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Pensioni, con la manovra in vista e il governo a caccia di fondi, torna in primo piano anche il cantiere delle pensioni. Nonostante le richieste della Lega per aprire un nuovo canale di uscita con 41 anni di contributi, ma anche la penalizzazione del ricalcolo contributivo, difficilmente verranno introdotti nuovi sistemi per lasciare il lavoro anticipatamente. Anzi nei giorni scorsi sono circolate anche alcune ipotesi riguardo una nuova stretta sulle regole attuali, allungando magari le finiestre che ritardano di fatto il pensionamento.

I bonus mirati

Si valuta invece l’ipotesi di introdurre nuovi bonus mirati per incentivare i lavoratori a non andare in pensione. Si pensa in particolare ad alcune categorie come quelle delle forze dell’ordine, che fra l’altro hanno regimi in cui normalmente si esce prima dal lavoro di altrre categorie. La direzione in cui si ragione è quella di introdurre misure simili al cosiddetto bonus Maroni. Questo incentivo consiste nella possibilità di rinunciare al pensionamento anticipato, una volta raggiunti i requisiti, e di avere in busta paga la quota di contributi previdenziali a proprio carico, aumentando così lo stipendio netto.

Il rinvio della pensione per gli statali

Il governo studia anche di dire addio nella Pa al pensionamento automatico quando si raggiungono i requisiti per l’uscita. La misura mira a superare la cosiddetta risoluzione obbligatoria del rapporto a 65 anni per chi ha versato 42 anni e 10 mesi o 67 anni per gli altri. L’obiettivo del governo è frenare la fuga dal pubblico impiego. Soprattutto di quelle figure con maggiore esperienza e conoscenze, dirigenti in primis, che per questioni economiche e di carriere si fa fatica a trovare sul mercato. E che, quando ci sono, preferiscono il privato per le stesse regioni. Sempre nella stessa logica si sta valutando di alzare – e sempre su base volontaria – da 60 a 62 anni l’età di ritiro nelle forze dell’ordine. Una richiesta di questo genere era, per esempio arrivata dal ministero della Giustizia, per le guardie carcerarie.

Quota 103 e opzione donna

Cosa rimarrà degli scivoli introdotti lo scorso anno e in scadenza a fine dicembre? L’attuale Quota 103 non è molto appetibile. Permette sì di lasciare il lavoro a 62 anni con 41 di contributi, ma accettando un ricalcolo contributivo della pensione e dovendo attendere 7 mesi nel privato e 9 mesi nel pubblico, prima di poter ricevere l’assegno. Anche Opzione Donna ha ottenuto una decisa stretta e ora riguarda solo chi assiste un parente disabile, chi ha una invalidtà o chi è dipendente di una azienda in crisi. L’età inoltre da 58 anni è salita a 61, che possono essere ridotti solo alle donne con figli. E anche in questo caso è previsto il taglio della pensione attraverso il ricalcolo contributivo.

La nuova stretta sulla rivalutazione

E’ possibile che nella prossima manovra arrivi anche una nuova stretta sulle pensioni per provare a contenere la spesa. Già l’anno scorso il governo ha introdotto una serie di tagli, alcuni dei quali anche con un impatto rilevante. Come per esempio le misure sulle pensioni dei dipendenti pubblici di alcune gestioni, quelle dei medici, dei dipendenti degli enti locali e degli ufficiali giudiziari, che si sono viste annullare una serie di meccanismi di calcolo degli assegni privilegiati rispetto agli altri lavoratori (con un parziale dietrofront poi per medici e infermieri). Il governo ha anche reintrodotto dal prossimo anno l’adeguamento automatico dell’età di pensionamento alla speranza di vita. E ha tagliato le rivalutazioni per le pensioni più alte. Una stretta che potrebbe essere varata di nuovo. 

I calcoli

Dopo il +8,1% del 2023 e il +5,4% di quest’anno, per il 2025 l’inflazione – in base agli utlimi dati disponibili – si attesterà a un livello di poco superiore all’1%. L’indice nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (Foi), al netto dei tabacchi, l’indicatore su cui viene calcolata la rivalutazione delle pensioni, a luglio ha registrato una crescita su base annua dell’1,1% (l’inflazione acquisita per il 2024 è pari invece al +1%). L’aumento degli assegni per il 2025 oscillerà dunque su una cifra di poco superiore all’1%, salvo nuove forti impennate dei prezzi al momento non prevedibili.

Quando scattano gli aumenti

L’incremento provvisorio delle pensioni verrà calcolato dall’Istat a fine ottobre. Su quel dato verrà stabilito dal governo l’aumento degli assegni che scatterà da gennaio 2025. All’inizio dell’anno prossimo l’Istat comunicherà poi il dato definitivo dalla crescita dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati per il 2025 e il governo provvederà a erogare l’eventuale conguaglio (nel 2024 l’aumento provvisorio è stato poi confermato e non ci sono stati ulteriori incrementi).

Le percentuali di rivalutazione

Dal 2023, per ridurre l’esborso per le casse dello Stato della rivalutazione delle pensioni (in seguito alla forte crescita dell’inflazione), il governo ha tagliato le percentuali di aumento degli assegni. Poi ridotti ulteriormente quest’anno per le pensioni più alte. Oggi dunque la rivalutazione avviene con queste modalità:

Fino a quattro volte il trattamento minimo (nel 2024 pari 614,77 euro): 100%
oltre 4 e fino a 5 volte il trattamento minimo: 85%
oltre 5 e fino a 6 volte il trattamento minimo: 53%
oltre 6 e fino a 8 volte il trattamento minimo: 47%
oltre 8 e fino a 10 volte il trattamento minimo: 37%
oltre 10 volte il minimo: 22%

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