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Oltre ad essere entrato a far parte dello stretto novero dei valori tutelati dalle previsioni costituzionali, lo sport è anche attività di lavoro, che, specialmente per i giovani, consente, in alcuni casi, di avere accesso ad un’attività economica remunerata, capace di costituire la principale fonte di reddito. Inoltre, la disciplina del lavoro sportivo presenta alcuni tratti che potrebbero trovare una diffusione più ampia e generale: infatti, lavoro dipendente e autonomo coesistono, di modo che, ai fini della qualificazione del rapporto, si attribuisce centralità ad un criterio di prevalenza, limitando cioè le tutele proprie del lavoro subordinato solo a quanti facciano dello sport una vera professione. Dal punto di vista previdenziale, poi, anche prima dell’incorporazione nell’INPS dell’ENPALS, tutte le prestazioni erano assoggettate ad un medesimo prelievo contributivo e davano diritto ad una prestazione unica. Ancora: il contratto di apprendistato nello sport è la tipologia centrale e sicuramente meglio remunerata rispetto alle altre ipotesi note nel nostro sistema. E anche se i recenti interventi del legislatore sulla riforma dell’intero settore sportivo non sono sempre stati lineari e hanno conosciuto varie riscritture, si può affermare che lo sport non è solo divertimento, ma può insegnare qualcosa a tutti. In ogni ambito!

Come avviene ogni quattro anni, con una cadenza che solo la pandemia da Covid-19 è riuscita ad alterare, l’estate viene ad essere caratterizzata da grandi eventi sportivi (prima il Giro d’Italia, poi l’Europeo di calcio, il Tour de France, le Gare di tennis a Wimbledon), che culminano, dalla fine di luglio in avanti, nelle Olimpiadi. Queste ultime si riallacciano ad una tradizione antica di due millenni, quando in onore della somma divinità di tutti i greci, anche le guerre si fermavano, in attesa di conoscere chi fosse l’atleta più veloce o più forte.

Anche chi non pratica alcuna attività, professionale o dilettantistica, ed è solo uno spettatore dovrebbe sapere che dal 20 settembre 2023 lo sport è ora entrato a far parte dello stretto novero dei valori tutelati dalle previsioni costituzionali. In quella data, infatti, per voto parlamentare unanime, in coda all’art. 33 Cost. è stato introdotto un nuovo comma, che così recita: «La Repubblica riconosce il valore educativo, sociale e di promozione del benessere psicofisico dell’attività sportiva in tutte le sue forme».
L’art. 33 Cost., che viene arricchito di questa nuova previsione, ha una storia importante dietro di sé, poiché tale disposizione è nata per impedire che potesse ripetersi l’esperienza dittatoriale, che aveva asservito tutte le istituzioni, culturali e non, al Governo dello Stato, impedendo l’attività di tutte le formazioni e i “corpi sociali” intermedi (e cioè i partiti politici, i sindacati, le associazioni “di categoria” o i gruppi formati da chi professava una certa religione o praticava una certa attività). La norma, non a caso, si apre proclamando che «L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento», a conferma che tutte le comunità devono essere libere di regolarsi e di sviluppare al proprio interno le regole di auto-governo.

Non deve stupire, quindi, se lo sport viene ora assimilato alle altre istituzioni culturali, riconoscendo ad esso un “valore educativo, sociale e di promozione del benessere”, poiché per questa via si giunge non solo a tutelare l’enorme potere aggregativo dell’attività agonistica, mettendola così al riparo da strumentalizzazioni in passato non infrequenti, ma perché al contempo si valorizza il contributo che ogni attività fisica dà, sia al miglioramento delle complessiva condizione di vita di ognuno, sia alla crescita dei più giovani, facendo comprendere che l’autodisciplina e il miglioramento di sé stessi sono parte di una sana educazione e che la competitività, se ben intesa, è uno stimolo a fare sempre meglio.

Al contempo, come è emerso con chiarezza dall’ultimo “Europeo” di calcio, lo sport costituisce uno straordinario strumento che serve a garantire nei giovani (e nei tanti tifosi) la condivisione di valori comuni e a tenere (in Italia e nel mondo) una parte della gioventù lontana dai tanti pericoli delle periferie cittadine.

