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Contributo a cura del dott. Gaudenzio Parenti *

* Direttore generale Associazione Nazionale Compagnie e Imprese Portuali – ANCIP

 

Le sentenze n. 1393/2024 e n. 2775/2024 del Consiglio di Stato non mutano la situazione attuale. Viene anzi ribadita la puntuale regolazione e i controlli dell’AdSP in sede di eventuale autorizzazione all’autoproduzione, esplicitati nei commi 4.bis e 4-ter dell’articolo 16 della legge speciale n.84/94, e la fattispecie che il personale marittimo adibito per l’autoproduzione deve essere esclusivo e aggiuntivo alla tabella di armamento, come da nota del Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto, e che per lo stesso devono essere applicate le stringenti norme del CCNL di riferimento.

In merito alle due sentenze recentemente pronunciate dal Consiglio di Stato (n. 1393/2024 e n. 2775/2024) si rendono necessarie alcune puntualizzazioni rilevanti ai fini della concreta attuazione delle due decisioni dal punto di vista giuridico ed operativo…e non solo.

In primo luogo, va rilevato come la sentenza n. 1393/2024, nel procedere ad una interpretazione del testo dell’art. 16 della legge n. 84/1994 ai fini della risoluzione del caso concreto posto al vaglio dei giudici amministrativi, abbia ritenuto di “…di prescegliere il significato…che riconduca la norma alla necessaria conformità con il quadro normativo euro-unitario di riferimento, che non tollera l’esistenza di posizioni dominanti di dritti esclusivi per le operazioni portuali”. Ne deriva che il processo valutativo compiuto dal Consiglio di Stato ha definitivamente sancito la fondatezza e la tenuta giuridica dell’art. 16, commi 4-bis e 4-ter, legge n. 84/1994 rispetto ai principi comunitari di accesso al mercato delle operazioni e dei servizi portuali e, quindi, la legittimità delle prescrizioni sull’autoproduzione delle operazioni portuali nei confronti dei vettori marittimi privi di autorizzazioni ex art. 16, comma 3, legge n. 84/1994.

In altri termini, ogni qualvolta un vettore marittimo – che non sia in possesso, nel porto di riferimento, dell’abilitazione ex art. 16 legge n. 84/1994 – richieda di poter espletare in regime di autoproduzione le operazioni portuali, il rilascio di tale autorizzazione deve essere necessariamente subordinato alla preliminare verifica, a cura dell’Autorità di Sistema Portuale o Marittima territorialmente competente, della impossibilità di esecuzione delle attività richieste “né mediante le imprese autorizzate ai sensi del comma 3 del presente articolo né tramite il ricorso all’impresa o all’agenzia per la fornitura di lavoro portuale temporaneo di cui, rispettivamente, ai commi 2 e 5 dell’art. 17”, come previsto dall’art. 16, comma 4-bis della medesima legge.

Quanto alla pronuncia n. 2775/2022 del Consiglio di Stato, essa ha il pregio di entrare nel merito di alcuni importanti profili autorizzativi sottesi al rilascio dell’autorizzazione per l’esercizio delle operazioni portuali in autoproduzione in favore dei vettori marittimi.

Si ricorda che la sentenza in questione ha ritenuto fondati tutti i motivi di diniego dell’autorizzazione all’autoproduzione legittimamente sollevati dall’Autorità di Sistema portuale del Mar Ligure Occidentale nei confronti della compagnia di navigazione ricorrente, avendo rigettato tutti motivi di impugnazione proposti da quest’ultima nel merito.

