili soluzioni tecniche per superare le criticità riscontrate nell’applicazione della norma del payback.

“Le criticità – spiega Nicola Di Marco, capogruppo al Consiglio regionale e primo firmatario dell’ordine del giorno – riguardano oltre 700 imprese con i relativi dipendenti, nella sola Milano. A causa dell’impatto del payback sanitario le piccole e medie imprese lombarde rischiano il fallimento e il blocco delle forniture. Motivo per cui lo scorso  gennaio abbiamo avviato un iter per introdurre azioni e scongiurare i rischi”.

L’atto, inoltre, “chiede alla giunta regionale di vagliare tutte le possibili soluzioni tecniche per superare le criticità riscontrate nell’applicazione del payback ed evitare il fallimento delle imprese, arrivando a fare pressioni sul governo al fine di valutare strumenti alternativi per il contenimento della spesa sanitaria nonché a individuare una soglia di esenzione dal pagamento del payback non inferiore a 50 milioni di euro”.

I primi segnali

L’appello rivolto al governo da parte delle sigle che rappresentano le imprese è stato accolto con un primissimo incontro presso il ministero delle Imprese e del made in Italy, a cui hanno partecipato il titolare Adolfo Urso, e il presidente di Confindustria dispositivi medici, Nicola Barni.

“Il comparto biomedicale – ha scritto Urso sul proprio account X, a valle dell’incontro – è strategico per il nostro Paese. Con il ministro Orazio Schillaci, nei mesi scorsi, abbiamo attivato un tavolo ad hoc con lo scopo di creare le condizioni per migliorare la competitività e favorire gli investimenti delle imprese del settore. Nelle prossime settimane – continua – insieme al ministero della Salute e al ministero dell’Economia e delle Finanze ci attiveremo per approfondire le richieste dell’industria biomedicale su temi chiave quali la concorrenza sleale e la possibile revisione del sistema del payback sanitario”.

Speranza nell’Europa

“La partita non è finita”, annuncia l’avvocato Giampaolo Austa del team di legali della sigla Pmi Sanità. “Sarà il Tar a verificare nel merito e la compatibilità con la normativa eurocomunitaria. Auspichiamo che il Tribunale amministrativo possa sollevare la questione di fronte la Corte di giustizia europea”. Anche il presidente di Pmi Sanità, Gennaro Broya de Lucia parla di una norma “sbagliata e inutilmente dannosa, che rischia di impattare gravemente sulle imprese, sui lavoratori e sull’esercizio del diritto alla salute di tutti i cittadini”. Un rischio che fino a pochi giorni fa era temibile e che ora la sentenza della Consulta ha reso imminente, richiamando l’urgenza di individuare una soluzione.

 

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