La Costituzione, tuttavia, sembra chiarire che lo sport non è solo un valore, ma che il suo riconoscimento implica anche un diritto a poter accedere a strutture pubbliche, funzionanti e a basso costo (se non gratuite), di modo che ha fatto discutere la recentissima legge 26 giugno 2024, n. 86 (legge sull’autonomia “differenziata”), là dove, nel dare attuazione all’art. 116, terzo comma, della Costituzione, si riconoscono a tutte le Regioni, competenze in tema di “ordinamento sportivo”, senza rendersi conto che tutto lo sport è regolato da accordi internazionali, che hanno ad oggetto non solo l’individuazione di regole comuni alle singole discipline (si pensi al calcio), ma anche l’organizzazione delle competizioni internazionali (come, per l’appunto, le Olimpiadi).

Insomma, il legislatore italiano, invece di riconoscere autonomia normativa ed organizzativa alle Regioni (da esercitare, quindi, soprattutto nel campo del dilettantismo), avrebbe dovuto (anche a beneficio della qualità di gioco della nazionale di calcio!) imporre standard comuni a tutti, al fine di migliorare gli impianti scolastici (e quelli aperti al pubblico) e di incrementarne la diffusione sul tutto il territorio nazionale.

Al contempo, lo sport è anche attività di lavoro, che consente a tanti giovani o di mantenersi indipendenti o, in alcuni casi, di avere accesso ad un’attività economica remunerata, capace di costituire la principale fonte di reddito, almeno per il periodo iniziale della loro vita. Anche in questo caso, l’intervento del legislatore è stato recente e non sempre lineare, se è vero che gli originari decreti legislativi del 28 febbraio 2021, che attuavano la riforma dell’intero settore sportivo (dando così seguito alla legge delega n. 86 del 2019), hanno conosciuto varie riscritture, tanto che prima si è intervenuti con il D.Lgs. 29 agosto 2023, n. 120 e poi, ancora di recente, con il D.L. 31 maggio 2024, n. 71, recentemente convertito in legge n. 106/2024.

La disciplina del lavoro sportivo, peraltro, presenta alcuni tratti che potrebbero anche trovare una diffusione più ampia e generale. Nello sport, infatti, lavoro dipendente e autonomo coesistono, di modo che, ai fini della qualificazione del rapporto, si attribuisce centralità ad un criterio di prevalenza, limitando cioè le tutele proprie del lavoro subordinato solo a quanti facciano dello sport una vera professione.

In altri termini, anche se l’attività agonistica dedotta in contratto resta la stessa, il rapporto concretamente posto in essere dalla società sportiva (o dalla palestra) con l’atleta (o con il preparatore tecnico) può qualificarsi in termini di lavoro o subordinato, o autonomo a seconda del tempo dedicato all’attività sportiva (e alla preparazione), di modo che, ad es., si ha contratto di lavoro autonomo quando l’attività sia svolta nell’ambito di una singola manifestazione sportiva o di più manifestazioni tra loro collegate in un breve periodo di tempo, ovvero quando la prestazione che è oggetto del contratto non superi 8 ore settimanali, oppure 5 giorni ogni mese, ovvero 30 giorni ogni anno (art. 25 del D.Lgs. n. 36/2021). Dal punto di vista previdenziale, poi, anche prima dell’incorporazione nell’INPS dello speciale ente che curava le pensioni di artisti e sportivi (l’ENPALS), tutte le prestazioni erano assoggettate ad un medesimo prelievo contributivo e davano diritto ad una prestazione unica. Infine, poiché, l’abilità delle società sportive sta anche nel saper riconoscere già nei giovanissimi il talento, il contratto di apprendistato diventa nello sport una tipologia centrale e sicuramente meglio remunerata rispetto alle altre ipotesi note nel nostro sistema.

Insomma, pare di poter concludere nel senso che lo sport non è solo divertimento, ma che può insegnare qualcosa a tutti, in ogni ambito!

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