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ANCONA Un sibilo. Il fragore della moda in crisi si smorza nelle trincee della controffensiva. L’Abi, l’Associazione bancaria italiana, non concede la moratoria sui prestiti. In un documento, datato 29 luglio, si legge che le banche posso allungare le scadenze dei mutui, mantenendoli e non sospendendoli come era stato richiesto da imprenditori non più solo glamour&scintillii. Nebuloso il linguaggio che si sussegue nelle pagine, fitte, di un atto che oltre i tecnicismi non recepisce, come avrebbe dovuto, le richieste d’aiuto avanzate da un settore con il respiro in affanno. 

Le spallate

Abrasioni sulla pelle viva: per le associazione di categoria, sono 182 le aziende della moda che nelle Marche chiudono i battenti ogni anno, con un calo del 7,5% registrato a luglio. La freddezza del dato sovrasta il tentativo di non cedere alle spallate dei segni meno, che precedono ordini, produzioni, lavoro. Nel plico dell’Abi, che riordina dettami e direttive, è spiegato che per le operazioni messe a segno con il Fondo di garanzia o con la Sace, il gruppo assicurativo-finanziario, controllato dal ministero dell’Economia e delle Finanze, specializzato nel sostegno alle imprese, a seguito della crisi Covid e dell’emergenza Ucraina, c’è la possibilità che venga rivisto il piano di ammortamento per prolungare la durata della garanzia fino a cinque anni. Tradotto: si potranno pagare rate più piccole, ma sborsando più interessi. Non è proprio una agevolazione, come potrebbe essere una moratoria, che sospenda il rimborso del finanziamento, per saldare solo gli interessi. 

L’incontro 

Il documento del dissenso, consegnato dal ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso durante la riunione, a Roma, dello scorso 3 settembre, dedicata all’emergenza-Marche, non ha prodotto gli effetti sperati. Di fronte al governatore Francesco Acquaroli, all’assessore regionale allo Sviluppo economico Andrea Maria Antonini e al presidente della Camera di commercio Gino Sabatini, i rappresentanti di Confindustria, Confartigianato e Cna non hanno celato la loro amarezza. Profonda. Le rassicurazioni di Urso – «Non vi lasceremo soli» – sembravano dissolversi tra le righe di quella carta. Vietato arrendersi. Tra le vie di fuga per una strada che pare senza uscita, c’è chi ipotizza la messa in pratica di un teorema dell’inclusione: far inserire le aree di crisi complessa delle Marche tra quelle, riconosciute a livello nazionale, della Zes, le Zone economiche speciali. La contromossa, che si convertirebbe in vantaggi su sgravi fiscali e costo dei lavoratori, incrementerebbe le misure già sollecitate per sterzare sulla strada della rinascita: essere riammessi al credito d’imposta, decontribuzioni, la garanzia di liquidità, il rafforzamento degli strumenti come la cassa integrazione in deroga e il supporto all’internazionalizzazione. 

I numeri 

Non ha mai smesso di sperare, Antonini: «A inizio ottobre – aveva annunciato al termine dell’incontro capitolino – ne è previsto un altro con i dirigenti del ministero Casalino e Bronzino in Regione: c’è una grande attenzione alla specificità del nostro territorio». Un dovere, il suo, perché al binomio lavoro&competenze, tra luglio e settembre 2024, le previsioni di assunzione delle imprese tessili, dell’abbigliamento e delle calzature calano del 10,3%. Peggiorano le aspettative sull’occupazione (-9,6%), con maggiori spine per le pelli (-16.6%). Come un bastione che inizia a cedere, la filiera della moda qui raccoglie il 7,1% degli addetti del totale delle imprese della regione, un numero superiore a quello della media nazionale, che scende al 2,4%. Il fragore della crisi.



 

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