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L’avevo conosciuto dieci anni fa nel carcere di Poggioreale, Camillo Esposito. Il ragazzo 29enne trucidato l’altra sera a Scampia con dodici colpi di pistola, mi era stato segnalato dalla sua insegnante delle scuole medie.

Lo ricordo al padiglione Firenze dove sono reclusi coloro che sono alla prima detenzione. Era un ragazzo dai modi gentili che trasmetteva empatia e non mancava mai di mandare i saluti alla sua professoressa. Stette poco tempo a Poggioreale e poi uscì e lo persi di vista. La complessa azione di recupero dei giovani che finiscono in carcere, diventa ancora più difficile per chi transita solo per qualche mese all’interno delle celle. E poi lo sappiamo che la galera tanto spesso è una scuola del crimine. Soprattutto quando mancano attività e prospettive di lavoro che possano incidere sulla voglia di riscatto. Poi, una volta usciti dal carcere, se non c’è nessuno che se ne prende cura, si è intercettati solo dai clan che approfittano della gavetta e dell’apprendistato fatto all’interno di quelle mura.

Camillo Esposito ucciso a Napoli, il lavoro

Camillo Esposito al termine della detenzione andò a vivere con la madre separata dal marito. Per cercare di sbarcare il lunario lavava le scale di alcuni palazzi. Il padre, invece, era inserito in un contesto malavitoso e per attirare il ragazzo se lo conquistava con regali costosi. Un confronto impari a cui la donna non poteva reggere. Era diverso tempo che non si sparava a Scampia, quando gli omicidi erano all’ordine del giorno e non ci si faceva tanto caso.

Oggi, seppur con molta fatica, assistiamo a dei segnali di rinascita del quartiere: l’assassinio di Esposito ha avuto una grande risonanza ed è stato vissuto con grande sgomento dagli abitanti. Scampia non è più percepita come Gomorra, non c’è quello spaccio alla luce del sole con le file di auto di chi si veniva a rifornire di droga dalle zone della Napoli bene. Così come sono scomparsi i tossicodipendenti che vagavano come zombie dopo essersi iniettati l’eroina. Con l’apertura della Metropolitana e dell’Università, con l’edificazione di case su due-tre piani, con negozi, farmacie e servizi annessi, il quartiere non è più un ghetto, un territorio isolato e abbandonato a se stesso. Comincia a prendere forma un agglomerato a misura d’uomo. E se nel 2021 è stata eletta miss Italia una ragazza proveniente proprio da Scampia, nessuno ha pensato che fosse scesa dalla luna. È quella normalità di cui c’è tanto bisogno.

A dare un grande contributo ci sono anche le realtà associative capitanate dalle parrocchie che hanno aperto spazi culturali e ricreativi dove i bambini e i giovani possono crescere e formarsi con i valori dell’amicizia e della solidarietà. Nella chiesa del Buon Rimedio, nei pressi delle vele, è nata anche una webradio, un punto di incontro e di confronto che “vuole dare voce a chi spesso non viene ascoltato, per raccontare le storie di chi vive Scampia ogni giorno, per far conoscere la bellezza e le contraddizioni del quartiere”, recita la didascalia sulla home-page.

Anche la scuola fa la sua parte, con l’impegno e il sacrificio di tanti insegnanti e istituti che sono dei veri e propri poli di eccellenza come l’Istituto Tecnico Industriale “Galileo Ferraris”. Certo ci sono ancora delle sacche di degrado che vanno rimosse. Il crollo della vela celeste che ha causato la morte di tre persone e il ferimento di alcuni bambini resta una ferita aperta per il quartiere. Con lo sgombero delle altre due vele e l’abbattimento delle stesse, si spera di aprire una pagina nuova. Ma qui occorre vigilare e creare quegli anticorpi che consentano di arginare quei fenomeni di prevaricazione che a Scampia, e non solo, la camorra ha esercitato con troppa disinvoltura e per lo scarso controllo.

La rinascita è possibile e c’è una grande attesa e voglia di riscatto. Gli abitanti di Scampia vogliono togliersi di dosso l’etichetta che li associa a Gomorra. Per questo bisogna fare una grande azione culturale e di rigenerazione urbana. Vorrei vedere i bambini del quartiere andare in giro per Napoli con qualcuno che gli spieghi la storia, le tradizioni e la cultura dell’accoglienza della città. In questo le istituzioni possono e devono stare in prima linea. “L’omicidio non offuschi la primavera di Scampia” ha affermato ieri il prefetto Di Bari.

Non so cosa avrebbe fatto Camillo Esposito in un contesto meno degradato di quello che ha trovato quando è uscito dal carcere, se avrebbe comunque intrapreso la strada che l’ha condotto alla morte. Quello che è certo è che non si può perdere più tempo, e che bisogna fare tutto il possibile per affrettare la primavera di questo quartiere.



 

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