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Personaggi 09 Ago 2024 19:09

foto Andrea Straccini

CASTEL DI SANGRO – Quattrocento etichette, diecimila bottiglie da gestire nel caveau del Casadonna Reale. E un progetto in proprio che guadagna posizioni, “Impressioni di Gianni Sinesi”. Bottiglie selezionate (e firmate) secondo la sensibilità di un sommelier di riconosciuta esperienza qual è Gianni Sinesi, classe 1984, nativo della provincia di Barletta-Andria-Trani, da vent’anni in forza al team Romito al ristorante Reale di Castel di Sangro (L’Aquila).

Gianni Sinesi, come vanno le sue Impressioni?

Bene, con mia grande soddisfazione. Non sono enologo né agronomo, ma mi sono dato la possibilità di fare qualcosa che assecondasse la mia passione nella sua completezza: parto con l’assaggiare campioni di vasca, dall’azienda Valle Reale di Popoli (Pescara) dove nascono il Montepulciano e il Trebbiano d’Abruzzo. Quindi vado ad assemblare, cioè fare tagli e costruisco il vino in base al mio gusto, senza tralasciare l’importanza del terroir. Per quest’anno il Trebbiano é sold out e mi sto concentrando su due MdA: una versione base, che fa acciaio e un po’ di macerazione carbonica per esaltare ulteriormente il frutto e il sapore che arriva immediato ma porta con sé una giusta complessità; “Rocce e Fiori” è la Riserva, un cru di MdA che fa un passaggio in legno, in botte grande e di secondo passaggio che mi permette di amplificare il gusto, dare corpo e complessità al vino rendendolo un prodotto ancora piu maturo ed elegante del base.

Crede nell’Abruzzo.

Assolutamente sì che ci credo. Non che l’Abruzzo avesse bisogno di me, perché di produttori che hanno fatto la storia enoica, non solo della regione ma dell’intero Paese, ce ne sono da tempo. Io volevo fare qualcosa di mio, e avevo voglia di farlo qui, nella regione in cui sono cresciuto professionalmente e che oggi per me è una seconda casa. In Abruzzo ci vivo da oltre vent’anni, mi piaceva partire da qui perchè ci lavoro, è una terra che merita di essere ri-conosciuta e valorizzata anche per la produzione di grande qualità.Vorrei dare un’impronta sempre più professionale a questo progetto imprenditoriale, ecco perché sto provando ad allargarmi anche ad altri territori storicamente vocati al vino come la Toscana e il Piemonte. Intanto il progetto cresce, stanno nascendo nuove collaborazioni. tra queste la più prossima é con Tannico con cui abbiamo creato tre etichette esclusive: Montepulciano d’Abruzzo, Cerasuolo d’Abruzzo e Trebbiano d’Abruzzo.

Il consumo di Montepulciano d’Abruzzo è in crisi?

Assolutamente no, il MdA non è mai andato in crisi. Penso che come tanti altri vini abbia risentito un po’ delle mode. La storia però insegna che chi ha consapevolezza e personalità porta comunque avanti il proprio lavoro negli anni. l’Abruzzo vanta nomi quali Valentini, Pepe, Masciarelli, Cataldi Madonna, che resistono con innata eleganza alle mode.

Sono le nuove generazioni di consumatori che cercano un altro bere?

Talvolta le nuove generazioni hanno meno confidenza con questo mondo e fanno molta attenzione al consumo di alcol di qualità, diversamente da quanto si possa immaginare e quindi si affidano. In questi anni una parabole ascendente é stata quella del vino naturale che da moda ha creato un proprio mercato solidissimo e, nei casi più autentici, sempre più interessante. Alcuni paradigmi del vino si stanno modificando: si cercano vini più leggeri e beverini, vini rossi che si bevono più freddi, magari con ghiaccio, scelta quest’ultima con cui non concordo, semmai la bottiglia nel ghiaccio!) Insomma, un modo di godere del vino con maggior leggerezza e meno pomposità. “Impressioni” rispecchia questa tendenza, infatti il MdA ha 12,5° alcolici e consiglio anche di berlo fresco perché rimane molto piacevole Quello che mi piace dire ai più giovani è che il vino può essere bio, naturale, biodinamico, convenzionale. Va bene tutto, importante è che sia pulito. Quando sento delle “puzze” nel vino per me rappresentano un errore nel prodotto. Altra cosa che ritengo fondamentale è che il vino abbia caratteristiche riconoscibili, che sia distinguibile la mano e la storia di chi lo produce. Quindi pulizia, piacevolezza e racconto, del territorio e del vitigno. Questo mi piace molto: sincerità, coerenza tra ciò che si racconta e ciò che il cliente beve. Posso inventarmi mille cose ma se poi il vino non si beve di conseguenza non si vende e non va bene .

