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Questa storia comincia con una coppia che, rivoltasi al Tribunale di Macerata, chiede la definizione delle modalità di affidamento congiunto del figlio minore di 16 mesi. In primo grado il Tribunale aveva stabilito che il padre avesse diritto di visita, che avrebbe dovuto pagare il mantenimento del figlio e che avrebbe contributo, a metà con la madre, alle spese straordinarie per il neonato.

La donna decide quindi di presentare ricorso alla Corte d’Appello di Ancona, ottenendo due modifiche: un aumento dell’importo del mantenimento a causa del basso reddito della stessa e il pernottamento esclusivo del minore presso la sua abitazione. La scelta del pernottamento esclusivo del figlio presso l’abitazione della madre è stata motivata dalla Corte affermando che il pernottamento presso il padre sarebbe stato dannoso per il minore. La Corte ha quindi stabilito che, fino al terzo anno di età del bambino, il padre avrebbe avuto diritto di passare due pomeriggi alla settimana con il figlio, uno infrasettimanale e uno nel weekend; per le vacanze estive e natalizie il padre avrebbe potuto passare due settimane consecutive con il figlio, ma sempre senza il pernottamento.

A questo punto il padre decide di fare ricorso in Cassazione per far valere il principio di bigenitorialità, affermando che la Corte non avesse motivato la ritenuta dannosità del pernottamento del figlio presso la propria abitazione. La Cassazione ha però ritenuto inammissibile il ricorso, confermando la sentenza della Corte d’Appello.

Ma cerchiamo di capire il perché di questa decisione, sulla base della legge. Il principio di bigenitorialità è stato introdotto con la L. 54/2006, riguardante l’affidamento condiviso. Questo principio è stato poi ribadito dalla Corte di Cassazione che lo ha, però, subordinato al benessere del bambino. Nel caso di specie, essendo il minore ancora allattato dalla madre, il pernottamento presso il padre non era conciliabile con questa esigenza del minore.

Vediamo poi cosa afferma il codice civile. L’art. 337 ter del c.c. afferma che “il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale“.
Per assicurare ciò, il giudice adotta provvedimenti che perseguano l’interesse esclusivo della prole, decidendo:

Il comma 4 dell’art. 337-ter c.c. prosegue affermando che, se non ci sono accordi tra i genitori circa le modalità di mantenimento dei figli, sarà il giudice a decidere l’ammontare dell’assegno di mantenimento, tenendo conto:



 

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