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«Su un orizzonte di 13 anni e per un totale di oltre 16.500 dati censiti, il Sud si conferma come la terza regione più attrattiva tra i 22 Paesi del Mediterraneo considerati nell’analisi. In particolare, si posiziona al quinto posto nel dominio di analisi economico, al terzo posto nel dominio di dotazione (che considera gli asset a disposizione del territorio), al quarto posto nel dominio di innovazione e cultura e al settimo posto nel dominio sociale». Rileggere i dati del Mediterranean Sustainable Development Index (MSDI), l’indice progettato da The European House Ambrosetti per misurare l’attrattività e la competitività del Mezzogiorno nell’area euromediterranea, non è un esercizio inutile a pochi mesi dalla loro presentazione. Quei dati spiegano a chiare lettere perché non ha molto senso nutrire ancora pregiudizi e dubbi sulla crescita del Mezzogiorno degli ultimi anni e sulle sue ulteriori opportunità a beve e medio termine. E il fatto che sulla stessa lunghezza d’onda si ritrovino ormai stabilmente altri accorsati indicatori economici dell’Italia che fa, da Srm alla Svimez passando per Istat e Confindustria, rafforza la credibilità dell’urgenza del cambio di paradigma sulla narrazione del Sud. Certezze, insomma, non sensazioni avulse dal contesto: certezze che non annullano improvvisamente il peso di problemi irrisolti, dall’occupazione distante ancora troppi punti dalla media del Nord Italia e dell’Ue alla fuga dei cervelli, dal gap infrastrutturale alle difficoltà della PA, ma dimostrano che ormai non si può più considerare marginale il ruolo del Mezzogiorno nella crescita del Paese. Tra i tanti esempi a supporto di questa tesi, raccontati ogni giorno dal Mattino, spiccano proprio i cervelli di ritorno, i tanti che hanno deciso di rientrare al Sud per continuare le loro carriere, non solo universitarie. 

La crescita 

Crescita è la parola chiave, a prescindere persino dal confronto con le altre macroaree del Paese. Il Sud che migliora non è a danno del Nord Est o del Centro ma a vantaggio del Paese unito. Lo si capirà di più quando la Zes unica, la più grande “free zone” europea, entrerà a pieno regime sfruttando vantaggi competitivi come l’autorizzazione unica per gli investimenti, che sburocratizza procedure altrimenti infinite, e il credito d’imposta che il governo ha opportunamente raddoppiato a 3,2 miliardi dopo le 16mila richieste pervenute dalle imprese meridionali. Se la Zes unica, tenacemente voluta dal ministro Raffaele Fitto, diventerà, anche solo in parte ciò che le Zone economiche speciali hanno rappresentato per la Polonia (uno dei Paesi cresciuti di più negli ultimi 20 anni nell’Ue grazie proprio alle fiscalità di vantaggio) i ricaschi per l’intero Paese sarebbero enormi.

Le premesse, di sicuro, sono già adesso incoraggianti. Se l’Italia che esporta è cresciuta del 53%, il Sud dell’export ha fatto registrare, tra il 2014 e il 2023, una performance di +68%. Se fosse una nazione a sé, sarebbe la prima del G7, e anche questo primato è a dir poco certificato e acquisito. Non a caso pochi giorni fa da un economista del calibro di Marco Fortis è arrivata la notizia del sorpasso dell’Italia sul Giappone che ci colloca al quarto posto mondiale per esportazioni. Senza Sud questo traguardo, misurato peraltro sui primi sei mesi dell’anno in corso, sarebbe stato a dir poco difficile da raggiungere.

Le stime sul Pil, del resto, elaborate da Srm nelle previsioni economiche di mezza estate, dimostrano che dopo il rimbalzo post pandemico del 10,7% e la crescita cumulativa del 3,4% tra 2019 e 2023, il Mezzogiorno nel 2024 non arretrerà. Anzi, proseguirà l’incremento dell’occupazione, che nel 2023 ha registrato un aumento del 3,1%, un punto sopra la media nazionale, sotto la spinta delle Pmi innovative (+16,3% nel primo semestre) e delle Start up che continuano a mostrare performance migliori del dato nazionale. Ma a rafforzare il tessuto imprenditoriale contribuisce anche l’aumento delle società di capitale con un +4% primo semestre 2024 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (+3,3% in Italia). 

Gli incentivi 

Pagano, sicuramente, le misure esclusive per il Sud di incentivazione e sgravi fiscali confermate o introdotte ex novo dal governo che puntano a irrobustire l’occupazione e la dimensione anche industriale dell’area. Un aspetto, quest’ultimo, che spesso non si considera fino in fondo anche se è proprio nel Mezzogiorno che si concentra, ad esempio, la quota maggiore di produzione di auto, furgoni commerciali e motori del Paese, o di impianti estrattivi di idrocarburi e così via. Decisive le proroghe della Decontribuzione sul costo del lavoro per le imprese meridionali che permetterà loro, fino al 31 dicembre, di stabilizzare il personale e assumere nuovi dipendenti a tempo indeterminato. E di Resto al Sud che rimane il punto di riferimento più concreto per la nascita di autoimprenditorialità attraverso il sostegno pressoché totale delle risorse pubbliche. Tra pochi giorni poi, come anticipato dal Mattino, scatteranno i nuovi bonus per facilitare le assunzioni di giovani e donne svantaggiate nel Mezzogiorno, con opportunità migliori rispetto al resto del Paese per le imprese che sceglieranno di avvalersi di questa ulteriore opportunità attraverso la Zes unica. 

Crescita al Sud vuol dire tutto questo ma anche altro. Voglia di investire nel digitale e nell’innovazione tecnologica, ad esempio, come dichiara più del 50% del campione di imprenditori intervistati da Srm. E capacità dei settori chiave di quest’area, dal turismo all’economia del mare, dall’ambiente alle costruzioni, all’energia di migliorare prospettive e investimenti. I porti meridionali servono già adesso il 47% del traffico merci del Paese pari a 224 milioni di tonnellate al 2023. Sotto il profilo energetico, il Mezzogiorno è il serbatoio di energia green del Paese con oltre il 39% del totale dei GWh generati da fonti rinnovabili (e punte nell’eolico che superano il 96%), dimostrando di essere l’hub ideale, il ponte tra l’Europa e l’Africa come previsto, peraltro, dal Piano Mattei. La filiera turistica, grazie alla componente straniera, ha ormai recuperato i valori pre-pandemici. E anche sul versante ambientale e sociale, il cammino del Mezzogiorno è diventato più sicuro: nel primo caso, infatti, si contano ad esempio 231 Comuni “Rifiuti Free” con una crescita del 31% nell’ultimo anno (in Italia +11%). Nel Sociale, invece, il Sud si conferma la seconda area del Paese per Istituzioni Non profit (poco meno di 100mila), in lieve crescita nell’ultimo anno mentre la media Italia flette, sia pure di poco. Sono tutti indicatori che aiutano a capire, come ha fatto Ambrosetti, perché dal 2021 tra investimenti nuovi o incrementali, censiti da fonti dirette e/o pubbliche, e con orizzonte al 2030, si è arrivati al Sud a oltre 163 miliardi di euro investiti e 495mila occupati. Il Pnrr gioca un ruolo decisivo ma senza un humus come quello che si sta determinando nel Mezzogiorno rischierebbe di diventare solo un palliativo, una colata di risorse senza prospettive di sviluppo duraturo. Esattamente il contrario di questa sfida. 



 

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