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Che legame esiste tra legge elettorale ed evasione fiscale? A prima vista, nessuno. Ma, si sa, la “prima vista” è l’antitesi della scienza. Ed è così che un’osservazione quasi marginale al Meeting di Rimini del Direttore generale delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, si trasforma, almeno per chi è sensibile all’argomento, in un’interessante provocazione intellettuale: una legge elettorale proporzionale sarebbe collegata a una minore evasione perché i cittadini si sentirebbero più rappresentati. Non solo quindi parteciperebbero di più alle elezioni ma, sentendosi maggiormente parte della comunità, sarebbero indotti a evadere anche di meno. Ora, quell’incontro non era certo il luogo per approfondire una suggestione di questo tipo. E, a essere sinceri, probabilmente nemmeno un commento su un quotidiano lo è. Lasciando pure da parte il rigore dell’analisi scientifica, quindi, è possibile almeno chiedersi che cosa dicono, grossolanamente, i dati. A causa delle grandi riforme degli anni ’70 del secolo scorso, che hanno introdotto l’Irpef e l’Iva, i confronti con un passato ancora più lontano sono molto difficili. Limitandosi all’Iva, che storicamente in Italia è sempre stata l’imposta più evasa, si osserva che negli anni 80 e 90 del 1900 la differenza percentuale tra gettito potenziale e gettito effettivo era compresa tra il 35 e il 40%, ed era ancora superiore al 30% nel 2009 (dati Banca d’Italia). Oggi questa differenza si è ridotta a meno del 15%.

   Guardando alle leggi elettorali, in Italia è stato in vigore un proporzionale quasi puro fino al 1992; si è poi sperimentato un misto maggioritario proporzionale tra il 1993 e il 2001 (e dal 2018 ad oggi), e infine un proporzionale con forte premio di maggioranza dal 2006 al 2013. Un po’ difficile trovare grandi legami tra queste due grandezze; ancor di più se pensiamo come l’evasione dell’Iva sia piuttosto eterogenea sul territorio nazionale, pur in presenza di una medesima legge elettorale. È indubbio che, almeno per quanto riguarda l’Iva, il contributo principale sia stato dato da misure antievasione specifiche come split payment e fatturazione elettronica, introdotte negli ultimi dieci anni. Al di là di questo legame, tuttavia, il tema suggerito dalle parole di Ruffini resta interessante perché ben più ampio. Da diversi decenni, ormai, si osserva una convergenza tra economia e scienze politiche su un tema che può essere definito come “gli effetti economici delle norme”. Ciò che emerge è che forma di stato, forma di governo, leggi elettorali, e chissà quali altri contenuti di leggi e costituzioni, hanno un effetto sul livello di spesa pubblica, di tassazione, e perfino di crescita economica di un paese. Se il legame tra legge elettorale ed evasione fiscale, quindi, è ancora tutto da dimostrare, ciò non vale per altri risultati. Per esempio, secondo la letteratura scientifica, proprio una legge elettorale proporzionale è collegata a maggiore spesa pubblica, per diversi motivi. Quello più evidente è che elezioni con legge proporzionale difficilmente producono un unico partito vincitore, bensì coalizioni. E in una coalizione la necessità di soddisfare le esigenze di tutti gli alleati porta solitamente a spendere di più.

   Un altro motivo, forse più sottile, riguarda la possibilità di esprimere preferenze, una pratica non sempre possibile con una legge elettorale proporzionale. Se gli elettori possono influenzare l’identità degli eletti, questi ultimi si sentiranno più responsabili nei confronti dei primi, amministreranno meglio le loro imposte e quindi garantiranno una spesa caratterizzata da sprechi limitati. Al contrario, se la possibilità di essere eletti dipende solamente dalla posizione in lista, gli eletti saranno maggiormente incentivati a soddisfare le richieste del loro partito. E l’efficienza della loro azione sarà una questione di (eventuale) volontà personale e non di più efficaci incentivi istituzionali.

   Ora, cosa ci insegna questa letteratura? Che ogni tipo di riforma, specialmente quelle che riguardano la Costituzione, come recentemente l’autonomia differenziata o il premierato, nonché quelle elettorali, andrebbero valutate, dal legislatore così come dai cittadini, anche per i loro effetti economici. Anzi, ribaltando la prospettiva, potremmo chiederci di quali riforme avrebbe davvero bisogno il Paese per tornare a crescere in maniera vivace. In questo momento, molti concorderanno che la dimensione della pressione fiscale sia uno dei grandi freni dell’economia italiana. Ebbene, la possibilità di esprimere preferenze in sede elettorale, se non addirittura una più decisa svolta maggioritaria nella legge elettorale, come già argomentato, andrebbero proprio in questa direzione. Anche il presidenzialismo sembra essere collegato a una inferiore pressione fiscale, grazie, paradossalmente, a un maggior equilibrio tra poteri. Nei sistemi parlamentari, infatti, gran parte del potere ricade sul governo, il quale detiene di fatto l’iniziativa legislativa e, a causa del vincolo di fiducia, costringe il parlamento a coalizioni ampie e troppo spesso eterogenee. Ciò, di nuovo, non fa che aumentare la spesa pubblica e quindi la necessità di prelievo da parte dell’Erario. Chissà: forse, alla fine, si scoprirà che proprio con una minore pressione fiscale sarà diminuita anche l’evasione.

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