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Se la Federal Reserve taglia i tassi di interesse di oltre 25 punti base nella riunione del 17-18 settembre, può innescare un’altra liquidazione delle operazioni di carry trade finanziate dallo yen, con crollo delle azioni USA. Questa affermazione proviene da Michael Wilson, strategist di Morgan Stanley, che fino a poco tempo fa risultava tra i maggiori ribassisti di Wall Street.

 

“La liquidazione del carry trade dello yen potrebbe ancora essere un fattore di rischio dietro le quinte”, ha scritto Wilson in una nota, evidenziando come “un rapido calo dei tassi a breve termine statunitensi potrebbe causare un ulteriore rafforzamento dello yen, suscitando così una reazione avversa negli asset rischiosi statunitensi”.

 

Il rally degli indici americani è inciampato quando la Bank of Japan ha alzato i tassi di interesse dello 0,25% a fine luglio e dopo i pessimi dati sull’occupazione americana di inizio agosto che hanno alimentato le aspettative di una recessione negli Stati Uniti e quindi un intervento robusto della Fed in tema di tagli ai tassi. A quel punto i trader che negli anni avevano costruito importanti posizioni sul carry trade in yen hanno cominciato a smantellarle in massa.

 

Il carry trade così, come è stato costruito, è una strategia attraverso la quale gli operatori hanno preso in prestito denaro in yen a bassissimo costo per investirlo in attività più redditizie come le azioni. Una volta che il rendimento dello yen è salito, facendo così crescere il costo del finanziamento, e con le prospettive di recessione dell’economia americana che metterebbe sotto pressione le azioni, il carry trade è diventato meno conveniente.

 

Secondo JP Morgan Chase, il 75% delle operazioni in essere sono state liquidate, ma Morgan Stanley prevede una seconda ondata. A rafforzare quest’ultima convinzione è il debole rapporto di venerdì scorso sul mercato del lavoro USA riferito al mese di agosto. Nell’intervento del 23 agosto al Simposio di Jackson Hole, il governatore della Fed, Jerome Powell, ha spostato l’attenzione dall’inflazione all’occupazione come elemento principale da considera in tema di tagli ai tassi di interesse. Con lo spauracchio della recessione che avanza sulla base delle preoccupazioni sul lavoro, è possibile che il presidente usi la mano pesante nel meeting della prossima settimana. 

 

 

Azioni USA: quanto può incidere la Fed

Nel mercato degli swap, i trader stanno scontando tagli dei tassi per oltre 100 punti base prima della conclusione del 2024. Questo significa che in almeno una delle riunioni rimanenti, ci sarebbe una sforbiciata di mezzo punto percentuale. Gli operatori scommettono altresì che nei prossimi 12 mesi il costo del denaro venga abbassato per complessivi 200 basis point, il che creerebbe le condizioni per lo smantellamento delle operazioni rimaste di carry trade.

 

A giudizio di Wilson, i mercati obbligazionari stanno già riflettendo che la Banca centrale ha aspettato troppo a lungo per allentare la sua politica monetaria. Pertanto, l’esperto non si aspetta un rally delle azioni USA almeno “fino a quando il mercato obbligazionario non inizierà a credere che la Fed non sia più dietro la curva, i dati sulla crescita invertiranno la rotta e miglioreranno materialmente o non verranno introdotti ulteriori stimoli politici”. Ad ogni modo, da qui all’appuntamento del 17-18 settembre, la volatilità sui mercati azionari sarà alta, sottolinea lo strategist di Morgan Stanley.

 

 



 

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