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Con il ritorno dei vincoli sui conti pubblici, lo spazio per la prossima manovra di Bilancio è più stretto. Ma l’intenzione del governo è «spingere la crescita», come hanno sottolineato un po’ tutti, da Antonio Taiani a Matteo Salvini. Si parte da 25 miliardi e due punti fermi. Confermare (e rafforzare) il taglio del cuneo contributivo e confermare la riduzione da quattro a tre delle aliquote Irpef introdotta lo scorso anno ma valida solo per dodici mesi. La prima misura, che comporta un aumento netto delle buste paga in media di 100 euro per i redditi fino a 35 mila euro, costa da solo 10,7 miliardi.

La seconda misura ha un costo, invece, di circa 4 miliardi. Quest’ultima però, può contare sui soldi già raccolti nel Fondo per la riforma fiscale. Per il cuneo le risorse andranno trovate da nuovi spazi di deficit grazie al buon andamento delle entrate tributarie, tagli di spesa (2,5 miliardi) e altre coperture ancora da individuare. In cerca di una conferma (e di un eventuale rafforzamento), è anche il pacchetto famiglia. Le misure da prorogare sono il “bonus mamme” con la decontribuzione totale fino a 3 mila euro per le donne con due figli, e il pacchetto di sgravi per il welfare aziendale.

I due capitoli più spinosi riguardano invece le pensioni e un nuovo taglio delle tasse per la classe media. Gli interventi sulla previdenza sono complicati dal calo demografico che mette a rischio la sostenibilità del sistema. Nuovi prepensionamenti generalizzati sono esclusi. La Lega ha proposto un pensionamento con 41 anni di contributi, ma con un taglio dell’assegno con il ricalcolo contributivo e altri paletti sull’età. Fratelli d’Italia, tramite il vice ministro all’Economia, Maurizio Leo, studia una riduzione delle aliquote tra i 35 mila e i 55 mila euro di reddito. Tutto dipende dalle risorse che saranno trovate da qui a fine anno.

 

Irpef, meno tasse per il ceto medio

Dopo l’accorpamento delle prime due aliquote nella scorsa manovra, il governo è pronto a rilanciare sull’Irpef anche nella prossima legge di bilancio. E lo farà nell’ottica di aiutare il ceto medio. I tecnici del Mef stanno studiando possibili tagli delle tasse sui redditi tra i 35 mila e i 50-55 mila euro. Tra le soluzioni, c’è l’abbassamento di un punto o due punti percentuali dell’aliquota del 35 per cento per chi dichiara tra i 28mila e i 50mila di Pil. Per ogni punto si devono però trovare coperture tra i 2 e i 2,5 miliardi di euro. Si guarda anche ad alleggerire le pressioni sui redditi sopra i 50mila euro. Capitolo cuneo fiscale: confermate le decontribuzioni attuali per i dipendenti – valore 10,7 miliardi di euro – con il taglio del 7 per cento per i redditi fino a 25mila euro e del 6 per cento per i redditi fino a 35mila euro annui. Ma il governo ha già chiesto alla Ue di utilizzare i fondi di coesione per ridurre di più il costo del lavoro. Si parla di un intervento sulle tax expenditures, sfoltendo detrazioni e deduzioni, ma saranno confermati il bonus mamme, gli sgravi per le nuove assunzioni, le agevolazioni su premi di risultato e fringe benefit . 

Privatizzazioni

Nella Nadef dello scorso anno, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha programmato un pacchetto di privatizzazioni pari a circa l’1 per cento del pil, circa 20 miliardi, fino al 2026. In questa direzione dovrebbero arrivare novità dalla prossima legge di bilancio, dopo che a metà maggio il Mef ha annunciato il collocamento di una quota del 2,8 per cento di Eni. Guardando agli altri dossier allo studio in via XX settembre si guarda innanzitutto a due colossi dei servizi come Poste e Ferrovie. Sul versante di Poste il governo, che detiene anche attraverso Cassa depositi e prestiti una partecipazione del 64,3 per cento, ha annunciato che non intende scendere sotto il 51 per cento. Giorgetti ha comunicato che la vendita dell’intera quota del Mef – 29,26 per cento – può portare a un ricavo di «circa 4,4 miliardi di euro». Per quanto riguarda Ferrovie, interamente pubblica, una quotazione del 40 per cento potrebbe far incassare al governo una cifra tra i 4 e i 5 miliardi di euro.

Pensioni

Vista la forte crisi delle nascite in Italia, il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha in più occasioni ricordato che il sistema pensionistico necessita di alcuni accorgimenti per restare sostenibile. Nella prossima manovra non sono previsti innalzamenti dell’età pensionistica o una rimodulazione delle finestre di uscita, però non mancheranno alcuni interventi per disincentivare le uscite, anche per chiudere la stagione dei prepensionamenti anticipati, che ha visto una forte accelerata dopo il Covid. In questa direzione saranno introdotti anche nella prossima manovra incentivi per spingere chi lavora a prolungare la permanenza nel proprio posto. Chi, pur avendo raggiunto l’età di ritiro e i contributi, decide di non usare lo scivolo pensionistico, può ottenere in busta paga (su domanda all’Inps) un aumento del 9,19 per cento, ossia un esenzione dal versamento dei contributi sullo stipendio dovuti dal lavoratore. L’altra ipotesi, valorizzare in misura maggiore i contributi versati all’Inps dopo una certa età. Potrebbe saltare poi il sistema della quote, anche se la Lega ha proposto un “quota 41 light”.

Sanità e Statali

La Sanità e il Pubblico impiego sono due delle principali voci di spesa del Bilancio pubblico. Entrambe rischiano dunque, di dover pagare dazio alla nuova regola che impone il controllo della spesa primaria netta corrente per tenere sotto controllo i conti pubblici. In realtà, però, delle risorse andranno comunque trovate. Sulla Sanità il governo punta molto sui presidi territoriali. Inoltre sarà superato il tetto alle assunzioni oggi vigente per il personale. Servirebbero insomma, almeno un paio di miliardi in più. Per il pubblico impiego, invece, nella manovra di Bilancio andranno inserite le risorse per la vacanza contrattuale visto che quest’anno andrà scadenza il periodo contrattuale 2022-2024 (tra l’altro gli accordi non sono stati ancora firmati). Servirebbero tra 800 milioni e un miliardo solo per garantire a partire dal prossimo anno, la vacanza contrattuale. Sempre che il governo non voglia inserire nuove risorse per il vecchio contratto o iniziare a finanziare il nuovo.



 

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