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Con la Sentenza n. 32/2024, depositata il 22/1/2024, la Corte di Giustizia Tributaria di primo grado Sez. II di Pesaro ha statuito che il notaio in sede di autoliquidazione dell’imposta principale non può essere destinatario di controversie che disconoscono agevolazioni tributarie poiché il maggior carico fiscale preteso dall’Agenzia delle Entrate ha natura di imposta complementare che, come tale, sfugge dalla solidarietà passiva fra cliente e notaio.

La sentenza scaturisce dall’impugnazione, da parte di un notaio, di un avviso di liquidazione con il quale l’AgE recuperava a titolo di imposta principale, la maggior imposta del 3% sull’importo del debito accollato, oltre all’imposta di bollo di euro 45, in relazione a un accollo di mutuo agevolato ex D.P.R. 601/1973 per il quale era intervenuta la banca creditrice a prestare la liberatoria del debitore principale.

All’atto di modificazione di mutuo fondiario con suddivisione in quote, frazionamento dell’ipoteca e accollo, era intervenuta la banca creditrice che aveva aderito all’accollo, ai sensi e per gli effetti dell’art.1273 comma 2 c.c., dichiarando espressamente di liberare il debitore originario con conseguente subentro nella posizione debitoria in capo alla parte accollante.

Poiché il mutuo citato aveva usufruito dell’agevolazione di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 601 e successive modificazioni, le parti del medesimo atto, che contiene anche la convenzione di accollo citata, avevano richiesto l’applicazione di tutti i benefici di cui al detto D.P.R. n. 601/1973, cosicché, in sede di registrazione dell’atto in oggetto, non sono state versate né l’imposta di registro, né l’imposta di bollo in relazione all’accollo medesimo.

L’AgE nell’avviso di liquidazione inviato al notaio motivava il recupero del 3% sull’importo del debito accollato oltre all’imposta di bollo di euro 45 in relazione al fatto che l’accollo è un contratto bilaterale tra debitore e terzo, per il cui perfezionamento non rileva l’eventuale adesione del creditore, ovvero nel caso di specie della Banca, non si applicano a tale negozio le agevolazioni previste dal D.P.R. 601/1973 richieste.

Il notaio ricorrente ha eccepito in primis che ai sensi del D.P.R. 131 del 1986, art. 57, comma 2, “La responsabilità dei pubblici ufficiali non si estende al pagamento delle imposte complementari e suppletive”.

Per effetto di tale disposizione il notaio è solidalmente obbligato al pagamento della sola imposta principale, laddove il medesimo D.P.R., art. 42, prevede che “1. E’ principale l’imposta applicata al momento della registrazione e quella richiesta dall’ufficio se diretta a correggere errori od omissioni effettuati in sede di autoliquidazione nei casi di presentazione della richiesta di registrazione per via telematica; è suppletiva l’imposta applicata successivamente se diretta a correggere errori od omissioni dell’ufficio; è complementare l’imposta applicata in ogni altro caso”.

Dal combinato disposto di tali disposizioni si evince che il notaio può essere chiamato al pagamento della sola imposta principale nella cui definizione rientra un duplice prelievo: sia quello direttamente versato al momento della registrazione (quale imposta principale contestuale o ‘autoliquidata’), sia quello integrativamente richiesto dall’ufficio allo scopo di correggere errori od omissioni incorsi nella autoliquidazione medesima (c.d. imposta principale ‘postuma’).

Al di là di questi limiti, l’imposta deve ritenersi complementare (oppure, in caso di errori dell’ufficio, suppletiva) e, dunque, estranea al concetto di solidarietà sopra indicato.

Il D. Lgs. n. 463 del 1997, art. 3-ter (Procedure di controllo sulle autoliquidazioni) stabilisce che “1. Gli uffici controllano la regolarità dell’autoliquidazione e del versamento delle imposte e qualora, sulla base degli elementi desumibili dall’atto, risulti dovuta una maggiore imposta, notificano, anche per via telematica, entro il termine di sessanta giorni dalla presentazione del modello unico informatico, apposito avviso di liquidazione per l’integrazione dell’imposta versata.

Il pagamento è effettuato, da parte dei soggetti di cui al testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, approvato con D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 10, lett. b), entro quindici giorni dalla data della suindicata notifica; trascorso tale termine, sono dovuti gli interessi moratori computati dalla scadenza dell’ultimo giorno utile per la richiesta della registrazione e si applica la sanzione di cui al D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 47, art. 13.

Nel caso di dolo o colpa grave nell’autoliquidazione delle imposte, gli uffici segnalano le irregolarità agli organi di controllo competenti per l’adozione dei conseguenti provvedimenti disciplinari.