Ha pensato di trasportare il progetto Impressioni nella sua Puglia?

In realtà sì. Dopo il Covid sono ripartito nel 2021. L’obiettivo è di avere da qui a dieci anni una decina di etichette che rispecchino il mio stile nel bere e che possano far pensare ad un nuovo corso della professione del sommelier anche in Italia (perchè all’estero esempi del genere si incontrano).

Internet, i social, le app dedicate. Come vede la comunicazione del vino?

Viviamo in un mondo “social” in modo sempre più profondo che, se fatto funzionare bene, può essere un motore di comunicazione virtuosa molto grande. Io stesso comunico Impressioni sui social, molte ordinazioni oltre che al telefono, da amici, avvengono tramite il mio sito web. Il punto è dove sono i contenuti. Tanti influencer parlano di vino ma quanto ne sanno in realtà? Noi del settore ormai sappiamo distinguere chi ha vera conoscenza e passione per il vino e chi invece no.

Abbinamenti cibo-vino, qual è la sua idea? Si beve anche con le temperature torride?

Sì, si beve ugualmente, gli abbinamenti ideali sono quelli che vanno oltre le regole. Per rompere gli schemi è fondamentale conoscere la materia e conoscerne le regole. Fra i tanti tabù è ormai superato quello del vino rosso in abbinamento col pesce. Con i piatti di Niko Romito, impostati su punte di acidità e amarezze del vegetale o anche delle proteine animali, il sommelier lavorerebbe tradizionalmente per contrasto, a me invece piace accompagnare quei sapori. Con il menu vegetale, che ha una trama più difficile rispetto a una carne o a un pesce, abbiamo dovuto un po’ reinventare il percorso di abbinamento. Oggi riesco ad accompagnare l’acidità del vino con l’acidità del piatto, l’amaro del vino con l’amaro del piatto, cose prima difficili da comprendere. Gli abbinamenti sono un po’ come le persone, prese singolarmente sono complete ma solo insieme si comprende se vanno in contrasto o, piuttosto, si esaltano a vicenda. Per quanto mi riguarda non devono contrastarsi ma piuttosto amplificarsi vicendevolmente. E’ proprio questo ciò a cui sto lavorando da alcuni anni: creare abbinamenti che amplifichino arrivando alla chiusura del cerchio chiamato Equilibrio.

Esempio pratico?

Ad esempio, cosa mai vista prima, abbino un Monbazillac, vino dolce della Francia, a uno spaghetto al pomodoro. Ma si tratta dello spaghetto al pomodoro di Niko, con un’acidità importante e una dolcezza acida del pomodoro tale che al palato la morbidezza del vino attenua leggermente la parte acida del piatto ma poi rilascia note di pomodoro, spezie, zafferano richiamate sia dal piatto che dal vino stesso. Di conseguenza, nel retrogusto avremo una piacevolezza unica: due elementi che insieme in teoria non starebbero mai bene e invece insieme si potenziano.

In Italia c’è materia per abbinamenti così complessi e raffinati?

Sì, dipende dalle cantine. L’ Albana passita ci starebbe ugualmente bene in quel caso. In un vitigno di Pantelleria troverei una dolcezza molto più importante e acidità più nascoste quindi non sarebbe ciò che mi serve.

Bere miscelato a pasto?

