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Non c’è persona fisica, categoria, impresa, settore che prima o dopo non si sia sentito un bancomat nelle avide disponibilità del fisco. Scontato che, in questi tempi in cui sembra essere l’unico vero motore dell’economia italiana, anche il turismo finisse nel mirino. Ma come, visto il regime già abbastanza esoso cui le imprese di categoria sono soggette? Ovvio, con la tassa di soggiorno, che malgrado moltissimi (a partire dal ministro Santanchè) vorrebbero stigmatizzare quale tassa di scopo, ancora continua a rifocillare senza precise finalità le casse comunali. E non si tratta di bruscolini: nel 2023 l’imposta di soggiorno ha fruttato complessivamente 702 milioni di euro; per i comuni più grandi, come Roma che applica un prelievo medio di 5,5 euro (10 euro nelle strutture di lusso), significa incassi superiori ai 100 milioni di euro l’anno.



Adesso sembra che il decreto di Ferragosto (in discussione oggi, salvo contrordini, al Cdm) preveda un ritocchino: intanto l’estensione a tutti gli ottomila Comuni (dunque non solo i capoluoghi e i Comuni turistici), quindi il rincaro modulare, da un importo fino a 5 euro nel caso di costo del pernottamento inferiore a 100 euro fino a un massimo di 25 euro al giorno negli alberghi di extralusso (oltre 750 euro a notte). E sarebbe chiarito che gli incassi verrebbero destinati non solo a interventi nel settore del turismo, ma anche alla raccolta e allo smaltimento dei rifiuti, per il quale servizio già le strutture ricettive sono soggette a tassazione specifica.



Ovviamente, il comparto è in subbuglio, anche se il ministero del Turismo fa sapere che si tratta di un’ipotesi non definitiva che non vedrà la luce nelle prossime ore: “Non si sono ancora concluse le interlocuzioni con le associazioni di categoria e gli altri attori istituzionali in vista di una possibile proposta di modifica della disciplina dell’imposta di soggiorno; il dialogo proseguirà a settembre”.

Le conclusioni delle interlocuzioni, comunque, si possono già riassumere: no! Confindustria Alberghi, ad esempio, sostiene che le strutture ricettive non possono essere “un mero bancomat per i Comuni”. La presidente Maria Carmela Colaiacovo, Presidente di Confindustria Alberghi, si dice “sorpresa che dopo mesi di dialogo proficuo e di confronto si proceda improvvisamente all’approvazione di un testo che sembrerebbe far saltare alcuni dei capisaldi su cui si innestava la riforma in discussione”, riferendosi soprattutto al vincolo di destinazione del gettito, nato per il sostegno delle attività turistiche e che “invece di rafforzarsi sembrerebbe venir meno” per coprire altre uscite.



Sulla stessa linea anche Federalberghi. “Non condividiamo la proposta di aumentare ulteriormente la tassa. Sono trascorsi solo pochi mesi da quando, in vista del Giubileo, il tetto massimo è stato elevato del 40%, passando da 5 a 7 euro per notte e per persona ed è stata introdotta la possibilità di utilizzarla per coprire i costi della raccolta rifiuti, snaturando le finalità dell’istituto”, dice il Presidente Bernabò Bocca. “Invece di aumentare la tassa di soggiorno si segua l’esempio di New York e si faccia una ‘City tax’ imposta a tutti i settori che beneficiano del turismo, quindi ristoranti, bar, negozi. Ritengo sia iniqua la decisione di individuare l’esercizio ricettivo come unico punto di prelievo nei confronti dei turisti. Sarebbe più corretto finanziare le funzioni svolte dagli enti locali in campo turistico con modalità diverse dall’imposta di soggiorno, ad esempio mediante la compartecipazione degli stessi enti locali al gettito Iva di tutte le attività produttive che traggono beneficio dall’economia turistica. Gli studi hanno dimostrato che sulla spesa del turista l’albergo non incide mai più del 27%. Quindi se c’è da pagare un contributo a nostro giudizio non deve essere pagato solamente dall’albergo o dal turista che soggiorna nell’albergo, ma da tutte le attività economiche che beneficiano del turismo. Il concetto è pagare tutti per pagare meno”.

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