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È una spesa che aumenta sempre più, e non potrebbe essere diversamente. Perché le persone vivono di più, perché l’età media sale, perché il costo della vita cresce. I conti sono però importanti e pesanti: ogni mese l’Inps spende ora circa mezzo miliardo di euro (510 milioni) per pagare le pensioni dei bergamaschi, con una crescita di circa 100 milioni di euro rispetto alla spesa mensile del 2020. Se si torna al 2014, dieci anni fa, la spesa era di «soli» 348 milioni di euro al mese: in un decennio quindi è aumentata del 46,6%.

I dati della spesa

Sono i numeri che si ricavano delle banche dati dell’Inps. In Bergamasca a inizio 2014 si contavano infatti 343.770 assegni pensionistici derivanti da lavoro privato (i pensionati sono di meno, perché una persona può ricevere più assegni di tipologia differente, e in questo computo sono incluse anche le pensioni assistenziali), per un importo medio di 877,42 euro mensili (e dunque una spesa di 301,6 milioni di euro), e a questi si sommavano 29.829 pensioni della Gestione dipendenti pubblici dal valore di 1.569 euro mensili (perciò una spesa di 46,8 milioni di euro), per un totale di 373.599 assegni e circa 348,4 milioni di euro totali.

All’epoca erano già scattati i primi effetti della riforma Fornero che allontanava il traguardo della pensione; nel mezzo, le diverse correzioni (le famose «quote) del complesso sistema pensionistico hanno variato il quadro. Ma sullo sfondo resta la questione demografica, perché questi sono gli anni in cui escono dal lavoro i «baby boomers», andando ad ampliare la platea dei pensionati. Così, a inizio 2024 – sempre secondo le banche dati Inps – le pensioni da lavoro privato sono salite a 372.633 per un importo medio di 1.180 euro mensili (439,8 milioni di euro al mese), cui si sommano 35.247 assegni della gestione dipendenti pubblici per un importo medio di 1.993 euro (circa 70,2 milioni di euro al mese). A oggi, tra le pensioni da lavoro privato e quelle per gli ex dipendenti pubblici, ogni mese l’Inps eroga 407.880 assegni per 510 milioni di euro al mese in Bergamasca (più di 6 miliardi di euro l’anno).

I sindacati

Guardando al futuro, come si può garantire l’equilibrio del sistema? Le previsioni demografiche parlano di un calo dell’8,2% di under 14 nel 2043, mentre nella fascia che l’Istat considera in «età lavorativa», cioè tra i 15 e i 64 anni, la Bergamasca, che oggi conta 714.218 residenti, scenderà a 644.625 unità, con una riduzione del 9,7%. Ad aumentare sarà la popolazione più anziana: i bergamaschi dai 65 ai 79 anni cresceranno del 43,8% (quasi 75mila in più), mentre gli over 80 addirittura del 61,3% (45mila in più).

Le soluzioni certo non sono semplici e neppure immediate, il problema è comune a tutta Italia e a gran parte dell’Europa. «La situazione è complessa – riconosce Marco Toscano, segretario generale della Cgil di Bergamo -. Le previsioni demografiche da tempo mettono in evidenza il calo della popolazione, l’invecchiamento e la riduzione di chi è in età da lavoro. Per far sì che il sistema regga, si può ragionare su alcune leve: aumentare il tasso di occupazione e soprattutto quello femminile, una criticità anche bergamasca, ricordando tra l’altro che c’è una correlazione positiva tra occupazione femminile e tasso di natalità. Se pensiamo ai giovani, dobbiamo creare le condizioni perché restino nel nostro Paese anziché emigrare all’estero. Anche l’aspetto salariale rientra in questa discussione: l’aumento dei salari porta a un maggior gettito contributivo, quindi a qualcosa di positivo per il sistema». Sul breve periodo, prosegue Toscano, «una soluzione immediata è legata al cambiare la politica sull’immigrazione: la Legge Bossi-Fini va superata, abbiamo bisogno di lavoratori dall’estero e di politiche di accoglienza e dell’integrazione diverse. L’accoglienza è fondamentale non solo dal punto di vista dei diritti umani, ma anche del welfare».

Il tema dei giovani

Ragionando sui giovani, Francesco Corna – segretario generale della Cisl di Bergamo – mette in cima alla lista un punto: «La pensione di garanzia per i giovani: proponiamo da tempo un sistema di tutele che aiuti i giovani a costruirsi un futuro previdenziale, coprendo i periodi di buco contributivo tra un’occupazione e l’altra». Da lì, Corna allarga lo sguardo: «Sulle pensioni possono essere impostati più ragionamenti. Innanzitutto la pensione va pagata a chi paga i contributi: attraversiamo invece una fase di strabismo in cui da un lato si parla di penalizzare chi lavora e vuole andare in pensione, dall’altro lato si propone di portare a mille euro al mese le pensioni (le minime, ndr) di chi non ha pagato gli stessi contributi. Nei meccanismi pensionistici è poi necessario tenere conto di chi ha scommesso sul futuro e ha fatto dei figli, riconoscendo alle donne dei bonus e dei vantaggi, così come è necessario tutelare chi svolge lavori usuranti».

Se è vero che le pensioni crescono anche in importo, negli ultimi anni i meccanismi d’indicizzazione hanno comunque penalizzato anche gli assegni d’importo medio: «Il governo ha fatto cassa sulle pensioni – rimarca Corna – e questo non è giusto». Il tema della natalità resta cruciale: «I dati ci restituiscono una società futura composta da un vero e proprio esercito di over 60 – ribadisce Pasquale Papaianni, coordinatore territoriale della Uil Bergamo -. Da tempo sosteniamo la necessità di migliorare le condizioni a sostegno delle nascite: asili nido, mense scolastiche, affitti, trasporti hanno una forte incidenza sui budget familiari, e gli aumenti contrattuali non sono stati in grado di compensare la spirale inflazionistica che ha deteriorato il potere di acquisto. Chiediamo politiche di defiscalizzazione e di promozione della natalità, intesa come uno dei più profondi e saldi principi appartenenti al nostro dettato costituzionale».

 

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