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È possibile che il topic più trendy dell’estate 2024 rimarrà l’overtourism. Operatori travel, sindaci e comunità locali si uniscono in una corale manifestazione di dissenso nei confronti del turismo di massa, reo di snaturare i luoghi, di turisticizzare le economie e di opprimere i residenti con una devastante monocultura della rendita di posizione. Intanto una gran parte del “Bel Paese” rimane poco valorizzata. E se il guaio non fosse il sovraffollamento ma la mancanza di pianificazione e organizzazione della destinazione Italia?

Le destinazioni più amate dai turisti sono sempre più affollate: spiagge gremite, file interminabili per accedere alle attrazioni turistiche, traffico perennemente rallentato e centri storici intasati sono solo alcuni tra gli effetti che visitatori e residenti di località turistiche subiscono in tutto il mondo. Viaggi sempre più brevi e frequenti, con soggiorni mirati a soddisfare un consumo edonistico, frettoloso, “mordi e fuggi“, “instagrammabile” e “da selfie“, con la conseguenza che nei luoghi sovraffollati i visitatori pestano i piedi ai residenti, che ormai molto frequentemente protestano.

Non solo nelle città d’arte, l’overtourism è un fenomeno che stagionalmente interessa anche località balneari, comprensori sciistici e persino località rurali, dove la crescita esponenziale del turismo rende introvabili, inaccessibili o insostenibili il mercato degli immobili e degli affitti residenziali, la mobilità, i parcheggi, i servizi pubblici, le manifestazioni culturali e le risorse – l’energia e l’acqua – sfruttate fino a scarseggiare.

QUALCHE DATO

Secondo le stime per l’anno in corso del World travel & tourism council (Wttc), il settore turistico varrà 223 miliardi di euro nell’economia italiana (+8.4% sul 2023), con un impatto occupazionale da record: quasi 3 milioni di lavoratori. Un trend positivo che si confermerà per l’intero decennio: si prevede che il turismo contribuirà per 270 miliardi all’economia nazionale (pari al 12.6%) con 3.5 milioni di addetti occupati (che rappresenteranno il 15.7% di tutti i posti di lavoro).

Dati che non lasciano sperare si tratti di una querelle da sbrigare sotto l’ombrellone: il turismo è uno dei settori in maggiore crescita degli ultimi decenni, tanto da rappresentare attualmente il 10% del Prodotto interno lordo globale e il 10% della forza lavoro mondiale. E continuerà a crescere, almeno fino al 2030, secondo il rapporto firmato dalla Un World tourism organization (Unwto) in collaborazione con l’International transport forum (Itf). L’analisi – che rappresenta la prima valutazione dettagliata mai effettuata sulle emissioni di CO2 legate al turismo – dimostra inequivocabilmente che il settore continuerà a trainare lo sviluppo socioeconomico ma dovrà affrontare la sfida epocale di ridurre la propria impronta ambientale.

SI consideri che l’analisi dimostra che il turismo globale non è nemmeno vicino al raggiungimento del proprio apice: entro un decennio è previsto che i flussi continuino ad aumentare molto oltre la capacità di carico dei luoghi. In Italia, dovremmo passare da circa 60 milioni di presenze a 75 milioni, con due problemi molto seri:

  1. Le città d’arte sotto assedio.

Il temuto sorpasso dei residenti a Venezia è arrivato: 49.693 posti letto dell’offerta ricettiva hanno superato i 49.308 che abitano nel raggio dello stesso centro storico, divenendo così l’icona mondiale dell’overtourism (sovraffollamento percepito). Le stime dicono che nel 2030 le calli della città lagunare saranno popolate soltanto di turisti.
Il tasso di crescita delle presenze a Firenze non fa meno paura: associato al crescente successo del fenomeno del sommerso, il numero di notti soggiornate dai turisti in Toscana è tornato a salire con cifre da record, riportate dal Centro Studi Turistici Firenze: le stime dell’estate toscana 2023 indicano oltre 5,9 milioni di arrivi e 23,9 milioni di presenze, dati che superano i risultati del pre-pandemia. Il Corriere Fiorentino riporta il paradosso di una città diventata troppo turistica anche per i turisti: «Perché veniamo qui? Per scattare le foto e postarle sui social». «È una città da Instagram, ma non potrei viverci».
E che dire della Città Eterna, meta preferita degli stranieri, con 10 milioni di arrivi e 22 milioni di presenze ufficiali nel 2022? Ad esempio che la permanenza media è in continua riduzione: poco più di due giorni sono ormai ritenuti sufficienti per dare un’occhiata a Colosseo, Fori Imperiali, San Pietro, Musei Vaticani, Fontana di Trevi, piazza di Spagna e poi via, ripartire verso altri lidi. Meno giorni, meno soldi spesi.

