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Un premio Nobel per la pace è il nuovo capo del governo ad interim del Bangladesh. Muhammad Yunus ha giurato l’8 agosto nella residenza del presidente Mohammed Shahabuddin, promettendo di riportare il paese alla democrazia dopo che una rivolta guidata dagli studenti ha posto fine a 15 anni di governo di Sheikh Hasina. “Oggi è un giorno glorioso per noi”, aveva dichiarato Yunus, 84 anni, ai giornalisti, poche ore prima, al suo ritorno a Dacca dall’Europa, “Il Bangladesh ha ottenuto una seconda indipendenza”. L’economista dovrà guidare un paese abitato da 170 milioni alle prossime elezioni democratiche. Dall’India, luogo in cui ha trovato rifugio dopo aver lasciato il Bangladesh il 5 agosto scorso, l’ex premier Hasina tornerà nel suo paese non appena saranno annunciate le elezioni. A dirlo è stato suo figlio, Sajeeb Wazed, in un’intervista rilasciata al Times of India, uno dei giornali più letti del subcontinente indiano. I media indiani hanno riferito che l’ex premer ha intenzione di chiedere asilo nel Regno Unito, ma il ministero degli Interni britannico non ha commentato l’indiscrezione. 

Le sfide del governo di Yunus

Quello che il “banchiere dei poveri” ambisce a fare sin da subito è il ripristino dell’ordine pubblico dopo settimane di proteste e violenze che hanno causato oltre 400 vittime. A Yunus spetta il difficile compito di mantenere insieme le anime diverse del paese ed evitare il pericoloso scontro tra le diverse religioni e minoranze. Non sono mancati infatti gli attacchi – anche violenti – alla comunità hindù, che rappresenta l”8% della popolazione del Bangladesh a maggioranza musulmana. 

Yunus è a capo di una squadra di governo in cui fanno parte esponenti della società bengalese, avvocati e Nahid Islam e Asif Mahmud, i due principali leader del gruppo Students Against Discrimination, che ha guidato le proteste nelle ultime settimane. Tutti hanno il titolo di consigliere e non di ministro. 

Il grande escluso dal governo ad interim è il partito della Awami League, guidato dall’ex premier Hasina. Suo figlio, Sajeeb Wazed, promette però che anche il partito parteciperà alle elezioni. “Se c’è bisogno che io mi unisca alla politica, non mi asterrò”, ha detto ai media indiani dopo essere tornato a Dacca. Il 54enne ha sempre mantenuto una certa distanza dalle dinamiche politiche nazionali, vivendo la sua vita negli Stati Uniti.

La ricetta economica del “banchiere dei poveri”

Anche se l’obiettivo immediato del governo ad interim è quello di ristabilire l’ordine e invocare le elezioni, prima o poi dovrà elaborare un piano efficace per affrontare le tensioni economiche che hanno spinto le proteste. Il paese ha fatto progressi impressionanti grazie a una crescita economica media del 6,25% annuo negli ultimi due decenni. Ma esistono ancora significative disuguaglianze e povertà, con circa il 40% dei bengalesi di età compresa tra 15 e 24 anni che non lavora o studia. 

Il Bangladesh è quindi una delle economie in più rapida crescita al mondo, trainate dal settore tessile. Ma dopo le proteste delle scorse settimane, molte industrie stanno pensando di delocalizzare la loro attività in India, per mettersi al riparo da eventuali scossoni politici. Il paese dell’Asia meridionale è un attore economico fondamentale non solo in quanto produttore di abbigliamento per molti paesi occidentali, ma anche come importatore di energia e beneficiario di grandi investimenti infrastrutturali da parte di paesi come Cina e Giappone. Nel 2023 ha importato beni, per lo più materie prime come petrolio raffinato, cotone, tessuti e fertilizzanti, per un valore di 73 miliardi di dollari.

Yunus deve quindi affrontare una sfida importante, persino storica. L’analista ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace nel 2006 per il suo contributo allo sviluppo economico del suo paese. Ha contribuito a sradicare la povertà estrema in Bangladesh fornendo con la sua banca etica, la Grameen Bank (che in bengali significa banca del villaggio o banca agricola), microcredito a decine di milioni di donne nelle zone rurali e povere della nazione, facendo uscire il Bangladesh dalla povertà.

La ricetta era semplice: elargire piccoli prestiti di circa 30 dollari a numerosi gruppi familiari, attingendo persino dai propri risparmi. Questi prestiti servivano ad acquistare il materiale necessario a produrre beni da vendere. Dal prestito familiare, il progetto si è poi allargato ai villaggi prima dell’apertura della Grameen Bank. A differenza delle altre banche, l’istituto fondato da Yunus elargiva piccoli prestiti senza chiedere garanzie. Attualmente, la banca etica di Yunus presta denaro a più di 10 milioni di persone, è presente nel 94% dei piccoli centri del Bangladesh e il 98% dei clienti della banca è donna.

Yunus ha invocato la creazione di “imprese sociali multinazionali” che dovrebbero affidare la proprietà ai poveri o mantenere i loro profitti all’interno dei paesi poveri. La Grameen Bank era forgiata su un’idea chiara dell’economista: le “imprese sociali” devono risolvere problemi anziché limitarsi a creare ricchezza. Questa deve quindi essere distribuita in modo eguale a tutta la popolazione perché, secondo Yunus, la povertà – che nel 2022 ha colpito oltre il 18% della popolazione del Bangladesh -, è una “minaccia” sociale, che causa problemi come il terrorismo e il traffico di esseri umani. 

Le accuse di “omosessualità” rivolte a Yunus

Nel 2010, il sistema dei microcrediti della Grameen Bank è finito nel mirino da diverse persone, tra cui la stessa Sheikh Hasina, che all’epoca era prima ministra, per aver “succhiato il sangue dei più poveri”. Questa accusa è partita dopo l’uscita del documentario “Caught in Micro Debt” (Intrappolati nel microdebito) con cui si descriveva come l’istituto bancario di Yunis avesse dirottato 100 milioni di dollari inviati dalla Norvegia sotto forma di aiuti a un progetto che non aveva a che fare con le attività della banca. Il governo lo ha costretto a lasciare la Grameen Bank nel 2011, una decisione contestata da Yunus ma confermata dalla più alta corte del Paese. I suoi sostenitori hanno attribuito la sua cacciata a Hasina, che lo ha accusato di “succhiare il sangue dei poveri” con i tassi di interesse.

A gennaio, Yunus e tre dei suoi collaboratori sono stati condannati a sei mesi di carcere da un tribunale di Dacca per aver violato le leggi sul lavoro. Sono stati rilasciati su cauzione in attesa dell’appello e negano le accuse. Ma le accuse verso il “banchiere dei poveri” non erano finite. Yunus è stato oggetto di centinaia di casi giudiziari e di una campagna aggressiva da parte di un’organizzazione di predicazione musulmana gestita dallo Stato, che lo ha accusato di promuovere l’omosessualità. Ora che quelle accuse sono cadute nel vuoto, complice anche la fuga di Hasina dal paese, Yunus ha campo libero per dare una forte spinta al Bangladesh e renderlo più democratico ed economicamente forte. 

 

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