In prima battuta, come da sempre sostenuto da ANCIP, la decisione ha chiarito ancora una volta – in linea con l’art. 8 del D.M. n. 585/1995, con l’art. 16, comma 4-bis lett. b), legge n. 84/1994, la nota di risposta ad interpello da parte dell’Ammiraglio Isp. Luigi Giardini del Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto, nonché con le pregresse indicazioni ministeriali e con le prassi operative – che il personale da adibire all’esecuzione delle operazioni portuali in autoproduzione a bordo della navi deve necessariamente essere aggiuntivo rispetto all’organico della tabella di sicurezza e di esercizio della nave e deve essere dedicato esclusivamente allo svolgimento delle operazioni portuali oggetto dell’istanza presentata dal vettore marittimo. In pratica, ai fini del rilascio dell’autorizzazione all’autoproduzione “…non è dunque sufficiente, da parte della richiedente, assicurare la presenza di personale adeguatamente formato che sia, tuttavia, adibito ad altre contemporanee mansioni…” poiché “…la pretesa di “esclusività” del personale, pertanto, appare conforme alle previsioni normative richiamate e costituisce adeguata ragione per selezionare le imprese che possono essere autorizzate all’autoproduzione delle operazioni portuali, …”; questo passaggio chiarisce, ove ve ne fosse ancora bisogno, la vicenda del personale di bordo dedicato alla esecuzione delle attività portuali in autoproduzione secondo le suddette prescrizioni normative confermate nella loro ragionevolezza e legittimità, anche rispetto ai principi euro-comunitari.

In secondo luogo, la sentenza ha il pregio di sottolineare che il regime di sicurezza delle operazioni portuali a bordo delle navi, comprese quelle in regime autoproduzione, deve essere regolamentato non già dal D.lgs. n. 271/1999 (che disciplina la garanzia della salute e sicurezza dei lavoratori marittimi e il cui rispetto è tuttavia sempre doveroso da parte degli armatori) bensì dal D.lgs. n. 272/1999, che rappresenta “la normativa speciale inerente alla sicurezza e alla salute dei lavoratori adibiti a tali operazioni”. Ciò impone agli Enti portuali di pretendere dai vettori marittimi istanti la documentazione in materia di sicurezza e salute dei lavoratori che sia conforme alle prescrizioni contenute nel D.lgs. n. 272/1999, con specifico riguardo alle attività da espletare a bordo delle navi, nonché il rispetto dal punto di vista operativo delle disposizioni di cui alla citata norma speciale.

In terzo luogo, la decisione ha rimarcato la legittimità delle valutazioni dell’AdSP sul presupposto che le istanze di autorizzazione all’autoproduzione delle operazioni portuali devono avere il carattere della “singolarità” e della “occasionalità” e non possono essere riferite all’intera attività navale del vettore marittimo oppure mirare ad ottenere titoli autorizzativi validi sine die.

Ed ancora, la decisione, in relazione alla possibilità per i lavoratori marittimi di svolgere le operazioni portuali (rizzaggio e derizzaggio) in autoproduzione a bordo delle navi, ha ritenuto opportuno “porre l’accento sulla peculiarità delle operazioni qui in discussione, che presentano tratti oggettivi di specificità rispetto al genus delle operazioni di cargo handling e che, come tali, richiedono una preparazione e una competenza mirate”; non senza aggiungere che il CCNL dei lavoratori marittimi prevede espressamente l’esecuzione di tali attività da parte del personale di bordo soltanto in mancanza dei “lavoratori di terra specializzati”.

Da ultimo, ma non per ultimo, la pronuncia ha certamente il merito di evidenziare, sia pure in relazione ai profili organizzativi tipici del porto di Genova, la centralità del Piano dell’Organico Porto nella parte in cui, anche ai fini delle valutazioni sulle istanze di autoproduzione dei vettori marittimi, si predilige l’apporto del personale del soggetto abilitato alla fornitura di lavoro portuale temporaneo ex art. 17 legge n. 84/1994, anche alla luce del fatto che, come detto, lo stesso CCNL dei lavoratori marittimi subordina l’esecuzione delle operazioni portuali di imbarco, sbarco e stivaggio mezzi da parte dei lavoratori marittimi alla mancanza del personale di terra ovvero dei lavoratori portuali.

