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In queste settimane nelle quali più volte nel dibattito pubblico il bene “Unità d’Italia” è tornato a essere oggetto di discussione, con tutte le deformazioni prospettiche che denotano ogni estensione delle ragioni fondative alle contingenze politiche, è bene ritornare sui dati di fatto storicamente accertati.

Discorrendo sulla controversa legge di Autonomia differenziata (n. 86 del 26 giugno 2024) e sulla successiva raccolta delle firme necessarie all’indizione del referendum abrogativo, le asserite nuove opportunità offerte al Paese si sono scontrate contro il paventato pericolo della sua disgregazione fattuale in ordine all’esercizio concreto dei diritti garantiti a ciascun cittadino italiano. Particolarmente preoccupate, ma non solo loro ovviamente considerato il successo equamente distribuito della raccolta firme, le regioni del Sud, e tra esse, anche per alcune prese di distanza politicamente ragguardevoli, la Calabria. Anche per questo, è utile riandare alla storia, maestra di vita e bussola per orientarsi nella nebbia dell’attualità politica. Chiedendoci, per esempio, quanto l’Unità d’Italia abbia costituito in un passato non troppo lontano un valore su cui investire tutto, anche la vita.

Per Mario Saccà, studioso di storia militare e del suo intreccio tra locale e nazionale, non ci sono dubbi: “Come calabresi abbiamo contribuito in tutte le fasi della nostra storia alla costruzione dell’Italia”. Saccà, passato da amministratore cittadino a Catanzaro, fonda la sua convinzione sulla robusta documentazione consultata negli anni: “Esiste – dice – una banca dati elaborata sulle schede di oltre 100mila italiani che hanno partecipato alle guerre del Risorgimento dal 1848 al 1870, dai primi moti risorgimentali seguiti alle Cinque giornate di Milano e alla rivolta di Venezia, nella quale tra l’altro fu protagonista il generale Guglielmo Pepe, fino alle tre guerre d’Indipendenza. Da questa banca dati ho estrapolato i nomi dei 14.011 calabresi delle tre province che hanno partecipato a queste battaglie”. Saccà è in grado di scorporare i dati su base provinciale e finanche cittadina.
“Per quanto riguarda Catanzaro – circoscrive Mario Saccà – esiste un’ampia documentazione nelle biblioteche e negli archivi, che però è abbandonata e poco frequentata nel tempo, con l’eccezione di qualche studioso eccellente come Augusto Placanica e Antonio Carvello che in parte l’hanno utilizzata. Documentazione che pare evidente non appartenga alla memoria collettiva, in particolare della classe dirigente attuale che invece deve riprendere questo filone, anche alla luce del dibattito sulla legge di autonomia differenziata. Per esempio, nella biblioteca dell’Amministrazione provinciale è conservato un documento, inviato con bollo per copia autentica dalla Società di Solferino e San Martino nel 1896, che da allora giace lì polveroso, senza che nessuna Amministrazione né di destra né di sinistra né di centro l’abbia in qualche tirato fuori e valorizzato. In questo documento ci sono cinquemila nomi di residenti in provincia di Catanzaro nell’elenco dei combattenti iscritti nelle tabelle commemorative. Di essi, furono ben 435 i cittadini di Catanzaro che parteciparono alle tre guerre d’Indipendenza. Precisamente 12 nel 1848-49 prima guerra d’Indipendenza, mentre nel 1860 seconda guerra, ci furono 245 catanzaresi nei garibaldini. Da Marsala con Garibaldi ne partirono tre: Raffaele Carbonari, Roberto De Nobili e Raffaele Piccoli. Gli altri furono volontari garibaldini che si unirono man mano che il generale risaliva la Penisola. I catanzaresi erano divisi tra i Garibaldini e l’Esercito meridionale, costituito proprio dai volontari che si univano spontaneamente e coscienziosamente ai Mille. Garibaldi organizzò l’Esercito meridionale dopo avere attraversato la Calabria ed essere giunto in Basilicata. Dopo l’Unità furono promulgate leggi per costituire l’esercito italiano. Qui le vicende italiane si intersecano con quelle europee, quando la Prussia aspirava al ruolo di nazione leader nell’area germanica. Per poterlo fare doveva avere la meglio sull’Austria, e cercò di coinvolgere altri Paesi che avevano qualche motivo per avercela con gli austriaci. Tra questi sicuramente l’Italia, per semplificare di moltissimo le vicende che portarono alla battaglia di Custoza (24 giugno 1866), occasione in cui ci fu proprio la prima mobilitazione dell’Esercito italiano. A Custoza i catanzaresi, nati e residenti in città, che parteciparono furono 158”.

