Pierre Verlé (Carmignac): puntiamo sulla Ue, ora è l’area più interessante. Anche nel settore degli high yield si possono trovare molte opportunità come i titoli subordinati
«Il taglio della Bce non era inaspettato e probabilmente le elezioni europee hanno avuto un impatto maggiore sui mercati in termini di volatilità. Quel che è certo, comunque, è che, dopo un decennio senza carry (interesse, ndr), oggi ci troviamo in un ambiente in cui i rendimenti sono tornati a offrire interessanti opportunità di investimento nel mondo del credito». Ne è convinto Pierre Verlé, head of Credit, co-head of Fixed Income, e fund manager di Carmignac, che spiega come gli attuali rendimenti delle obbligazioni abbiano riportato sui mercati una base di investitori che era completamente scomparsa tra il 2012 e il 2022: «Nessuno, a meno che non fosse obbligato, voleva acquistare bond con interessi negativi. Ora, invece, è possibile comprare obbligazioni investment grade con rendimenti vicino al 4%, e questo ha risvegliato gli investitori, dando così una sorta di stabilità a questa asset class. Il premio per il rischio e gli spread non sono elevati, di conseguenza sul mercato non c’è grande valore in termini di beta (è il rendimento del mercato, ndr), ma la capacità di estrarre alfa (valore aggiunto, ndr) per i gestori attivi è tornata su livelli molto interessanti rispetto a prima».
Ma quali sono i settori che oggi offrono le opportunità più interessanti?
«All’interno dell’Eurozona, che in questo momento appare il mercato più interessante, tendiamo ad evitare quei settori che si sono assuefatti ai costi di finanziamento molto bassi. Vogliamo investire in aziende che possano affrontare al meglio un nuovo ambiente in cui il costo del capitale si è normalizzato. Da questo punto di vista, ci piace molto il comparto finanziario, che è uno dei pochi settori in cui le società sono molto meno rischiose rispetto a 20 anni fa. Le banche si sono ristrutturate e oggi sono più regolamentate e meglio capitalizzate; hanno coefficienti molto più elevati, una bassa leva finanziaria e una maggiore liquidità. Inoltre, guardiamo con interesse anche al mondo dei servizi energetici, un settore che negli ultimi 10 anni è stato sottoposto a un forte stress e che non ha mai tratto beneficio da un costo del capitale molto basso».
I tassi di default, però, potrebbe aumentare. Non è un rischio per il credito?
«In realtà è vero il contrario. I default sono necessari affinché i mercati del credito possano svolgere il loro lavoro in modo efficiente. Per allocare al meglio i capitali, è necessario che i mercati temano i default, altrimenti si ottiene l’effetto contrario. Pensiamo al settore immobiliare cinese. Per 10 anni gli investitori hanno pensato che non ci sarebbero stati default, grazie ai salvataggi della politica, e oggi ci ritroviamo in un contesto molto dannoso per l’economia. Il capitalismo funziona perché gli investitori hanno paura di perdere denaro. Si tratta di un compromesso tra guadagno e perdita. E se si toglie dall’equazione il default, non c’è più capitalismo. In un contesto in cui il capitale è abbondante e libero, come è stato fino a pochi anni fa, non esistono aziende buone e cattive. Oggi, invece, che il capitale è tornato ad avere un costo, si possono trovare società che possono essere molto interessanti».
Meglio l’investment grade o l’high yield?
«Personalmente ritengo che nel mercato high yield, in questo momento, ci sia più valore. Certo, ci sono emissioni interessanti anche tra gli investment grade, ma ritengo che la capacità di estrarre alfa sia maggiore nelle aree di mercato in cui ci possono essere potenziali default. Allo stesso modo, parlando nello specifico del settore bancario, ritengo che le emissioni subordinate siano più interessanti rispetto alle obbligazioni senior, ma bisogna essere in grado di scegliere le emissioni giuste».
Quali sono le caratteristiche dei portafogli della casa?
«Tutti i portafogli con focus sul credito che gestiamo hanno lo stesso Dna, la stessa filosofia, che si basa sul fatto che siamo investitori fondamentali. Quindi, cerchiamo di capire i modelli di business, le strutture di capitale, la documentazione sul credito e, supportati dagli specialisti di settore, facciamo uno stima sulle probabilità di default. Il nostro obiettivo non è evitare il rischio, ma individuare le situazioni di mercato in cui il rischio è sovrastimato. Così facendo cerchiamo di massimizzare, in modo equo e diversificato, il rendimento dei fondi al netto del costo fondamentale del rischio nell’arco di alcuni anni. In pratica, facciamo value investing. Ci sono pochissimi investitori value nel mercato del credito, nonostante sia l’ambiente più adatto per questa strategia, in quanto le competenze possono davvero essere trasformate in un vantaggio competitivo».
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