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Viaggiano spedite le entrate tributarie nel primo semestre dell’anno. Secondo un bollettino diffuso da Bankitalia, alla fine nei primi sei mesi dell’anno il bilancio dello Stato ha visto entrare nelle sue casse 248,8 miliardi di euro, ben 17,5 miliardi in più rispetto al confronto con i primi sei mesi del 2022 (+7,5%). Mentre se si guarda ai dati del solo mese di giugno, le entrate sono arrivate a 42 miliardi, in aumento del 9,9% (3,8 miliardi) rispetto al corrispondente mese del 2023. Sono numeri che fanno trasparire la vitalità dell’economia italiana, che si è mantenuta in crescita nonostante altri importanti partner europei come la Germania non siano riusciti a fare lo stesso. C’è soddisfazione tra le fila del governo, che vi legge il risultato delle sue politiche con l’avvio della prima parte della riforma fiscale, tra gli architravi della sua agenda: «Aumentano le entrate tributarie, crolla l’evasione fiscale ed evaporano le sterili polemiche della sinistra», è il commento del capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera dei deputati, Tommaso Foti. Una risposta a chi tra le file dell’opposizione accusa il governo di favorire chi non vuol pagare le tasse: «Negli ultimi cinque anni scende drasticamente l’evasione fiscale dal 21% al 16%. Uno Stato finalmente amico e alleato dei contribuenti, grazie alle riforme del governo Meloni che hanno semplificato efficacemente il Fisco», sottolinea ancora Foti.

Il dinamismo delle entrate tributarie è decisamente una buona notizia per il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, che in autunno si dovrà cimentare in una manovra di bilancio resa ancor più complicata dall’entrata in vigore delle nuove regole di bilancio europee che implicheranno scelte difficili. Ci saranno da trovare, infatti, circa 11 miliardi per confermare il taglio del cuneo fiscale (che peraltro ha dato un contributo al recupero dei redditi reali in Italia evidenziato di recente anche dall’Ocse), nel complesso però serviranno come minimo 18 miliardi solo per confermare le attuali politiche, a cui aggiungerne un paio per il rinnovo dei contratti della pubblica amministrazione.

Un’opera non facile, resa ancor più difficile, tra l’altro, dalla zavorra del debito che il Paese continua a portarsi avanti. Su questo fronte, l’istituto guidato dal governatore Fabio Panetta rileva che a giugno l’Italia ha visto crescere il suo debito di altri 30,3 miliardi per un totale di 2.948 miliardi, giusto a due passi dalla soglia storica dei 3mila miliardi.

«La crescita del debito pubblico è inarrestabile e il governo non sta facendo nulla per invertire questa tendenza», attacca il responsabile economico del Partito democratico, Antonio Misiani, «un quadro oggettivamente preoccupante, che regge a fatica solo grazie al buon andamento delle entrate, legato essenzialmente alla crescita delle ritenute Irpef alla fonte». Tuttavia, sarebbe stato complicato non far crescere il debito all’uscita di un periodo di misure economiche straordinarie ereditate dal periodo pandemico, tra cui il costosissimo buco nero del Superbonus che il governo ha cercato di limitare a più riprese.

Un altro risultato tangibile della politica dell’Esecutivo è l’aumento della quota di debito detenuta da famiglie e imprese italiane, ora al 14,3%: il governo Meloni, attraverso numerosi collocamenti indirizzati ai piccoli risparmiatori, ha lavorato per trasportare una quota sempre maggiore di debito in mano alle famiglie (il dato alla fine del 2022 era a malapena al 9,5%).

Il risultato sarà uno spread Btp-Bund meno volatile (le famiglie sono solite mantenere fino a scadenza i titoli di Stato) e una quota maggiore di interessi pagati ai cittadini, che potranno riversarli nei consumi e così alimentare il Pil.

 

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