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Al partito della Meloni concede tutto: dalle nomine all’egemonia culturale. Al suo neanche un assessore

Voleva evitare di scontentare qualcuno, in realtà ce l’ha fatta e ha scontentato tutti. L’ultima operazione di Renato Schifani, cioè la scelta di Alessandro Dagnino come assessore all’Economia, ha rivelato la penuria di competenze all’interno di Forza Italia. Il partito di Tajani e dello stesso governatore – questo il messaggio emerso dal turnover con Falcone – non è in grado di esprimere una classe di governo degna di tale nome. Dagnino andrà valutato sul campo e, probabilmente, finirà per appianare lo scontro con la Corte dei Conti, alimentato da cinque anni d’assessorato Armao. Ma c’è il rovescio della medaglia: cioè che gli azzurri, attualmente, sono il partito meno rappresentato al governo (alla pari solo del Mpa, che però potrebbe ottenere la vicepresidenza).

A differenza di Fratelli d’Italia, che gode dell’immunità presidenziale – guai a discutere un intendimento dei patrioti, che si parli di rimpasto o di turismo – Forza Italia è dimezzata. Quasi menomata. L’unico “fortunato” si chiama Edy Tamajo, che però dovrà accontentarsi di rimanere parcheggiato alle Attività Produttive. Sia Dagnino che la Volo, infatti, sono assessori “tecnici”. Si tratta di scelte ponderate finché si vuole, ma figlie di un’incoerenza di fondo: Schifani avrebbe voluto puntare sin da subito su una squadra di assessori-eletti – così ha rimarcato dopo il suo insediamento, nel settembre 2022 – allo scopo di blindare il governo. Con una sola eccezione: l’assessore alla Salute. Adesso c’è pure quello all’Economia, un avvocato stimabile, a rompere gli equilibri. E a breve potrebbe aggiungersi il responsabile dell’Agricoltura: un altro “tecnico” nominato dalla Lega. Cosa è successo? A cosa è dovuta questa repentina inversione di marcia?

L’unico di Forza Italia a fare un passo deciso verso Dagnino è il capogruppo, Stefano Pellegrino: “Conferma la scelta di competenza e professionalità cui è stata ed è improntata l’azione del Governo regionale”. Gli altri non fiatano, e molti già rimpiangono il dinamismo di Falcone, anche nella gestione dei rapporti con le opposizioni. Anche Tamajo, già costretto a cedere il seggio a Bruxelles e rimasto orfano del suo sogno di compiere l’upgrade (con la Sanità) non è riuscito a piazzare in via Notarbartolo né Nicola D’Agostino, suo collega di partito dai tempi di Sicilia Futura; né Michele Mancuso, ex fedelissimo di Micciché, e fautore dell’ottima affermazione del sindaco Tesauro a Caltanissetta. L’altro contendente poteva essere Giovanni La Via, possibilità smorzata sul nascere per la sua “appartenenza” all’area Falcone.

Schifani, in realtà, non ha mai avuto dubbi: all’inizio aveva pensato di offrire l’ambita poltrona a un cavallo di ritorno, quel Gaetano Armao che s’era reso celebre per i cinque esercizi provvisori di fila e aveva abbandonato Forza Italia alla vigilia delle ultime Regionali (ma s’è limitato a lasciargli la gestione dei fondi extraregionali, dopo aver scippato a Falcone la delega alla Programmazione); poi si era orientato sul suo capo di gabinetto, Totò Sammartano, che però ha preferito rimanere dov’è. Infine è spuntato Dagnino. Nessuno di questi ha esibito la tessera di partito, nessuno è riconducibile al Cav. e alla sua storia. Sono il prodotto di una bocciatura e della sfiducia che continua a serpeggiare fra i berluscones, nonostante il 24% alle Europee (dopato dagli aiutini di Cuffaro e Lombardo).

Di tutt’altro tenore, invece, è la considerazione di Schifani verso i patrioti. D’altronde è stato il primo a beneficiare dei favori di Ignazio La Russa, che decise di candidarlo a presidente per il dopo-Musumeci. Schifani ha sempre baciato la pantofola dei meloniani, anche di fronte a situazioni imbarazzanti: come al momento della formazione della squadra di governo. FdI mandò in crisi lo schema degli assessori-eletti, insistendo con due nomine calate dall’alto: quella di Elena Pagana al Territorio e Ambiente e quella di Francesco Scarpinato al Turismo. Entrambi erano stati bocciati nelle urne, ma godevano di santi in paradiso. Registrato il turnover con Amata ai Beni culturali, Schifani ha acconsentito che Scarpinato rimanesse in giunta nonostante i pessimi rapporti e lo scandalo dell’affidamento diretto a una ditta lussemburghese per realizzare una mostra fotografica a Cannes. L’atto da 3,7 milioni fu revocato in autotutela, innescando una “guerra” con Manlio Messina, ex assessore al Turismo. “O Schifani non ha guardato le carte, e questo sarebbe gravissimo, oppure non le ha sapute leggere”.

Un attacco frontale a cui Schifani, inizialmente, decise di non replicare. Controllò l’ira, per una volta. Fino alla pace definitiva, giunta qualche mese dopo a Brucoli, durante un convegno organizzato dalla corrente turistica che fa capo al Balilla. In quella occasione, addirittura, il governatore disse di considerarlo un massimo esperto in materia e uno dei consulenti più fidati. Poco tempo dopo, anche di fronte allo scandalo e al buco milionario di SeeSicily, e alla revoca di alcuni contratti con gli albergatori da parte di un burocrate (con caduta dal pero), il presidente fece spallucce: “Più volte, in occasioni pubbliche ho sempre apprezzato l’attività del precedente governo per quanto riguarda le attività promozionali messe in campo dall’assessorato al Turismo”. Passando dalla tregua all’encomio.

Anche in questa occasione di rimpasto, o presunto tale, Schifani consentirà all’ala messiniana di tenersi in giunta Scarpinato. Un assessore non eletto. E di procedere, al contempo, al turnover fra Elena Pagana (che era e resta in quota Musumeci, non proprio il miglior amico del governatore) e Giusy Savarino, ch’era stata beffata al primo giro. Schifani è così ben disposto nei confronti dei patrioti, da aver ipotizzato, con la prossima manovra correttiva, una variazione di bilancio da circa 2,5 milioni: di cui una parte per finanziare la trovata pubblicitaria di una campagna anti-siccità (promossa da lui stesso); e l’altra per garantire il solito tesoretto a beneficio di feste, sagre e carnevali. Soldi che potrebbero far felici i deputati e alleviare un’estate di rogne, dalla siccità agli incendi.

Ci mancava solo il tappeto rosso nei confronti del ministro Lollobrigida, quello che “per fortuna la siccità ha colpito solo la Sicilia”: il Cognato d’Italia è arrivato a Siracusa per annunciare un contributo da 15 milioni per gli agricoltori e per proporre “un luogo permanente che verifichi lo stato di avanzamento di tutti gli interventi di carattere contingente ma anche e soprattutto di carattere strutturale per fronteggiare la siccità in Sicilia”. A Schifani avrebbe potuto proporre di fare, e in fretta, il nuovo assessore all’Agricoltura dopo tre mesi e passa di vacatio. Forse si sarebbe convinto…



 

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