Mi piace. Nonostante io non sia bartender, con il menu vegetale di Niko e con i menu più recenti ho pensato, insieme al mio alter ego Gino Arcade (32 enne, abruzzese di Moscufo, Pescara, ndr) ho realizzato cocktail ad hoc per accompagnarli, quindi Sì al cocktail durante il pasto, l’importante è avere una mentalità aperta e una buona conoscenza dei prodotti tutti.

L’alta ristorazione guarda con rinnovato interesse alla regionalità dei sapori e ai vitigni autoctoni.

Sì, ad esempio stiamo finalmente riscoprendo il Pecorino come un grande vino di tutto rispetto e che era stato messo da parte negli ultimi anni. Fondamentalmente questo è un problema italiano: sottovalutiamo quello che abbiamo. E’ vero che la Francia ha una allure straordinaria e anche altri Paesi hanno molto da dire ma in Italia esiste una miriade di vitigni importanti. Per questo scelgo di lavorare con piccole cantine regionali con un rapporto qualità-prezzo straordinario. Penso al Verdicchio di Jesi, al Vermentino della Toscana, al Gavi del Piemonte e l’Erbaluce di Caluso, Fiano e Greco della Campania, i bianchi siciliani, e il Trebbiano d’Abruzzo tra i più importanti vitigni italiani. Quando capiremo tutta la ricchezza che abbiamo in Italia speriamo non sia davvero troppo tardi..

Bollicine autoctone abruzzesi, che ne pensa?

Ne penso bene. Penso che chi decide di produrre bollicine autoctone ha valutato che i propri vitigni siano adatti a produrle. L’Abruzzo non è mai stato terra di bollicine però stanno crescendo, in un momento in cui sono altri i prodotti che hanno mercato, questo vuol dire che c’è un potenziale che forse ancora non era stato espresso. Ovviamente non possiamo paragonarle al Franciacorta, Trento Doc o Champagne, così come non possiamo paragonare questi ultimi tra di loro. Sono territori diversi, tutto ciò che un territorio riesce ad esprimere è un bene.

Qual è il segreto del suo lungo sodalizio con Niko e Cristiana Romito?

Li conosco da vent’anni e tra noi c’è una confidenza e un’intesa grande, ma è anche altrettanto importante ricordare che sono i miei datori di lavoro e io un loro dipendente, quindi il segreto è nel reciproco rispetto. Poi ci sono i progetti, le ambizioni che si incontrano. Lavorare con Niko insegna a guardare in altre direzioni ed è uno stimolo continuo. L’esperienza conta molto e allargare gli orizzonti altrettanto, tant’è che oggi nell’abbinamento ai piatti abbiamo sia vini che cocktail .

Se non fosse diventato sommelier cosa avrebbe amato fare nella vita?

Magari il musicista. Da ragazzo suonavo il pianoforte e sono stato combattuto fino alla fine sulla scelta tra l’alberghiero e il conservatorio. La scelta la conoscete ma non ho mai abbandonato quella passione: la musica mi accompagna un po’ come il vino, secondo gli stati d’animo. Amo molto il jazz, blues, la classica e tutta la musica che mi trasmette emozione.

Consigli ai giovani?

Ascoltare il mondo, imparare e andare avanti con la propria testa. E confrontarsi sempre fino a crearsi la propria identità, il proprio stile, ma non sentirsi mai arrivati. In parallelo, insieme a Cristiana abbiamo lavorato molto sulla sala, per trovare anche lì un’espressione identitaria che incarni tanto nel piatto quanto nel servizio la visione Romito. Ora che al Reale sono il più anziano del gruppo, ai ragazzi dico sempre che loro sono la mia forza, trovare l’affiatamento è fondamentale.

Sommelier è bello ma sono di più i giovani che sognano di diventare chef.

La situazione si va riequilibrando. Sala, accoglienza, vino hanno un fascino innegabile. Vero è che bisogna studiare sempre. Creare un piatto è difficile ma lo è altrettanto creare l’abbinamento ideale, possibilmente senza ripetersi. Il punto è accontentare anche con la cantina diversi pubblici ed essere sempre aperti al nuovo.

Quale sarà la nuova tendenza nel vino?

Spero il vino buono.

LE FOTO (di Andrea Straccini)


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