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L’INTERVISTA

«Lo dedico a quanti credono nel cambiamento» dichiara la professionista impegnata nella progettazione della rete antiviolenza regionale

 

di Orazio Perillo

 

Ad aggiudicarsi l’edizione 2024 del Premio Locorotondo, come anticipato qualche settimana fa, è la dott.ssa Giulia Sannolla. Specializzata in counseling e mediazione familiare, Sannolla è da anni impegnata nella formazione, progettazione e nel monitoraggio del sistema del Welfare regionale, dando un decisivo contributo alla realizzazione della rete antiviolenza e alla definizione delle linee strategiche e di buone pratiche in materia di contrasto alla violenza di genere e contro i minori.

Nell’intervista che segue abbiamo voluto approfondire proprio con la vincitrice del Premio alcuni di questi temi.

 

Dott.ssa Giulia Sannolla, tanti anni di battaglie, studio e lavoro sempre dalla parte dei diritti. Qual è stato il primo pensiero quando le hanno comunicato di aver vinto il premio?

«Un moto di commozione per un riconoscimento che arriva a sorpresa in un momento particolare della mia vita, fatto di bilanci e riflessioni, come spesso capita di fare a 60 anni, esattamente a 20 anni di distanza dall’inizio della collaborazione con la Regione Puglia. Ho pensato che chi ha proposto il mio nome per il premio, e chi ha votato, ha inteso riconoscere proprio lo sforzo di tenere insieme la battaglia per i diritti con il lavoro, lo studio e l’aggiornamento continuo con gli ideali, la caparbia volontà di costruire percorsi e trovare soluzioni per operare cambiamenti positivi. So di aver portato nel lavoro il mio essere femminista da sempre, attivista per i diritti umani, il mio ideale di giustizia sociale e di lotta contro ogni forma di discriminazione».

 

La sua vita lavorativa l’ha portata spesso fuori da Locorotondo. Che rapporto ha con la sua città?

«Accade che la vita professionale occupi larga parte del nostro tempo, specie quando si lavora fuori. Ma il rapporto con il luogo di origine è come il rapporto con gli affetti più cari, rappresenta le radici e il senso di appartenenza».

 

Nel suo percorso professionale si è occupata anche di violenza su minori. I dati nazionali parlano addirittura di un incremento dei casi negli ultimi due anni, con vittime soprattutto fra ragazze e bambine…

«I dati ci dicono che durante e dopo la pandemia sono aumentati i casi di violenza intrafamiliare e i minori sono vittime di violenza assistita. Aumenta il rischio di abuso e sfruttamento sessuale dei minori online, soprattutto di bambine e ragazze. Nuove forme di violenza legate anche pratiche ricattatorie viaggiano via web, purtroppo. Occorre fare tanta informazione per prevenire».

In questi anni sono stati fatti passi avanti nella prevenzione e nel contrasto alla violenza di genere ma la sensazione è che comunque la strada da fare sia ancora tanta. Su cosa c‘è da migliorare?

«Aumentare la consapevolezza circa la matrice culturale della violenza. Le nostre società si fondano ancora su una grande asimmetria tra i due generi. Basti pensare alla disparità salariale tra lavoratrici e lavoratori, alla disuguaglianza di partecipazione al mercato del lavoro, al lavoro di cura familiare ancora troppo poco condiviso, alla ridotta presenza delle donne nei luoghi decisionali. Serve ridurre stereotipi e pregiudizi ancora radicati e diffusi, attraverso educazione, conoscenza e formazione».

 

Oggi si discute molto di quanto il linguaggio possa veicolare la violenza, soprattutto nei confronti delle donne…

«Il linguaggio sessista alimenta la violenza. Pensiamo ai discutibili messaggi pubblicitari, alla rappresentazione mediatica del corpo femminile, alla disparità di trattamento nel parlare di donne e di uomini nei vari contesti, dallo sport alla politica. Pensiamo a come buona parte dei media trattano gli episodi di violenza o addirittura i femminicidi, parlando di raptus, di moventi da ritrovare nelle vicende separative, non riconoscendo l’unica causa nella violenza maschile contro le donne. In questo modo si trasmettono messaggi non pertinenti e fuorvianti rispetto alla trattazione dei casi di violenza».

 

Nel suo percorso professionale in Regione ha monitorato e seguito quelle che è la rete regionale dei centri antiviolenza. Come è organizzata?

«La rete è costituita da 28 centri antiviolenza tra privati e pubblici che, attraverso le sedi autorizzate e i vari sportelli ed in stretta collaborazione con i servizi pubblici, coprono tutto il territorio regionale, formando una rete preziosa con le case rifugio e gestendo anche percorsi di cohousing per le donne che fanno fatica a trovare un’autonomia abitativa. Ma soprattutto svolgono un grande lavoro di sensibilizzazione e di informazione per cambiare la cultura dei nostri territori, oltre che di costruzione di reti tra i vari soggetti chiamati ad intervenire».

Quanto è importante la formazione degli operatori e di tutte le figure che lavorano nella prevenzione e nel contrasto alla violenza di genere e sui minori?

«Non si può “riconoscere” la violenza se non la si conosce, nelle diverse forme e negli esiti spesso traumatici. Una formazione che aiuti a riconoscere le diverse dimensioni della violenza subita a livello relazionale, fisico, psicologico, sociale, culturale, economico e la loro riconducibilità alle diseguaglianze di genere. Ma anche per conoscere e contrastare le nuove forme di violenza, che spesso viaggiano sul web e colpiscono le persone più vulnerabili, in primis minori di età».

 

Tornando al Premio Locorotondo, a chi dedica questo riconoscimento?

«A tutte le persone che svolgono il loro lavoro credendo profondamente in quello che fanno, con la consapevolezza che si può generare cambiamento. A mia madre e a tutte le donne che con forza e coraggio decidono di cambiare le sorti della loro esistenza, ai bambini resilienti che, spesso nel più totale silenzio, trovano le risorse più incredibili per mantenere bello e pulito il loro sguardo sul mondo. Una lezione per noi adulti».

[Intervista pubblicata sulla rivista Agorà, numero Luglio 2024]



 

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