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Per Marco Giovagnoli, docente di sociologia dell’innovazione e della coesione sociale all’Università di Camerino, il saldo positivo delle imprese nelle Marche (+602 unità) del 2° trimestre 2024 e le dinamiche settoriali vanno letti in prospettiva.

Professore, come contestualizza questi dati?

«All’interno della loro serie storica. Nel 2022, la nostra regione registrava 157.892 imprese di cui attive 140.066 e aveva il tasso di crescita negativo peggiore in Italia (-0,56) assieme al Molise (- 929 unità). Sempre in quell’anno, i saldi positivi si registravano nelle costruzioni, nelle attività professionali, immobiliari e finanziarie e le ultime tre, con saldi negativi, riguardavano la manifattura, l’agricoltura e il commercio, Nel 2023, le aziende registrate erano 152.956 di cui attive 135.205. Quest’anno al termine del 1°trimestre, le Marche, hanno 148.356 aziende delle quali 132.428 attive ma alla fine del 2° sono 146.272 ed attive 132.112».

Siamo in un piano inclinato.

«Siamo sotto la soglia psicologica delle 150mila unità i saldi positivi si concentrano in settori come ad esempio quello delle costruzioni o quelli legati a turismo e quindi stagionali. Dati, quindi, che evidenziano una difficoltà in ambiti come l’agricoltura, silvicoltura e pesca e pure nella manifattura».

Settori storici delle Marche.

«Quello che preoccupa è che la concentrazione dei saldi positivi in due settori “contingenti” ossia che dipendono molto da fattori esogeni. Nel caso delle costruzioni ad esempio, in gran parte dipendono dal sisma, dai vari bonus, mentre nel caso del turismo, abbiamo visto la crisi con la pandemia, con la crisi climatica. Certo la loro forza non va assolutamente sottovalutata ma leggendo trend reali, è corretto chiedersi quale sviluppo si prospetta per le Marche, regione investita a questo punto da una doppia crisi».

Ossia…

«La crisi demografica, dove siamo sotto la soglia del milione e mezzo di abitanti e, dai dati, quella dell’impresa in comparti fondamentali spesso esaltati come le nostre ‘eccellenze’, come la manifattura e l’agro-silvo pastorale e la pesca».

Un declino che riusciamo a tenere sotto controllo?

«Niente è inarrestabile ma per mettere a terra le politiche più appropriate non possiamo limitarci a leggere i saldi positivi solo con una lettura puntuale e dobbiamo coinvolgere in tutti i settori tutte le competenze per colmare i gap e favorire le opportunità».

Ad esempio?

«Nei comparti dove le Marche sono particolarmente vocate, come il settore agricolo e silvo-pastorale e la manifattura di qualità vanno tolte le barriere all’ingresso ai giovani spesso occulte. Penso alle difficoltà di finanziamento, al gigantismo e alla competitività dei bandi, oppure ancora favorire l’accesso alla terra per chi non la eredita. Aiutare nella formazione, affinché la comunità sia pronta ad applicare tutte le innovazioni sociali e tecnologiche. A quel punto la programmazione dall’alto non deve imporre l’innovazione, ma è la base che fa proposte innovative anche sociali che la politica inquadra con programmi, iniziative ed azioni».

A cosa pensa?

«Penso alla cooperazione di comunità dove, nell’assenza dello Stato, nelle Marche non abbiamo ancora una legge, per una progettualità dove i cittadini si organizzano per essere produttori e fruitori di bene e di servizi, creando impresa cooperativa e rimanendo sui territori, in particolare quelli interni».



 

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