  1. Coesione territoriale.

Osservando i dati di Confindustria, si può riscontrare che soltanto l’8% degli arrivi internazionali guarda a Mezzogiorno e il 6% alle isole, dove certo non mancano straordinari patrimoni di natura, arte e cultura. Per non parlare delle aree interne del Paese e degli Appennini, dove le località “minori” continuano ad essere completamente estranee ai cataloghi dell’offerta (secondo i dati dell’Annuario ISTAT, il 69.4% delle presenze straniere non va oltre Veneto, Trentino-Alto Adige, Toscana, Lazio e Lombardia). Altro che autonomia differenziata!

OVERTOURISM E OVERCROWDING

In un mondo ideale, il turismo dovrebbe essere una situazione win-win, vantaggiosa per tutti, in cui sia la comunità locale che i viaggiatori traggono un vantaggio, con la mano pubblica e la mano privata concentrate sulla creazione di luoghi migliori in cui vivere e da visitare. Tuttavia la realtà è diversa e, negli ultimi anni, l’industria dei viaggi ha mostrato anche i suoi lati peggiori.

Quando i residenti devono adeguare in modo eccessivo le proprie attività quotidiane ai flussi di visitatori, il turismo può diventare un problema. C’è il pericolo che la percezione del “troppo” capovolga completamente l’attitudine dei residenti nei confronti dell’ospite. Ciò implica una tendenza sempre più critica verso il turismo e un conseguente disinteresse verso i vantaggi che comporta. Il fenomeno dell’overtourism pone al centro la percezione del turismo da parte di residenti e visitatori, indicando con chiarezza il livello di sopportazione reciproca.

Ciò include sia la dimensione fisica – quanti visitatori ed escursionisti può reggere un luogo? – ma soprattutto la soglia psicologica: quanto turismo possono sopportare i residenti? Quando cominciano a percepire la presenza dei visitatori come eccessiva? E quale soglia di sovraffollamento può accettare un visitatore? Chi viaggia cerca sempre più mete esclusive, uniche e autentiche, con un livello di servizi adeguato: l’arrivo di troppe persone rischia di distruggere la fama anche delle località più desiderate.

A causa della crescente accessibilità dei luoghi – determinata da vettori a basso costo, alloggi economici e social media che influenzano la domanda – alcune destinazioni sono diventate hotspot iconici o destinazioni “must-go”, in cui il volume di arrivi ha iniziato a sollevare preoccupazioni in ordine alla sostenibilità della capacità di carico sociale e ambientale, su due distinti versanti:

  • overtourism, misurato con un indicatore che mostra un rapporto squilibrato tra numero dei posti letto e numero di abitanti;
  • overcrowding, ovvero il “sovraffollamento percepito”, misurato sul numero di visitatori in relazione alla dimensione e alla capacità dei luoghi di offrire risposte alla domanda turistica.

I residenti sono solitamente i primi a lamentarsi degli effetti dannosi delle elevate densità dei due indicatori, ma anche i visitatori soffrono le conseguenze indesiderabili che impattano sulla propria esperienza di soggiorno, con implicazioni negative sulla soddisfazione, sulla reputazione e sulla fedeltà, che a loro volta dipendono dalla capacità di gestire le aspettative e le motivazioni dei turisti in termini di percezione.

Celebre ormai, da questo punto di vista, la battuta salace di Taleb Rifai (già segretario generale dell’Unwto): «La crescita del turismo non produce necessariamente overtourism. Il nemico è la cattiva gestione».

Le destinazioni non possiedono risposte univoche, ma è possibile fare riferimento ad almeno tre modelli teorici:

  • un primo basato sulla teoria della disconferma dell’aspettativa, che consente di confrontare le aspettative pre-visita con l’esperienza reale;
  • un secondo fondato sulla teoria del sovraccarico di stimoli, che valuta gli effetti dell’affollamento in relazione all’esposizione ad ambienti ad alta densità con interazioni incontrollate;
  • un terzo sulla teoria dell’interferenza sociale, che consente di monitorare la capacità di soddisfare gli obiettivi di visita in relazione all’andamento degli stati psicologici durante l’esperienza.

STAGIONALITÀ ECCESSIVA E NARRAZIONE SBAGLIATA

Un’analisi condotta su dati Eurostat (“Seasonality in the tourist accommodation sector”) dimostra che quasi un terzo dei pernottamenti turistici nel 2023 è stato registrato nei mesi di luglio e agosto. C’è dunque sul tappeto un tema di organizzazione sociale da affrontare, senza attendere un progressivo allontanamento dalle logiche produttiviste del Novecento che richiedevano di chiudere fabbriche e stabilimenti produttivi in determinati periodi dell’anno.

Va detto che praticamente non esiste più la bassa stagione e che, a prescindere dal periodo dell’anno e dalla meta che si sceglie per una vacanza, i prezzi e la folla a cui si va incontro sono sempre quelli tipici dell’alta stagione. A cambiare le carte in tavola è stata la pandemia, durante la quale in molti hanno cominciato a lavorare in smart working, che ha dato la possibilità di trascorrere lunghi periodi lontani da casa. Alcune aziende hanno mantenuto questa politica e gli effetti sul turismo si sono fatti sentire: praticamente ogni giorno paesi e città in giro per il mondo registrano l’arrivo di migliaia di turisti, amplificando gli effetti dell’overtourism e livellando gradualmente i prezzi.