Numeri importanti come si vede. E anche la documentazione, a saperla ricercare, non manca. “Nelle biblioteche – conferma Mario Saccà – ci sono memorie, quelle di Alberto De Nobili e di Saverio Pecorini-Manzoni; ci sono documenti quali la commemorazione di Alberto De Nobili, c’è il libro scritto da Salvatore Piccoli su Raffaele Piccoli, originario di Castagna ma morto a Catanzaro nella zona del Carmine. Morto suicida, perché dopo avere partecipato alla campagna di Garibaldi raggiungendo il grado di colonnello, partecipò a un moto mazziniano post unitario antimonarchico che coinvolse diversi personaggi dell’epoca tra cui Andrea Cefaly e Ricciotti Garibaldi e che sboccò nella Repubblica di Filadelfia, esperimento glorioso che durò pochi giorni del maggio 1870. A Raffaele Piccoli fu revocata la pensione che aveva ottenuto quale garibaldino, cadde in assoluta povertà e per morite non trovò altro mezzo che piantarsi un chiodo nel bel mezzo della fronte. Finì i suoi giorni in una locanda di via Gelso Bianco, vicino al Comune. Alla presa di Roma, ancora, parteciparono 28 catanzaresi. Un bel contributo. Se vogliamo partire da più lontano, non possiamo dimenticare i Martiri del 1823, in precedenza la Carboneria, e poi il movimento a seguito dei fratelli Bandiera del ‘47…”.

Insomma, sembra di capire, la tradizione di pensiero e di lotta risorgimentale tutta catanzarese non è per nulla trascurabile, pur tuttavia sottovalutata se non ignorata…

“Certo… – prosegue Saccà -. C’è da indagare. La raffigurazione corrente di quegli anni parla sovente di chiese e di nobili, quando in effetti è stato il popolo a combattere spontaneamente con Garibaldi. E anche dopo.  Il comitato rivoluzionario che portò alla Repubblica di Filadelfia aveva sede a Catanzaro, era presieduto da un De Riso. Questa era la famiglia dalle vedute risorgimentali più avanzate, seguita dai De Nobili i quali però in qualche ramo furono orientati verso i Borboni. Sono storie che sembrano vecchie, ma in fondo sono dell’altro ieri, perché si tratta dei nostri trisavoli. Hanno fatto l’Unità d’Italia. Li affossiamo?”.

E qui Mario Saccà allarga lo sguardo alle vicende storiche più prossime. “Catanzaro – sottolinea – è l’unica città che non ha una lapide in memoria dei caduti, eccezion fatta per i caduti della prima guerra mondiale alla chiesa del Monte, che però non è completa perché mancante di molti nominativi. Sono 187 al Monte, nei registri ne risultano 215. Della seconda guerra non c’è memoria su lapide, pur essendo documentati i nominativi. Abbiamo a che fare con Amministrazioni sempre sorde a qualunque approccio storico serio e valevole nel tempo. Quando viene tentato, poi è trascurato. Al cimitero di via Paglia, per dire, un posto è stato individuato come memoriale, si trova appena dopo l’ingresso, sulla destra. Ma nessuno lo sa.  C’è fermento per Catanzaro e l’arte contemporanea, ma la storia conta anche”.

Il Risorgimento, sostiene Saccà, anche da noi fu movimento che ha inciso culturalmente nella società del tempo. Lo dice mentre riprende i dati del documento della Società di Solferino e San Martino, dal quale si evince che tra i partecipanti attivi al Risorgimento 5.863 provenivano dalla provincia di Cosenza, 3.961 dalla provincia di Reggio Calabria e 4.187 dalla provincia di Catanzaro. “Mancano – precisa – molti nomi non inquadrarti militarmente, quali molti garibaldini, per non parlare degli esponenti politici quali Andrea Cefaly, Benedetto Musolino e altri. Insomma ai 10mila bisogna aggiungere un numero consistente, per arrivare intorno alle 15mila persone. Anche la narrazione secondo cui andò alla Prima guerra mondiale un popolo ignorante e inconsapevole, mandato al massacro, va riconsiderata. Quella si può considerare essere stata l’ultima guerra risorgimentale, che certamente dal punto di vista tecnico può essere criticata, ma è stata frutto di mobilitazione generale e chi c’è andato non era ignorante, non massa bruta. Dalla letteratura della prima guerra non c’è mai stato un giudizio negativo sui calabresi, sempre combattenti tenaci e affidabili che facevano il loro dovere, naturalmente nell’orrore generale delle guerre dove l’alternativa è spesso mors tua vita mea. Ma ci sono tanti di quei lati umani… io stesso ho pubblicato memorie di soldati che dimostrano tutta la loro consistenza umana. Per esempio Armogida della 149° Fanteria Brigata Catanzaro racconta la storia di un padre e di un figlio austriaci contro i quali lui non sparò. Poi il diario del capitano Barbero che era di San Giovanni in Fiore, era notaio, che prestò servizio a Catanzaro, un umanista che racconta alcuni episodi toccanti come quando arrivò in un paesino colpito dal bombardamento.  No, non era massa bruta… c’erano fior di umanisti… Il generale Luigi Siciliani fu l’autore materiale del proclama di Armando Diaz dopo la vittoria dell’Italia – “l’esercito sceso orgogliosamente ecc”-.É il Siciliani a cui è intestato il liceo scientifico, uno scrittore ufficiale della Prima guerra… Non erano tutti contadini, non era una massa bruta e ignorante, così come occorre fare una riflessione su brigantaggio…”. Ma questa è un’altra stori, e la racconteremo un’altra volta.

 

 



 

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