Sulla base di questi elementi, si può ragionevolmente concludere che le sentenze in questione non mutano il quadro normativo di riferimento in quanto resta fermo il principio secondo cui l’esecuzione delle operazioni portuali in regime di autoproduzione da parte dei vettori marittimi deve essere subordinato alla stringente verifica – da compiersi in fase di rilascio dell’autorizzazione ex art. 16, commi 4-bis e 4-ter, legge n. 84/1994 – del possesso dei requisiti espressamente prescritti dalla legge, soprattutto in termini di adeguatezza, esclusività e sicurezza del personale da adibire alle attività da svolgere, come sopra enunciati pure dal Consiglio di Stato.

Tali requisiti debbono ovviamente persistere per tutta la durata dell’autorizzazione e, nel caso di vettore marittimo autorizzato ai sensi dell’art. 16, comma 3, legge n. 84/1994, vanno ovviamente soddisfatti gli standard operativi e di sicurezza previsti in generale dal D.M. n. 585/1995 nei confronti delle imprese portuali, salva sempre la necessità di applicare i pacifici principi sanciti dalla sentenza nel caso di utilizzo del personale di bordo per l’esecuzione delle operazioni portuali sulle navi.

A questo punto ci sorge spontanea la domanda sul perché una compagnia di navigazione chieda, e ottenga, l’autorizzazione per svolgere le operazioni portuali di cui al già citato art 16, comma 3 l.n.84/94 e al contempo richieda l’autorizzazione in autoproduzione. In linea teorica, infatti, la competente commissione consultiva e quindi, il Comitato di gestione avrebbero dovuto appurare il possesso di capacità tecnica e organizzativa, cosa che sicuramente sarà stata fatta.

E’ rimesso, infatti, agli Enti preposti il compito di vigilare attentamente sul rispetto delle regole basilari del lavoro portuale, per garantire un mercato equo e ossequioso dei principi generali finalizzati a garantire, primariamente, che le operazioni portuali siano sempre svolte: (i) da imprese in grado di assicurare i livelli di sicurezza ed efficienza voluti dalla legge; (ii) da personale qualificato e adeguatamente informato e formato, abilitato ad espletare le attività portuali in condizioni di sicurezza e con un trattamento retributivo e normativo rispettoso dei vigenti CCNL.

Risulta vincolante, invero, un aspetto sotteso nelle disposizioni di cui l’articolo 17, comma 13 l.n.84/94. Precisamente tale norma statuisce espressamente che: “Le Autorita’ di sistema portuale, o, laddove non istituite, le autorita’ marittime, inseriscono negli atti di autorizzazione  di cui al presente articolo, nonche’ in quelli previsti dall’articolo 16 e negli atti di concessione  di  cui  all’articolo  18,  disposizioni volte a garantire un trattamento normativo ed economico minimo inderogabile ai lavoratori e ai soci lavoratori di cooperative dei soggetti di cui al presente articolo e agli articoli  16,  18  e  21, comma 1,  lettera  b).  Detto trattamento minimo non puo’ essere inferiore a quello risultante dal vigente contratto collettivo nazionale dei lavoratori dei porti, e suoi successivi rinnovi […]”. Tenuto presente come l’autorizzazione alle operazioni portuali in regime di autoproduzione risulti essere, a tutti gli effetti, un’autorizzazione dell’Autorità di Sistema Portuale, ovvero Autorità Marittima, che non può derogare dalle disposizioni normative contenute nell’articolo 16 in combinato disposto con quelle statuite dal suindicato articolo 17, comma 13 l.n. 84/94, vien da sé che gli eventuali lavoratori marittimi che sono indicati nella tabella di armamento anche come addetti alle operazioni di rizzaggio e/o derizzaggio devono necessariamente avere un trattamento normativo ed economico minimo non inferiore al Contratto collettivo nazionale dei lavoratori dei  porti che, è bene ribadirlo, ancora ad oggi e nonostante il recente rinnovo del CCNL dei marittimi, risulta essere ampiamente superiore, in termini normativi ed economici, a quest’ ultimo.

