Nati inizialmente come espressione esterna di gruppi parlamentari, i partiti si sono affermati come organizzazioni strutturate esterne ai parlamenti con il progressivo allargarsi del suffragio, sino a divenire l’elemento portante delle nostre democrazie rappresentative. La loro crisi, comune a molte liberal-democrazie europee e particolarmente evidente in Italia, colpendo il principale strumento di partecipazione politica ed elettorale rischia dunque di travolgere il rapporto tra cittadini e istituzioni democratiche.
Riconoscere la crisi dei partiti non è però comprenderne le cause né individuare possibili antidoti. Alcune cause sono strutturali, frutto delle profonde trasformazioni che hanno caratterizzato nell’ultimo secolo lo Stato e le nostre società. L’esplodere nel XX secolo dei compiti dello Stato, unitamente al progressivo trasferirsi delle maggiori decisioni politiche dallo Stato nazionale ad organizzazioni sovranazionali (Ue, Nato, le molte agenzie dell’Onu, etc.), o addirittura di natura privatistica, hanno in tutti i sistemi politici spostato dal Parlamento al Governo il luogo delle decisioni rendendo così meno evidente la funzione dei partiti come necessari strumenti di rappresentanza degli interessi.
Si aggiunga il mutare della comunicazione politica e delle modalità di formazione dell’opinione pubblica, sempre più affidate ai social channels e sempre meno ai media tradizionali (TV, Stampa) e ai rapporti face to face nelle sezioni e circoli di partito.
Si pensi infine al profondo mutare delle nostre società, sempre più «liquide», in cui i singoli individui non si identificano più con uno status unico o prevalente, ma partecipano di una pluralità di mutevoli interessi. Partiti che si erano formati in rappresentanza di un interesse di classe o economico, come i partiti socialisti o dei contadini, o a base etnica o territoriale come in Belgio, in Catalogna o nel Paese Basco, o in Scozia e Irlanda, sono stati colpiti nella loro stessa ragione costitutiva, venendo meno o trasformandosi in partiti interclassisti (catch-all parties) o con identità meno forti e quindi incapaci di stabilire con gli elettori legami duraturi. Gli elettori stessi sono divenuti sempre più mobili spostando il proprio voto sulla base non di durature adesioni identitarie o fondate su stabili interessi, ma su sempre più temporanee issues, e cioè su singole questioni come ad esempio i fenomeni migratori, il sistema pensionistico, i vaccini, la partecipazione all’Euro e all’Unione Europea, e così via, dando vita ad aggregazioni e maggioranze destinate di lì a poco a mutare.
Il fenomeno è confermato dalla grande volatilità elettorale in Italia: il 41% raggiunto dal Pd di Renzi è infatti rapidamente disceso al 18%; il 34% di Forza Italia a poco più dell’8% e ora al 10%; percentuali identiche a quelle riportate dalla Lega di Salvini. Di converso, le elezioni inglesi, tedesche, spagnole, portoghesi e greche hanno mostrato, pur nel cambiamento, una resistenza dei partiti storici.
Quali allora le ragioni della particolare debolezza dei partiti italiani? La risposta è semplice e risiede in una serie di errori compiuti dalla nostra classe politica nel modificare le leggi elettorali, e nell’abolire qualsiasi forma di finanziamento pubblico ai partiti: un uno-due micidiale. Il passaggio al maggioritario a un turno (e Antonio Polito ha ben mostrato la differenza tra il turno unico inglese e il doppio turno francese, Corriere della Sera 12/07/2024) provocando la formazione di coalizioni disomogenee necessarie per la vittoria nei collegi ma divise profondamente all’atto del governare, ha incoraggiato la migrazione degli elettori almeno tra i partiti di una stessa coalizione, indebolendo così l’intero sistema partitico. Il passaggio alle liste bloccate, operato nel 2005 da Calderoli con una «porcata» (parole sue) a danno degli elettori è stato indubbiamente uno dei principali fattori che hanno contribuito alla caduta di partecipazione politica. Se a questo si aggiunge elezioni primarie aperte al voto anche di elettori non iscritti a tale partito, è facile comprendere come molti elettori abbiano perso ogni senso di «efficacia» della propria presenza ed azione.
Il colpo di grazia al nostro sistema dei partiti è infine venuto dalla decisione di Enrico Letta nel 2013 di abolire qualsiasi forma di finanziamento pubblico, per di più equiparando ai partiti anche le Fondazioni che svolgano attività politica. Come si possa pensare che uno stabile sistema di partiti possa sopravvivere in queste condizioni è un mistero che svela la superficialità con cui in Italia si affronta, e si affonda, il tema delle riforme costituzionali, elettorali e del finanziamento della politica.
18 agosto 2024
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