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Nota- Questo comunicato è stato pubblicato integralmente come contributo esterno. Questo contenuto non è pertanto un articolo prodotto dalla redazione di PalermoToday

Ricorre quest’anno il 32° anniversario di una delle più tragiche giornate della storia della nostra Repubblica: la strage di Via D’Amelio, Palermo 19 luglio 1992. Dopo tanti anni da quell’infausta data, fiumi di inchiostro sono stati versati per raccontare i fatti, ipotizzare scenari e soprattutto descrivere la statura morale del giudice Borsellino. In realtà non esistono parole sufficienti per esprimere la commozione per quanto è accaduto e per celebrare adeguatamente tutti gli eroi di via D’Amelio, che, consapevolmente, hanno scelto, giorno dopo giorno, di onorare la propria funzione a costo della propria vita; oggi il modo migliore per tramandarne il ricordo è affidarne il ritratto a un giovanissimo studente calabrese, Simone Calì, della classe III sez. G, del Liceo scientifico Filolao di Crotone, le cui parole esemplificano con fresca immediatezza l’ammirazione di un ragazzo del 2024 per i protagonisti della legalità.

“Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola” e così con questa frase che Paolo Borsellino deve essere ricordato, un uomo che ha messo l’amore per la sua terra prima della sua vita. Paolo Borsellino nato a Palermo, cresce nel quartiere popolare della Kelsa, dove strinse una forte amicizia con Giovanni Falcone. I due sin da piccoli sognano di poter dare alla loro terra, la Sicilia, un futuro migliore, ripulendola dalle ingiustizie e dagli abusi della mafia. Questa loro idea, di avere una Sicilia diversa, li porta a iniziare gli studi di giurisprudenza e a soli 23 anni Borsellino diviene il magistrato più giovane d’Italia. Nel 1980 Paolo Borsellino, Giovanni Falcone e altri giudici danno il via al primo Pool antimafia con lo scopo di cambiare le cose non solo a Palermo, ma in tutta la Sicilia. Nel 1992, dopo la strage di Capaci, Paolo Borsellino non si fa intimorire e dopo quel terribile attacco, continua il progetto che lui e il suo più caro amico Giovanni Falcone, hanno sempre avuto in mente sin da bambini. Il 19 luglio 1992, a meno di due mesi dalla strage di Capaci, la strage di via d’Amelio sconvolge il Paese.

Come ogni settimana era solito fare, il giudice si recava nell’abitazione della madre per passare un po’ di tempo con lei, quel giorno però ad aspettarlo c’era una Fiat 126 con circa 100 kg di tritolo a bordo. Una volta esplosa lo scenario è terribile. A perdere la vita non è solo il giudice, ma anche gli uomini della sua scorta. Emanuela Loi, la prima poliziotta a prendere parte ad una scorta e la prima a morire in servizio, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traia, eroi silenziosi, che, come Borsellino, hanno uno spiccato senso del dovere per difendere il loro Paese dall’illegalità. L’ unico agente della scorta a essere sopravvissuto é Antonino Vullo, il primo testimone a raccontare questo terribile attacco. Il mio pensiero va a questi eroi. Paolo Borsellino e gli uomini della sua scorta che verranno per sempre ricordati da noi tutti come degli eroi al al servizio della giustizia, dello Stato, della legalità,che non si sono mai piegati al cancro della mafia, ma hanno avuto il coraggio di combatterla. Una lunga guerra che, nonostante le innumerevoli vittime innocenti, non è ancora terminata, una lunga guerra che ancora oggi ogni onesto cittadino, che si si vuole chiamare tale, ha il dovere di combattere. Spesso noi studenti ci domandiamo come sia possibile combattere una guerra contro la mafia se non sono riusciti a vincerla uomini come Falcone, Borsellino, Levatino, Don Pino Puglisi e tutte le vittime innocenti. La risposta sembrerà banale, ma è nelle nostre mani, nel nostro modo di vivere, nel nostro modo di rispettare la legge, nell’ onorare il nostro Paese, lavorando onestamente, nel non dimenticare mai nessuna vittima innocente di mafia.

Ricordando la lunga scia di sangue che la criminalità organizzata ha lasciato ci fa rendere conto dell’orrore, del dolore, della malvagità di cui è capace. Non dimentichiamo allora tutti gli eroi che, nonostante la paura, perché la mafia fa paura, hanno avuto il coraggio di fare la loro parte, la loro scelta, di dire no alla criminalità organizzata; a noi, eredi di questi eroi non resta che ricordarne il valore, fare la nostra scelta e continuare a lottare per un mondo più giusto, affinché il loro sacrificio non sia stato vano.” Paolo Borsellino fu tra i primi magistrati a intuire l’importanza dell’Educazione alla legalità nelle scuole; era persuaso che il potere dei clan potesse essere inficiato attraverso il rifiuto della cultura mafiosa, che deriva dalla consapevolezza civica. Effettivamente tanti attivisti della legalità promuovono nelle nostre aule ideali di vita diversi e improntati al rispetto di sé stessi, degli altri e delle istituzioni. Le immagini cruente dell’esplosione dell’ordigno al tritolo che squarciò il quartiere e dilaniò i corpi di chi era lì per lo Stato hanno un impatto violentissimo anche ora. Eppure furono forse quei fotogrammi e quelle riprese a cambiare la percezione della realtà e scuotere le coscienze. Fu allora che si creò quasi perentoriamente e ineluttabilmente una nuova sostanza “civica”. Il Coordinamento Nazionale dei docenti dei diritti umani diffonde le tematiche umanitarie e civiche nelle aule di tutta Italia, raccontando la storia di un magistrato che, con colleghi coraggiosi, un “gruppo di amici”, come gli piaceva definirli, ha insegnato che lo Stato appartiene a tutti i cittadini e che la mafia non è un fenomeno territoriale, ma per combatterla occorre l’unione di tutte le forze oneste della società.

L’Educazione alla legalità non può essere separata dall’insegnamento del Diritto o dell’Educazione civica in tutte le scuole; il potenziamento della cultura della legalità dovrebbe essere attribuita ai docenti delle discipline giuridiche ed economiche (classe di concorso A046 – discipline giuridiche ed economiche) in quanto gli unici idonei ad assicurare un approccio approfondito alla tematica, anche attraverso l’interpretazione dei codici e delle leggi. Eppure, in controtendenza all’incremento dei tassi di criminalità, continua a manifestarsi una sorta di indifferenza nei riguardi di strategie didattiche che potrebbero davvero risultare incisive nella formazione dei giovani e quindi della trasformazione in positivo della società.

A tal proposito il CNDDU rinnova la proposta di introdurre l’insegnamento del diritto e/o dell’educazione civica in tutte le scuole secondarie del primo e secondo ciclo affidandone esclusivamente l’insegnamento ai docenti delle discipline giuridiche ed economiche, accompagnata da una più appropriata regolamentazione della classe di concorso e la valorizzazione delle migliaia di docenti italiani che si sono formati, o si stanno formando, per accedere al ruolo della classe di concorso A046. Pertanto chiediamo al ministro del MIM, prof. Giuseppe Valditara, che venga riformulato l’insegnamento dell’Educazione civica in quanto i risultati conseguiti risultano essere non in linea con gli obiettivi prefissati. Il Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani rileva come il progetto “#inostristudentiraccontanoimartiridellalegalità” stia diffondendo tra le giovani generazioni volti, storie, episodi veramente straordinari per la loro valenza educativa.

Romano Pesavento presidente CNDDU

 

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