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Roma, 18 luglio – “I dati Istat sul livello di istruzione e i ritorni occupazionali evidenziano una realtà preoccupante e inaccettabile per i giovani e le donne del nostro Paese. È urgente un cambio di rotta e un’agenda politica che metta al centro il loro futuro. Senza un impegno concreto, la crescita e lo sviluppo dell’Italia saranno gravemente compromessi”. È quanto si legge in una nota della Cgil nazionale.

“Questi dati – sostiene la segretaria confederale della Cgil Lara Ghiglione – dimostrano chiaramente che l’istruzione offre un ‘premio’ occupazionale, ma l’accesso a tale istruzione non è equamente distribuito”. I 25-64enni il tasso di occupazione dei laureati (84,3%) è di 11 punti percentuali superiore rispetto ai diplomati (73,3%). Tuttavia, questo divario si allarga drammaticamente tra gli under 35, dove raggiunge i 15,7 punti percentuali (75,4% contro 59,7%).

“Inoltre – aggiunge Ghiglione – il gap di genere è inaccettabile: le donne in Italia sono più istruite degli uomini (il 68% delle donne tra i 25 e i 64 anni ha almeno un diploma, rispetto al 62,9% degli uomini, e il 24,9% ha un titolo terziario rispetto al 18,3% degli uomini), ma il tasso di occupazione femminile rimane drasticamente inferiore a quello maschile (59% contro 79,3%). Il Governo deve intervenire con politiche mirate per favorire l’occupazione femminile e ridurre le disuguaglianze. Vanno implementati programmi di sostegno educativo per i giovani provenienti da famiglie svantaggiate, altrimenti perpetueremo un ciclo di povertà e esclusione sociale”.

Un altro dato “allarmante” per la Cgil riguarda l’abbandono scolastico: il 23,9% dei giovani con genitori con un basso livello di istruzione abbandona precocemente gli studi, contro solo l’1,6% dei giovani con genitori laureati. Nel 2023, il tasso di abbandono scolastico tra i 18-24enni è del 10,5%, ancora tra i più alti d’Europa.

Anche i dati sul part-time “evidenziano profonde diseguaglianze territoriali e di genere”. La diffusione territoriale omogenea del part-time tra nord e sud, cambia in modo significativo rispetto al part-time involontario (41.6% al Nord e 73.4% nel Mezzogiorno) con conseguenze in termini salariali e previdenziali. Grande differenza anche tra uomini e donne: il 17,0% degli occupati tra i 25 ed i 64 anni lavora part-time; la quota si ferma al 6,6% tra gli uomini e sale al 30,7% tra le donne, per le quali non vale lo scudo protettivo dell’istruzione evidenziato in tutto il rapporto e il part-time non rappresenta una scelta obbligata anche quando considerato ‘volontario’. “Una forma contrattuale – sottolinea la segretaria confederale della Cgil Maria Grazia Gabrielli – che genera precarietà occupazionale e salariale, che spesso copre lavoro irregolare, caratterizzato da flessibilità unilateralmente esercitabile ed erroneamente considerato uno strumento di conciliazione tra carichi di cura e di lavoro, cristallizzando così le discriminazioni per le lavoratrici nel mercato del lavoro in assenza di innovazione culturale e politica sulla condivisione della genitorialità e delle responsabilità di cura”.

Nella nota si evidenzia poi che il rapporto registra il calo nel 2023 della quota di NEET (15-29enni non impegnati nello studio, nel lavoro o nella formazione) rispetto all’anno precedente, ma il 16.1% registrato ci colloca molto al di sopra della media europea (11,2%) e penultimi tra gli stati membri, con preoccupanti diseguaglianze di genere, territoriali e per cittadinanza. Significativo che il calo dei Neet sia più marcato proprio per i bassi titoli di studio, che registrano un rilevante aumento degli occupati; collegato all’elevato tasso di occupazione registrato tra gli ELET (18-24enni che hanno abbandonato gli studi precocemente), in particolare con cittadinanza straniera (57.1%), ci descrive la bassa qualità e l’alto tasso di precarietà della domanda del mercato del lavoro italiano.

Per Gabrielli “gli individui con bassa istruzione, le persone disoccupate e inattive dovrebbero rappresentare un target prioritario, principali destinatari di azioni di orientamento, riqualificazione e aggiornamento delle competenze, con l’obiettivo di sanare le inaccettabili diseguaglianze territoriali, di genere, generazionali e di cittadinanza così estremizzate nel mercato del lavoro italiano, soprattutto a svantaggio delle persone che vivono più profili di discriminazione contemporaneamente”. “I recenti dati ISTAT (maggio 2024: occupati e disoccupati) che confermano 12.330.000 persone inattive, richiedono vincoli stringenti su incentivi e misure dedicate, volte alla creazione di piena e buona occupazione. Ma – conclude – le più recenti decisioni del Governo in materia, bonus e incentivi assunzionali del Dl Coesione, come recentemente convertito in legge, hanno irragionevolmente un segno opposto”.

 

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