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ROMA. Il pacchetto natalità da inserire in manovra è un rebus: le poche risorse a disposizione e le visioni differenti nel governo rischiano di far saltare il bonus mamme per le lavoratrici con due figli, approvato nell’ultima finanziaria. Il fisco a misura di famiglia – vagheggiato dal centrodestra all’inizio della legislatura – ancora non si scorge all’orizzonte. Le ferie dei politici, e la tregua di dieci giorni chiesta dalla premier Giorgia Meloni annunciando il vertice con Matteo Salvini e Antonio Tajani il 30 agosto, non bastano a togliere dai radar l’appuntamento autunnale con la manovra. I provvedimenti diventeranno concreti a fine settembre, ma il cantiere è già aperto così come la caccia alle risorse: mancano 10 miliardi per definire il perimetro della legge di bilancio che si attesterà sui 25 complessivi.

Uno dei capitoli principali nella griglia su cui lavora il Mef è il pacchetto natalità. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti aveva iniziato la legislatura con una proposta shock rimasta lettera morta: «Zero tasse per chi fa figli». Come ribadito fino a qualche settimana fa dallo stesso Giorgetti, «senza un’inversione del trend demografico l’equilibrio della finanza pubblica non può essere sostenibile». Scenario confermato dalla Banca d’Italia che stima una perdita di Pil del 13% da qui al 2040 a causa del calo demografico. Il problema è che la tassazione ad hoc per le famiglie è rimasto solo uno slogan, pur avendo il governo lo strumento della delega fiscale a disposizione.

Giorgetti: “Non serve una manovra lacrime e sangue”


Nella legge di Bilancio dello scorso anno si è puntato molto sugli sgravi per le donne lavoratrici senza limiti di reddito. La norma, finanziata per tre anni, prevede per le mamme di tre figli un esonero contributivo di massimo tremila euro lordi fino al compimento dei 18 anni del figlio più piccolo. Solo per il 2024, e quindi in scadenza tra quattro mesi, l’agevolazione vale anche per le madri di due figli (fino ai dieci anni del più piccolo). La misura non si applica a domestiche, autonome e precarie. Una norma definita dalla premier Giorgia Meloni «cruciale», sebbene sia partita in ritardo per problemi con l’Inps. Dopo quasi nove mesi si può dire che la strategia dell’esecutivo per spingere la natalità non abbia scongelato l’inverno demografico.

Secondo l’Inps, il bonus mamme è stato chiesto da 484 mila donne su una platea di aventi di diritto di 793 mila. Le lavoratrici che beneficiano dello sconto in busta paga sono 362 mila madri di due figli e 122 mila madri di tre. I risultati si sono rivelati inferiori alle attese e lo stesso governo ci ha investito poco: le campagne informative sono state carenti, sebbene per i primi mesi nessuno avesse capito se lo sgravio fosse automatico o andasse fatto su richiesta.

Quanto alla norma in sé, lo scarso appeal si spiega con il fatto che l’agevolazione non è cumulabile con il taglio del cuneo fiscale fino a 35 mila euro. Un controsenso che porta le mamme con redditi alti ad avere uno sconto per i figli più alto delle donne con redditi bassi. Questo provvedimento è stato finanziato con circa 500 milioni di euro, è probabile che l’adesione limitata possa aver avanzato dei soldi in cassa, ma nel governo si stanno interrogando se convenga rinnovare lo sgravio per le mamme con due figli. Tra le proposte nel cassetto, inoltre, spunta l’ennesima riforma dell’Isee per correggere alcune distorsioni che pesano sui nuclei con figli.

Nel menù della legge di Bilancio, sempre a tema welfare familiare, una mossa importante riguarda i fringe benefit. A dicembre 2024 termina l’esenzione fiscale per beni e servizi prestati dal datore di lavoro ai dipendenti che quest’anno raggiunge un tetto di mille euro, duemila per chi ha figli a carico. Questi «buoni» servono alle famiglie per pagare le rette scolastiche, le mense, le bollette o anche l’affitto e il mutuo. Il provvedimento costa 350 milioni di euro, risorse da trovare per confermare l’intervento.

Sembra invece segnato il destino del bonus mobili al 50%, con un tetto di spesa passato in pochi anni da 16 mila a 5 mila euro, non sarà rinnovato nel 2025.

Tra gli altri nodi della manovra su cui i sindacati annunciano battaglia c’è il rinnovo dei contratti dei dipendenti pubblici. Nella finanziaria dello scorso anno sono stati stanziati 8 miliardi per il triennio 2022-24, ma per recuperare completamente l’inflazione ne servirebbero più di 20, cifre assolutamente insostenibili. Per il rinnovo 2025-27 si può ragionare sull’erogazione dell’indennità di vacanza contrattuale: servono quasi 800 milioni di euro.

 

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