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Guardando avanti

Per superare le sue debolezze e tenere il passo con il progresso a livello mondiale, l’Unione europea dovrà avviare riforme profonde ed effettuare investimenti ingenti nei prossimi anni. 

Tra le riforme, ho già sottolineato l’importanza di creare una capacità fiscale comune, senza la quale l’attuale governance europea – caratterizzata da una politica monetaria unica e da politiche di bilancio frammentate a livello nazionale – rimane squilibrata. 

L’idea che la UEM [Unione Economica e Monetaria] possa funzionare efficacemente senza una capacità fiscale centralizzata è semplicemente un’illusione, e va superata. Una politica fiscale comune correggerebbe questo squilibrio e rafforzerebbe la coesione tra paesi membri, facilitando la realizzazione di investimenti strategici su larga scala.

Tra le altre riforme necessarie per la competitività dell’economia europea mi limito a ricordare l’allargamento del mercato unico ai settori oggi esclusi, come le telecomunicazioni e l’energia, al fine di stimolare concorrenza ed efficienza; la realizzazione di un ambiente normativo favorevole all’attività imprenditoriale, che possa attrarre investimenti privati e incentivare l’innovazione; il potenziamento dei legami tra il mondo accademico e il sistema produttivo, al fine di trasformare i risultati della ricerca in prodotti e servizi competitivi sul mercato globale. Anche sul fronte dei mercati finanziari, nel quale l’integrazione è molto avanzata, da anni mancano progressi significativi verso il completamento dell’Unione bancaria e la realizzazione di un mercato unico dei capitali. 

Quanto agli investimenti, i leader europei hanno già individuato i settori chiave su cui concentrare l’impegno: la doppia transizione – ambientale e digitale – e comparti strategici come l’alimentare, l’energia, la sanità e la difesa, nei quali è necessario ridurre la dipendenza dall’estero. 

Investimenti in questi settori saranno efficaci se realizzati a livello europeo, con fondi sia pubblici sia privati. La spesa richiesta è talmente ingente – dell’ordine di centinaia di miliardi all’anno per molti anni – che è irrealistico pensare che le sole finanze pubbliche o i singoli paesi possano sostenerla da soli. 

Molte delle attività menzionate hanno la natura di beni pubblici sovranazionali e richiedono pertanto un approccio coordinato a livello europeo. Ciò consentirebbe inoltre di beneficiare di economie di scala e di aumentare l’efficacia degli interventi. 

 

L’essenziale per l’Europa e per l’Italia

Molte delle debolezze strutturali dell’economia europea si ritrovano nell’economia italiana. 

Nelle Considerazioni finali dello scorso maggio mi sono soffermato sui problemi strutturali che da un quarto di secolo frenano il nostro sviluppo: dalla bassa crescita all’insoddisfacente andamento degli investimenti, dalla stagnazione della produttività fino alla preoccupante prospettiva demografica. 

In quell’occasione non ho mancato di sottolineare i segnali di vitalità emersi negli anni successivi alla pandemia. Investimenti, occupazione e crescita hanno mostrato una ripresa, e le imprese italiane hanno dimostrato una capacità competitiva sui mercati internazionali che non va sottovalutata.

Questi progressi ci consentono di guardare al futuro con fiducia. Senza indulgere in eccessi di ottimismo, dobbiamo partire da essi per costruire uno sviluppo sostenuto, duraturo e inclusivo. 

La crescita resta l’obiettivo fondamentale per l’Italia, ma per ottenerla dobbiamo affrontare con decisione i problemi strutturali irrisolti. Dobbiamo concentrarci sulle finalità essenziali: rafforzare la concorrenza, potenziare il capitale umano, accrescere la produttività del lavoro, aumentare l’occupazione di giovani e donne, definire politiche migratorie adeguate.

Il problema cruciale rimane la riduzione del debito pubblico in rapporto al prodotto. 

Un debito elevato rende più onerosi i finanziamenti alle imprese, frenandone la competitività e l’incentivo a investire; espone l’economia italiana ai movimenti erratici dei mercati finanziari. Sottrae risorse alle politiche anticicliche, agli interventi sociali e alle misure in favore dello sviluppo. L’Italia è l’unico paese dell’area dell’euro in cui la spesa pubblica per interessi sul debito è pressoché equivalente a quella per l’istruzione. Sottolineo questo confronto perché è emblematico di come l’alto debito stia gravando sul futuro delle giovani generazioni, limitando le loro opportunità. 

Affrontare il nodo del debito richiede politiche di bilancio orientate alla stabilità e al graduale conseguimento di avanzi primari adeguati. Tuttavia, la riduzione del debito sarà ardua senza un’accelerazione dello sviluppo economico.

La strada maestra passa per una gestione prudente dei conti pubblici, affiancata da un deciso incremento della produttività e della crescita. Questo circolo virtuoso aumenterebbe significativamente le probabilità di successo e rafforzerebbe la credibilità delle nostre politiche, alleggerendo il peso della spesa per interessi.

In conclusione, quali scelte ci consegneranno un domani migliore?

La risposta possiamo trovarla nei valori che hanno ispirato la nascita e l’evoluzione dell’Unione europea. 

Dopo la devastazione della Seconda Guerra Mondiale, l’essenziale per l’Europa è divenuto finalmente chiaro: costruire una società prospera e soprattutto pacifica. 

Questo valore fondante deve continuare a orientare le nostre scelte, soprattutto in tempi in cui sono riemersi conflitti e tensioni. 

Le ricette sono quelle che ci hanno guidato sin qui, basate sul principio della cooperazione e sull’obiettivo di costruire un’economia moderna, capace di affrontare le sfide globali. Con il fine di conseguire una crescita sostenuta e inclusiva come condizione per il bene comune e la concordia.

Il contributo dell’Italia sarà decisivo in questo percorso: affrontare le debolezze strutturali, ridurre il debito pubblico e promuovere una crescita elevata non solo rafforzerà la nostra economia, ma contribuirà anche alla solidità dell’intera Unione europea. 

Solo così potremo lasciare alle generazioni future un’Italia e un’Europa che abbiano saputo distinguere.

 

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