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Torniamo sulla questione della deducibilità di abiti e vestiario dal reddito di imprenditori e professionisti: l’inerenza del costo è legata a professioni particolari (l’ultimo caso giurisprudenziale ha riguardato una fashion influencer) e non generalizzata.

In merito alla deducibilità degli abiti e del vestiario diversi da quelli da lavoro, è sempre opportuno precisare dei dettagli, onde evitare, in caso di controlli del fisco, spiacevoli sorprese. Periodicamente, la giurisprudenza torna a risvegliare una querelle molto dibattuta (purtroppo non solo nella mente dei professionisti e delle imprese individuali, ma anche degli addetti ai lavori), ossia quella della deducibilità degli abiti diversi da quelli da lavoro (come le tute da lavoro, i camici dei medici o le toghe degli avvocati).

 

Deducibilità di abiti e vestiario: cosa dice la giurisprudenza?

Abbiamo già avuto modo di commentare una sentenza della CTP di Milano n. 949/I/22 in questo contributo. Prima di essa, si era avuta la CTP di Milano n. 6443/XL/16 (il caso della Rodriguez).

Oggi è la volta della sentenza della Corte di giustizia tributaria di II grado (ex CTR) di Milano con la sentenza n. 468/07/2024 depositata il 12 febbraio 2024 , commentata qui.

Partiamo da un dato, che poi è dirimente: tutte e tre le sentenze si riferiscono a casi molto particolari; andiamo infatti dalla showgirl di grande notorietà anche fuori dall’Italia, alla cantante lirica, fino a quella di oggi, che si riferisce ad una giornalista italiana, ex direttrice di Vogue Japan, nonché Fashion Influencer di fama mondiale.

La sentenza ultima, invero, non aggiunge granchè ai principi di diritto già affermati dalle precedenti.

Il vestiario utilizzato, per essere deducibile almeno nella misura del 50%, deve essere

“parte integrante del personaggio e dell’immagine che viene professionalmente spesa”.

In sostanza, in questi casi la deducibilità è ammessa perché l’abito indossato è assimilabile più ad una tuta da lavoro (dal punto di vista dell’utilizzo, ovviamente) che ad un abito in sé e per sé.

Si segnala come nel caso della showgirl, addirittura la contribuente aveva dedotto il costo degli abiti nella sola misura del 50%! E’ stata proprio questa la misura che, dopo il ricorso, è stata confermata dal Giudice Tributario.

Nel caso della ultima sentenza, il recupero è stato effettuato in quanto la contribuente aveva dedotto il 100% del costo, senza però fornire prova dell’utilizzo esclusivo dei capi di abbigliamento nell’ambito professionale.

 

E per le partite IVA in generale?

L’utilità dell’abito a concorrere a dare una buona immagine del professionista non è, dunque, sufficiente a legittimare la deduzione del relativo costo (cfr. sentenza n. 177/II/2023 della Cgt Veneto).

È quanto mai opportuno, dunque, informare di tali limiti i clienti che, sull’onda del risparmio fiscale, provano a sostenere l’inerenza del vestiario.

 

Danilo Sciuto

Mercoledì 13 Marzo 2024

 

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