Per i notai è ammessa la compensazione di tutte le somme versate in eccesso in sede di autoliquidazione con le imposte dovute per atti di data posteriore, con conseguente esclusione della possibilità di richiedere il rimborso all’Amministrazione finanziaria”.

La procedura di controllo automatizzato dell’autoliquidazione prevista da tale norma riguarda unicamente l’imposta autoliquidata la cui difformità dal dovuto risulti immediatamente percepibile assumendo rilievo l’espressione “sulla base degli elementi desumibili dall’atto”.

Al contrario, quando la pretesa impositiva non trovi riscontro cartolare ed evidente, ma richieda l’accesso ad elementi extra testuali o anche l’esperimento di particolari accertamenti fattuali o valutazioni giuridico-interpretative, l’amministrazione finanziaria non potrà procedere alla notificazione al notaio, nei 60 giorni, dell’avviso di liquidazione integrativo, dovendo invece emettere, secondo le regole generali, avviso di accertamento – per un’imposta che, a quel punto, sarà complementare – nei confronti delle parti contraenti.

La medesima AgE nella Circ. n. 6/E del 5 febbraio 2003 (.PDF), richiamata dalla Circ. n. 18/E del 29 maggio 2013 (.PDF), invita gli uffici – pur nella necessaria considerazione contenutistica e sostanziale dell’atto – a riscontrare soltanto gli errori e le omissioni che siano oggettivi, univoci ed immediatamente desumibili dall’atto stesso; dunque, “senza sconfinare, in questa fase riservata al controllo dell’imposta principale, in delicate valutazioni o apprezzamenti sulla reale portata degli atti registrati o, comunque, pervenire a conclusioni sorrette da interpretazioni non univoche o che necessitino di qualsiasi attività istruttoria“.

Anche la Cass. civ., Sez. V, 21 gennaio 2021, n. 1222 (.PDF) ha affermato il principio per cui “In tema di imposta ipotecaria e di registro, in base al combinato disposto del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 42 e 57 e D.Lgs. n. 463 del 1997, art. 3-ter, anche in caso di registrazione con procedura telematica, il notaio risponde in via solidale con i contraenti, e salvo rivalsa, unicamente per l’imposta principale, tale dovendosi considerare quella risultante dal controllo dell’autoliquidazione ovvero da elementi desumibili dall’atto con immediatezza e senza necessità di accertamenti fattuali o extra testuali, né di valutazioni giuridico-interpretative.

Quando l’AgE disconosca le agevolazioni fiscali indicate nell’atto sottoposto a registrazione, la Suprema Corte con la Sentenza n. 2403 del 31 gennaio 2017 (.PDF), nonché con la Sentenza n. 2400/2017 (.PDF), ha evidenziato che il riconoscimento o meno di una determinata agevolazione fiscale implica ex se “un giudizio inerente all’insussistenza dei presupposti per l’applicabilità delle agevolazioni non risultante puramente e semplicemente dall’esame dell’atto, ma conseguito all’esito di una valutazione di natura squisitamente giuridica che comporta una sorta di mediazione culturale che costituisce un filtro rispetto alla mera rilevabilità, sulla base degli elementi desumibili dall’atto – da intendersi come errori o omissioni di immediata percettibilità, ovvero elementi di natura oggettiva di indiscutibile portata – della debenza di una maggiore imposta”.

Con tale pronuncia, quindi, la Corte di Cassazione ha chiarito che ogni qualvolta occorra procedere ad una “valutazione giuridica” dell’atto sottoposto a registrazione l’ufficio dovrà far valere l’eventuale pretesa impositiva, di natura complementare, ai sensi dell’art. 76, comma 2, del TUR e, cioè, “con apposito atto di imposizione tributaria entro il termine di decadenza di tre anni, da ritenere decorrente – in applicazione del principio generale desumibile dall’art. 2964 c.c. – dalla data della registrazione”.

In conclusione, “la natura complementare dell’imposta richiesta” non consente “di emettere l’avviso nei confronti del notaio rogante, in quanto, pur essendo indicato tra i soggetti obbligati in solido al pagamento dell’imposta principale, la sua responsabilità non si estende, tuttavia, così come stabilito dall’art. 57, comma 2, del TUR al pagamento dell’imposta complementare e suppletiva di registro”. In senso conforme, Cfr. anche Cass., n. 12257/2017 (.PDF); id., n. 15450/2019 (.PDF).

