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I PRESUPPOSTI CONCETTUALI DI UNA RICERCA

Sostenibilità e community engagement. Sono queste le parole chiave che sottendono e animano il recente volume di Carmen Vitale, ricercatrice di Diritto amministrativo presso il Dipartimento di Scienze della formazione, dei beni culturali e del turismo dell’Università di Macerata. Riuso e valorizzazione del patrimonio culturale nelle aree interne. Profili giuridici (Giappichelli, 2024) è un libro denso e articolato, frutto di un percorso di ricerca pluriennale meditato e aggiornato, che si addentra in una materia complessa e intricata – non solo sul piano giuridico, ma anche su quello storico e socio-economico – con l’obiettivo di indagare gli strumenti più utili a garantire la sopravvivenza del patrimonio culturale delle aree interne e il suo pieno contributo allo sviluppo dei territori nel quadro della governance multilivello e della sussidiarietà verticale e orizzontale.

L’autrice fonda la sua argomentazione su due presupposti concettuali: da un lato la specificità delle aree interne, caratterizzate da spopolamento e ritardo nello sviluppo, oltre che da significativa distanza dai servizi essenziali (istruzione, salute e mobilità), dall’altro la specificità del patrimonio culturale di tali aree, ricco, eterogeneo e capillarmente diffuso sul territorio, ma anche soggetto a degrado e abbandono. Su questi concetti viene calata una visione unitaria e integrata di tutela e valorizzazione, che trova un’efficace sintesi nella fruizione e possibile attuazione nel riuso e nella rigenerazione come strumenti che consentono di restituire al patrimonio culturale un valore che rischia di andare perso.

GLI INTERVENTI PER E NELLE AREE INTERNE IN UNA PROSPETTIVA DIACRONICA

Carmen Vitale non si limita ad affrontare il tema con uno sguardo sul presente, ma affonda l’analisi nella storia degli interventi legislativi che negli anni hanno riconosciuto il valore della difformità territoriale e (ri)dato, seppur con esiti non sempre positivi, centralità ai territori. Si traccia così il percorso che dal fallimento delle politiche per il Mezzogiorno avviate tra fine ’800 e inizi ’900 ha condotto alla nascita delle Comunità montane, poi trasformate in Unioni di Comuni, fino alle politiche europee di coesione, di cui si evidenziano i limiti nel perseguimento del riequilibrio territoriale, come il parziale impiego delle risorse disponibili, spesso utilizzate per opere prive di finalità strategica. In questo contesto si inserisce la Strategia Nazionale Aree Interne (SNAI) che declina la governance multilivello secondo un approccio place-based e highly contingent on context, punto di forza e, al tempo stesso, di debolezza della strategia stessa per le implicazioni che ne derivano in termini di complessità procedurale, tempi di realizzazione e raccordo tra i diversi soggetti istituzionali coinvolti. A chiusura di questo percorso si colloca il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), che l’autrice definisce un’occasione mancata. In particolare vengono messi in luce i limiti dell’Investimento 2.1 della Missione 1 – Digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo, Componente 3 – Turismo e Cultura 4.0, denominato “Attrattività dei Borghi”, dagli aspetti connessi alla perimetrazione degli interventi a quelli relativi al ruolo delle Regioni, in alcuni casi coinvolte solo formalmente, in altri responsabili di scelte discrezionali nella selezione dei progetti senza un adeguato confronto con gli enti locali. Come si argomenta ad apertura dell’ultimo capitolo, pur richiamandosi esplicitamente alla SNAI, le misure del PNRR per i borghi ne contraddicono uno dei pilastri fondamentali, stimolando logiche competitive tra comuni invece di promuovere forme di aggregazione tra gli stessi; da non trascurare inoltre il focus sulla valorizzazione turistica dei territori a scapito dell’attenzione alle comunità dei residenti.

STRUMENTI SPECIFICI PER UN PATRIMONIO SPECIFICO

Il volume analizza la specificità del patrimonio culturale delle aree interne collocandola in un sistema di cerchi concentrici, in cui alla definizione fornita dal Codice dei beni culturali si aggiungono quelle delle convenzioni internazionali, dalla Convenzione UNESCO per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale (2003) alla Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore del patrimonio culturale per la società, meglio nota come Convenzione di Faro (2005), verso una progressiva espansione e diversificazione del concetto di patrimonio culturale – plurale, aperto e dinamico – e un maggiore coinvolgimento dei cittadini nei processi di gestione. In questo contesto le aree interne si connotano per la varietà e la rilevanza dei loro patrimoni culturali: patrimonio paesaggistico, istituzioni culturali (spesso di proprietà di enti locali) e patrimonio culturale immateriale (tradizioni e feste popolari).

Nel suggerire la necessità di un approccio integrato e di un nuovo rapporto pubblico-privato, tale specificità mette in luce i limiti delle logiche improntate all’applicazione del principio della redditività del patrimonio pubblico e degli strumenti gestionali individuati dalla normativa di settore, dalle concessioni alle sponsorizzazioni, maggiormente efficaci per grandi istituzioni caratterizzate da significativi flussi turistici e in grado di generare reddito, molto meno nel caso di beni in condizioni di degrado o abbandono scarsamente appetibili per il privato. A tal proposito Vitale individua tre diverse possibili forme di coinvolgimento del privato: una cooperazione orizzontale “debole”, in cui il pubblico arretra per esternalizzare le attività di valorizzazione al privato che ne assume la gestione; una forma intermedia in cui pubblico e privato cooperano nella definizione delle strategie di valorizzazione, come nel modello previsto dall’art. 112, comma 8 del Codice dei beni culturali; una cooperazione orizzontale “forte”, codificata in norme diverse da quelle del Codice dei beni culturali, in cui si realizza la co-gestione delle attività di valorizzazione tra pubblico e privato. È su quest’ultima forma, verso cui va il favore dell’autrice, che si concentra l’ultima parte del volume.

Tra gli strumenti possibili si analizzano i contratti di partenariato speciale, le concessioni a canone agevolato a enti del terzo settore – previste dal Codice del Terzo settore nel caso di beni non direttamente redditizi e/o degradati e con il fine del miglioramento della fruizione del bene –, i patti di collaborazione che i comuni stipulano con gruppi di cittadini, associazioni o cooperative, e il community crowdfunding. Pur illustrando le potenzialità di tali strumenti, nel volume non si manca di discuterne i limiti quando applicati alle aree interne per inadeguatezza dimensionale e professionale delle strutture amministrative ed esigenze di formazione e aggiornamento dei dipendenti pubblici coinvolti nelle relative procedure. Tra i soggetti che possono cooperare viene infine richiamato il ruolo delle fondazioni bancarie e delle cooperative di comunità.

Il volume che, soprattutto nell’ultima parte, si avvale della discussione critica di casi, esperienze e best practices, fornisce numerosi spunti di riflessione a un pubblico di giuristi, ma costituisce un valido supporto giuridico anche per policy makers e addetti ai lavori che si confrontano quotidianamente con le necessità della tutela e della valorizzazione del patrimonio culturale delle aree interne.

Vitale C. (2024), Riuso e valorizzazione del patrimonio culturale nelle aree interne. Profili giuridici, Torino, Giappichelli.

ABSTRACT

The new volume by Carmen Vitale (Giappichelli, 2024) discusses the reuse and enhancement of cultural heritage in inner areas by investigating the most appropriate legal instruments to guarantee its survival and contribution to sustainable development through the active involvement of local communities. The volume suggests the possibility of using innovative tools regulated outside the Code of Cultural Heritage such as collaboration agreements, special partnerships and agreements with third sector entities.

 

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