Prima ancora c’è da considerare un modello di promozione e di narrazione dei luoghi fuorviante, che genera nei visitatori aspettative contrastanti con la realtà quotidiana delle comunità locali: raccontare beni paesaggistici e culturali come meravigliose Disneyland, o come luoghi della “Dolce Vita”, certamente non contribuisce ad educare un viaggiatore responsabile, consapevole della fragilità dei contesti che attraversa.

Parafrasando Taleb Rifai, più che attendere i risultati delle politiche di Venezia – dove in queste settimane è stato introdotto il ticket d’ingresso – occorrerebbe da subito limitare la promozione dei luoghi già fin troppo celebrati e divenuti meta di flussi turistici sproporzionati rispetto alla capacità di carico. In altre parole, per essere più diretti: moderare gli assessori al turismo che mostrino eccessivo entusiasmo.

Da ultimo, ma non meno importante, considerare che tasse d’ingresso, di sbarco o di soggiorno – sottratte allo scopo di avviare una gestione manageriale delle destinazioni e migliorare le performance del sistema turistico locale – perdono senso, significato e anche utilità: meglio potrebbe essere, a parere di chi scrive, immaginare di aumentare il livello di conoscenza e di consapevolezza dei visitatori circa le fragilità delle destinazioni, per coinvolgerli attivamente nella conservazione, nella tutela, nella valorizzazione o almeno nell’attenersi ad atteggiamenti di rispetto. I migliori risultati sono ottenuti dalle località che illustrano le motivazioni del contributo richiesto e offrono evidenza dello stato di avanzamento lavori delle azioni messe in atto a favore della comunità locale.

In altre più semplici parole: è essenziale comunicare come verranno utilizzate le entrate dell’imposta per garantire che i fondi siano assegnati in modo efficace ed etico. La trasparenza sull’impatto dell’imposta e la responsabilità dei responsabili della gestione sono gli ingredienti fondamentali per generare una condizione di fiducia, in special modo se gli investimenti sono indirizzati a migliorare le relazioni e le connessioni tra residenti e visitatori.

IN CONCLUSIONE, UNA RIFLESSIONE STRATEGICA

L’estate 2024 rimarrà dunque caratterizzata dal dibattito tra “sovraffollamento” e “potenzialità inespresse”, legate all’incapacità di valorizzare al meglio le immense risorse ereditate dal passato. I margini di miglioramento, in questa direzione, sono notevoli, considerato che in Italia:

  • il Prodotto Interno Lordo generato dal turismo (tra impatto diretto, indiretto e indotto) è stimato in 160 miliardi di euro (contro i 194 miliardi della Francia) e incide per il 10% sul Pil nazionale (contro il 15% della Spagna);
  • il tasso di occupazione medio annuo dei posti letto è pari al 37% (mentre la stessa percentuale sale al 40% in Germania, 47% in Francia e 54% in Spagna);
  • la densità di posti letto in strutture ricettive (80 ogni 1.000 abitanti) è in linea con quella dei principali competitor europei (77 in Francia, 74 in Francia) ma registra forti oscillazioni a livello territoriale (da 40 in Sicilia ad oltre 300 in Trentino Alto Adige).

Se gli arrivi internazionali nel mondo erano solo 25 milioni nel 1950 e oggi puntano decisi verso il miliardo e mezzo, concentrare l’attenzione soltanto sui numeri può essere fuorviante: il turismo del terzo millennio non è solo più grande ma ha cambiato natura. È un turismo esponenziale, sempre più veloce, invasivo, sospinto dalle nuove tecnologie digitali. È un’industria globale dall’aspetto frivolo, ma in realtà terribilmente pesante, anche per l’ambiente (ormai un aereo su due trasporta turisti). Anche un certo modo di fare promozione non aiuta, riducendo il numero delle possibili mete – in teoria infinite – e affolla poche destinazioni già fin troppo popolari ma con maggiore capacità di spesa pubblicitaria.

Non è la fine del mondo, ma la fine del turismo come l’abbiamo conosciuto nel Novecento.

Il cambiamento è prima di tutto nel modo di pensare. Se ragioniamo sempre nello stesso modo, senza mettere mai in discussione i principi, arriviamo poi sempre agli stessi risultati (e soprattutto commettiamo gli stessi errori). Per evitare che il turismo colonizzi interi quartieri della città, contendendoli ai residenti, occorre dire addio allo scambio tra guadagni turistici e qualità della vita. Per riuscire, occorre lasciare l’economia turistica al tempo del consumismo privo di etica e sostenibilità per abbracciare l’approccio dell’economia dei visitatori.

ABSTRACT

The text aims to offer a careful look at the concepts of overtourism and overcrowding, highlighting the differences in order to acquire greater awareness of the different destination policies that have become necessary to deal with the worst phenomena produced by excessive tourist flows. And the author declares the suspicion that the solution is not in limited numbers or in entrance fees to cities, but in the necessary change of mentality: we need to say goodbye to the exchange between tourist earnings and quality of life.

 

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