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La mancanza di maestranze è un problema non solo del tessile ma della gran parte dei settori artigiani e del commercio. Una questione non certo taciuta alla quale si è cercato di porre rimedio soprattutto per il distretto con corsi di formazione creati sulle esigenze specifiche delle imprese in cerca di manodopera. Allo stesso tempo un settore che soffre per la mancanza di braccia è quello della ristorazione: cuochi, camerieri, aiuto cuochi e lavapiatti. Figure tanto importanti quanto complicate da trovare. “Lo spartiacque è stato il Covid – sottolinea Stefano Bonfanti, presidente di Confesercenti Prato -. prima non c’era questo problema, con la pandemia tanti professionisti hanno lasciato i ristoranti che erano chiusi e si sono avvicinati alle gastronomie dei supermercati o nelle mense, e così c’è stato un allontanamento e un disamore della professione che invece è bellissima e dà grandi soddisfazioni perché la cucina è arte, è assemblare materie per soddisfare i clienti”.

Solo pochi giorni fa sulla Nazione abbiamo raccontato la storia decennale del ristorante L’Antilope di via Pistoiese che il 4 agosto chiuderà i battenti dopo 66 anni non per mancanza di lavoro, ma perché non è stato possibile trovare personale per tirare avanti l’attività che non ha mai sofferto di crisi. Le associazioni di categoria hanno più volte lanciato l’allarme, ma se il problema della mancanza di manodopera adesso porta alla chiusura di attività floride sale l’asticella dell’allerta. “Si è divulgata la falsa notizia che i professionisti della ristorazione sono sottopagati – aggiunge Bonfanti – è una falsità, i ristoratori sono pronti a investire sui giovani. Faccio un esempio: un cuoco mediamente arriva a guadagnare oltre 3mila euro al mese e giovani di 18 anni freschi di diploma possono arrivare a 1800 euro al mese con la prospettiva di crescere”.

Come intervenire? Secondo Confesercenti un buon inizio potrebbe essere aumentando il periodo di stage. I ragazzi dell’alberghiera restano appena due mesi non consecutivi nelle cucine dei ristoranti. Troppo poco per riuscire a comprendere e ad appassionarsi alla professione: “È necessario alzare il periodo di stage almeno a quattro mesi così i ragazzi hanno il tempo di capire se quello è il loro mestiere – aggiunge Bonfanti -. In appena un mese non è possibile se si pensa che i primi dieci giorni servono solo per capire le dinamiche delle cucine”.

Altro tema è quello degli incentivi: sgravare i titolari di parte dei costi dei contratti e poter così aumentare gli stipendi. Un modo concreto per avvicinare lavoratori. “La questione è stata dibattuta – dice Tommaso Gei, presidente Fipe Confcommercio – Effettivamente è difficile in questo momento avere un ricambio organico. Ha contributo a questo la spettacolarizzazione della professione degli ultimi anni che non si rispecchia con la realtà fatta di impegno, dedizione e consistenza, questi elementi fanno la differenza non il decantato estro che è solo di pochi. Inoltre è importante sottolineare che ci sono tantissimi professionisti che contribuiscono a mandare avanti locali, valorizzare chi è nel settore può fare da traino alle nuove leve”.

Silvia Bini

 

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