*******

Nel merito del mancato riconoscimento dell’agevolazione nel caso de quo, secondo l’AgE, la motivazione sarebbe che il contratto di accollo, che comunque modifica l’operazione relativa al finanziamento a medio e lungo termine, è un contratto bilaterale tra debitore e terzo e non si perfeziona con l’adesione del creditore.

Nella fattispecie devono invece essere riconosciute le agevolazioni previste dal DPR 601/73 proprio perché lo stesso Ufficio non contesta la circostanza che con l’accollo in oggetto, si sia prodotta una modificazione, dal punto di vista del soggetto passivo dell’obbligazione, del contratto di mutuo a medio e lungo termine, né che tale modificazione sia ammessa al trattamento agevolato de quo, rientrando nel perimetro normativo in parola.

E ciò in quanto, dal tenore letterale dell’art. 15 della norma retro citata, si evince che il legislatore ha scelto di assumere a riferimento l’operazione di finanziamento complessivamente intesa, unitamente a tutti i provvedimenti, atti e contratti e formalità inerenti all’operazione medesima, sia sotto il profilo statico che dinamico, prendendo in considerazione cioè anche le vicende dell’esecuzione, della modificazione e dell’estinzione (cfr. in questo senso Consiglio Nazionale del Notariato, Studio n. 88/2005/T (.PDF), Operazioni complesse e imposta sostitutiva, est. Mastroiacovo; id., risposta a quesito n. 136-2010/T est. Susanna Cannizzaro – Nunzio Attilio Toscano; id.,risposta a quesito n. 175-2011/T est. Valeria Mastroiacovo).

Su questa linea di pensiero si colloca la giurisprudenza di legittimità, la quale ha affermato che «(…) dall’interpretazione letterale e logica dell’art. 15 del DPR n. 601/1973 si ricava che la norma, nella sua ampia latitudine (desumibile dal riferimento a “tutti i provvedimenti, atti, contratti e formalità inerenti alle operazioni“), include nell’agevolazione tutto quanto concerne non solo il finanziamento, ma anche la “modificazione ed estinzione” delle operazioni agevolate» (Cass. 2734/2009 (.PDF), in Riv. dir. trib., 2010, 3 ss., con nota di R. Suraci, Imposta sostitutiva sui finanziamenti a medio e lungo termine e cessioni di crediti in favore di soggetti bancari).

L’art. 15 è, allora, una norma di amplissima applicazione, e in ragione di ciò la Commissione studi tributari del Consiglio Nazionale del Notariato aveva già ritenuto che il legislatore avesse inteso, con la disposizione contenuta nel comma primo dell’art. 15 in questione, dichiarare come attratte al regime tributario agevolato tutte le modificazioni, tanto soggettive quanto oggettive, del rapporto di finanziamento e delle garanzie che lo assistono (in questo senso si veda Studio n. 104/2001/T, Espromissione e Art. 15, del d.p.r. n. 601/73, est. Colucci).

Laddove sia ravvisabile, pertanto, una modificazione, soggettiva od oggettiva, del precedente finanziamento, vale a dire, un’ipotesi espressamente contemplata dalla disposizione agevolativa (art. 15 in analisi), il trattamento agevolato, stando alla norma in esame, deve riconoscersi, alla sola condizione che esso spettasse per il precedente finanziamento, di cui il negozio attuale è solo una modificazione (cfr. Cass. civ., sez. trib., 29 marzo 2002, n. 4611).

Tale modificazione soggettiva può riguardare: sia il lato attivo (variazione della persona del creditore) del rapporto obbligatorio, in forza del quale il soggetto debitore è tenuto a restituire al soggetto creditore la somma finanziata, sia il lato passivo (variazione della persona del debitore) dello stesso rapporto.

Pertanto – se nel caso di negozio intercorso solo tra privati e quindi in assenza dell’intervento della Banca – è dovuta solo l’imposta sostitutiva in discorso, a maggiore ragione dette agevolazioni devono essere riconosciute nella fattispecie, in cui – contrariamente a quanto vorrebbe alludere la motivazione dell’atto impugnato – l’adesione del creditore risulta in maniera espressa e implicita.

Infatti, la Banca creditrice, oltre ad essere intervenuta nell’atto citato, ha aderito alla convenzione ai sensi e per gli effetti dell’art. 1273 comma 2 c.c., dichiarando espressamente di liberare il debitore originario, con conseguente successione nella posizione debitoria in capo alla parte accollante.

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L’importanza della pronuncia in oggetto riguarda la presa di posizione contro la possibilità da parte dell’AgE di qualificare come imposta principale ciò che in realtà tale non è, con conseguente impossibilità della relativa richiesta al notaio rogante.


Qui di seguito il link con I testi del ricorso e della sentenza esaminati:


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