Un altro aspetto, collegato e non secondario, è contestualizzato al fatto che le compagnie di navigazione usufruiscono – giustamente per quanto ci riguarda – anche dell’aiuto di stato del “Registro internazionale” che permette alle stesse un imponibile sul 20% del proprio fatturato e l’esenzione del pagamento dei contributi per i propri lavoratori marittimi imbarcati. Risulta, infatti, utile soffermarci sul fatto che in base alle norme che vietano gli Aiuti, di stato di cui all’articolo 107 TFUE, sono vietati gli aiuti economici alle imprese salvo autorizzazione specifica della Commissione europea. Anche quando gli aiuti sono autorizzati dalla stessa Commissione, in virtù della regola della condizionalità, gli stessi devono necessariamente andare ad esclusivo beneficio dell’attività svolta, inerente quindi all’esclusiva navigazione, e non di attività collaterali ovvero integrate, come invece, all’evidenza, risulta essere l’autoproduzione delle operazioni portuali, altrimenti si incorrerebbe nella fattispecie del divieto di sussidi. A tal fine, si segnala che le società armatoriali sono state autorizzate a ricevere incentivi ed esenzioni fiscali e previdenziali in ragione dell’iscrizione nel registro internazionale navale, ma gli stessi benefici non possono quindi essere estesi alle operazioni portuali in regime di autoproduzione poiché si configurerebbe una palese violazione del principio della concorrenza cagionata da altrettanto palesi sussidi incrociati. Come Direttore generale di ANCIP ho espresso in ogni sede, comprese le audizioni in Parlamento (i documenti depositati sono pubblici), dell’utilità e della necessità di mantenimento dell’aiuto di stato del “Registro internazionale” per tutelare le compagnie di navigazione che sono i “nostri clienti” e mantenere, quindi, un giusto equilibrio tra i clienti e le imprese. Di contro, come sempre dichiarato, lo stesso non deve essere utilizzato per distorcere la concorrenza e, quindi, a nocumento delle imprese portuali nazionali che, tra l’altro, forniscono i migliori servizi e performance d’Europa.

In questa sede risulta utile evidenziare, sfatando un falso mito, anche un altro aspetto che riguarda l’efficienza e l’operatività in banchina. I ritardi del sistema portuale italiano e le conseguenti critiche che i clienti (compagnie di navigazione) spesso esternano nei confronti della portualità nazionale non devono essere minimamente imputati alle imprese portuali e al proprio personale altamente qualificato, ma a ritardi infrastrutturali e stratificazioni di competenze amministrative all’incompleta digitalizzazione e semplificazione. Anzi, spesso le imprese portuali vengono chiamate a sopperire alla mancanza di strategicità e programmazione dei vari sistemi portuali.

Infine, una considerazione più prettamente politica e strategica: non bisogna dimenticare quanto la nostra portualità sia radicata nei territori. A differenza infatti del Northern range, il nostro Sistema portuale nazionale è composto da circa 53 porti commerciali (internazionali, nazionali e regionali) disseminati in circa 8.000 km di costa e che insistono dentro le città e di cui ne sono volano di sviluppo ed economia diffusa. Non penso, pertanto, che il Governo, i vertici ministeriali e le rappresentanze parlamentari, segnatamente dei territori portuali e delle commissioni trasporti di Camera e Senato vogliano permettere che imprese portuali, soprattutto italiane, che pagano tasse, comprese quelle locali e regionali, e contributi per i propri lavoratori vengano messe in crisi da queste continue richieste che ne minano la sopravvivenza con conseguenze esiziali per l’imprenditoria portuale locale, per la forza lavoro e, collateralmente, per le economie diffuse locali e territoriali e per le entrate fiscali dello Stato. Tanto più a seguito delle varie crisi internazionali che stanno facendo calare diffusamente i traffici nei porti nazionali e stressare le nostre imprese.

I porti sono efficienti quando sono in equilibrio socio economico tra clienti e imprese portuali e in cui la pace sociale permette alla comunità portuale di creare le condizioni fattive di sviluppo ed incremento dei traffici portuali.

Se si vuole veramente che il nostro sistema portuale si sviluppi armonicamente e sia pronto per le sfide che lo attendono, dobbiamo impegnarci tutti a mantenere questi delicati equilibri.

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