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I timori di una possibile recessione negli Usa e in Cina ieri hanno determinato un «venerdì nero» sui mercati finanziari. Aveva iniziato Tokyo con un crollo del 5,81%, il peggiore dal «lunedì nero» del 19 ottobre 1987. Hanno seguito a ruota le Borse europee e, con l’apertura di Wall Street, anch’essa in rosso, la situazione è peggiorata. Ma cos’ha scatenato quest’ondata di vendite che fino a pochi giorni fa pareva del tutto imprevedibile? Rigorosamente in ordine cronologico: i risultati trimestrali di Intel, il colosso americano dei microchip che ha mancato le stime dei ricavi e ha annunciato un piano di tagli da 10 miliardi di dollari con 15mila licenziamenti. Anche il fatturato di Amazon non è stato brillante ed è un segnale poco incoraggiante per i consumi a livello globale. A mezz’ora dalla chiusura perdono rispettivamente il 30 e il 12 per cento. Infine, i dati sulla disoccupazione Usa che è risalita al 4,3% con oltre un milione di posti di lavoro persi in un anno.

È l’effetto della stretta sui tassi decisi dalla Fed, la banca centrale americana (vedi box a fianco), che mette a rischio la tenuta della prima economia del mondo. Il risultato? La Borsa di Milano ha perso il 2,55%, peggiore piazza in Europa seguita da Francoforte (-2,3%), Madrid (-1,7%), Parigi (-1,6%) e Londra (-1,4%). Wall Street, a trenta minuti dal suono della campanella, vedeva il Dow Jones cedere il 2% e il Nasdaq calare del 2,5.

Per Piazza Affari questo venerdì è stato particolarmente negativo perché è seguito a un’altra seduta in rosso determinando in soli due giorni un calo della capitalizzazione di mercato di oltre 40 miliardi di euro. Tra i titoli peggiori i bancari con Bper in calo del 4,6%, Mps del 4,7%, Unicredit del 5% e Intesa Sanpaolo del 4,4%. Le azioni delle banche hanno sofferto anche per le indiscrezioni relative all’introduzione di un contributo di solidarietà sugli extraprofitti di finanza, lusso ed energia in legge di Bilancio, una circostanza prontamente smentita da Palazzo Chigi, proprio per sgombrare il campo dalle polemiche. La Consob ha comunque ha avviato un monitoraggio d’ufficio sulle oscillazioni anomale dei titoli bancari. Tra le peggiori blue chip italiane StM (-5,8%), penalizzata dal crollo di Intel, ma anche Stellantis (-3,3%), messa sotto pressione dal calo della produzione industriale (-25% per quella automotive).

Ovviamente, quando all’orizzonte si annunciano segnali recessivi, i primi a pagarne le spese sono i titoli di Stato italiani: lo spread, cioè il differenziale di rendimento tra i Btp decennali italiani e gli omologhi Bund tedeschi è salito a quota 150 punti base dai 140 della vigilia. Il rendimento dei Buoni è salito al 3,6% anche se dal punto di vista macroeconomico non molto è cambiato per il nostro Paese. L’occupazione è ai massimi storici al 62,2%, il Pil 2024 dovrebbe centrare le stime di crescita dell’1% e le entrate fiscali sono in salute più che buona. Ma i mercati guardano al debito che è salito sopra i 2.900 miliardi e inciderà per oltre il 140% del Pil, soprattutto per effetto del Superbonus.

Sono gli effetti perversi di un mercato in cui ogni cattiva notizia viene interpretata come tale, ha sottolineato un analista riferendosi al pessimismo delle ultime sedute. Ecco perché rigore e prudenza sui conti pubblici sono d’obbligo.

 

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