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Mentre la crisi climatica avanza banche e istituzioni finanziarie come Cassa Depositi e Prestiti (CDP) continuano a investire nelle energie fossili. Uno studio commissionato da ActionAid al Climate Perspective Research ha analizzato il portafoglio energetico di CDP e lo ha giudicato «ampiamente insoddisfacente». Il tutto nel 2023, che è stato l’anno dei record per quanto riguarda il clima. Quando per la prima volta il riscaldamento globale ha superato 1,5°C in un solo anno ed è iniziata la sequenza di mesi, in cui ancora ci troviamo, più caldi mai registrati.

Nonostante questo, denuncia ActionAid, continuiamo «a destinare più risorse alle cause della crisi climatica che alle soluzioni». Il riferimento è al settore delle energie fossili, nel quale non investono solo banche private ma anche istituzioni finanziarie pubbliche come la nostra CDP. Al centro dell’analisi c’è infatti la distanza tra il supporto nazionale alle rinnovabili e gli investimenti internazionali. Nel nostro Paese le risorse per le energie pulite sono il 72%, ma guardando al piano globale i finanziamenti al settore fossile sono il 77%.

Italia al quinto posto tra gli investitori nel fossile

Nel biennio 2020-2022 le istituzioni finanziarie pubbliche dei Paesi del G20 hanno investito 142 miliardi di dollari nel settore fossile. E il nostro Paese, al quinto posto tra quelli che forniscono più finanziamenti pubblici internazionali all’oil&gas rispetto alle energie pulite, non ha fatto eccezione. Dopo Canada, Corea del Sud, Giappone e Cina, ci siamo noi. Ci seguono Stati Uniti, Germania, Russia, Argentina e Arabia Saudita. Impietosa anche la disparità tra gli impegni assunti alla Cop28 per il fondo perdite e danni rispetto a quanto la nostra finanza pubblica destina alle energie fossili.

Qui infatti abbiamo la terza peggiore performance, dopo Canada e Giappone. I dati a disposizione sugli investimenti pubblici dell’Italia nel settore energetico vedono il nostro Paese sostenere il settore fossile con 2,569 milioni di dollari, mentre alle energie rinnovabili sono destinati 175 milioni di dollari. Molti di questi investimenti fossili sono sostenuti da Cassa Depositi e Prestiti che, ricordiamo, è un istituto partecipato per l’80% dal ministero dell’Economia e Finanze.

Mancano trasparenza e politiche di esclusione delle energie fossili

Lo studio considera l’allineamento di CDP all’Accordo di Parigi in base a 5 criteri: trasparenza; esclusione o restrizione di investimenti fossili; impatto sul clima e sugli obiettivi internazionali; finanza per il clima; impegno e proattività. Per quanto riguarda la trasparenza, CDP ha totalizzato 0,75 su 3 punti. La ragione principale è la mancata adesione ai meccanismi internazionali di rendicontazione delle emissioni Scope 3. Ma c’è di più. Cassa Depositi e Prestiti non rende noti i dati sugli investimenti fossili. Per elaborare l’analisi è stato necessario ricorrere alle informazioni diffuse dal database di Public Finance for Energy.

Emissioni dirette, upstream e downstream © GHG Protocol

Per il secondo criterio facciamo addirittura peggio, totalizzando 0 punti su 3. Si tratta, spiega ActionAid, della questione più importante: le politiche di esclusione o restrizione delle energie fossili. Nel nostro Paese mancano politiche che vietino espressamente di destinare risorse a carbone, petrolio e gas. Lungi dal dismettere investimenti fossili, CDP finanzia progetti petroliferi in Italia e all’estero. E detiene il 27,7% della major nazionale Eni. La nostra pessima performance si deve, infine, al fatto che il gas è ritenuto elemento strategico per la sicurezza energetica. Il nostro governo ha assegnato infatti a CDP un ruolo di primo piano nel progetto di far diventare il nostro Paese un hub del gas.

Pessima la performance degli impatti sul clima dei nostri investimenti internazionali

Il terzo criterio di valutazione riguarda l’impatto degli investimenti pubblici sul clima e sugli obiettivi internazionali di riduzione delle emissioni. Anche qui totalizziamo 0 punti su 3. Sotto i riflettori la mancanza di trasparenza nel conteggio delle emissioni. Totalizziamo così pochi punti, spiega ActionAid, perché questa è la dimensione in cui guardiamo al portafoglio internazionale di Cassa Depositi e Prestiti, schiacciato nettamente sulle fossili.

Dei tre miliardi di euro di investimenti energetici tra il 2016 e il 2022, solo un terzo è andato a sostenere energie pulite. Di questo terzo, il 70% dei progetti era in Italia. L’80% degli investimenti fossili, al contrario, è concentrato all’estero. Un terzo del totale, 259 milioni di euro, finisce in Mozambico. Qui, sottolinea l’associazione, dal 2017 c’è un’insurrezione armata stimolata proprio dalla disponibilità di risorse naturali. Il Paese, al terzo posto al mondo per riserve di gas, è destinatario insieme all’Egitto del 60% del portafoglio energetico di Cassa Depositi e Prestiti in energie fossili.

Scarso il contributo alla transizione e per la partecipazione

Il quarto criterio di valutazione guarda al contributo positivo alla transizione climatica globale. Qui CDP totalizza un insufficiente 0,4 su 3. I decimi conquistati derivano dagli investimenti di 43 milioni di euro in energie pulite, che hanno portato le risorse del periodo 2016-2022 a 302 milioni di euro. Un dato da sottolineare è che mentre il totale degli investimenti in Italia va alle energie pulite, tra il 2020 e il 2021 abbiamo raddoppiato quelli internazionali nel gas.

L’ultima dimensione considerata è quella della proattività, dove Cassa Depositi e Prestiti arriva a uno striminzito 0,33 su 3. Non è chiaro infatti come sia promossa la partecipazione e quanto CDP sia proattiva. Non si capisce, infine, quanto e come vengano considerati i feedback ottenuti dagli stakeholder nei diversi luoghi di discussione nazionali.

Il portafoglio energetico di Cassa Depositi e Prestiti non è allineato all’Accordo di Parigi

Il report mostra la sostanziale insufficienza delle performance di CDP. Il portafoglio energetico di Cassa Depositi e Prestiti, specie all’estero, è troppo schiacciato sulle energie fossili e non allineato all’Accordo di Parigi. Il 56% degli investimenti complessivi, sia domestici sia internazionali, supporta ancora energie inquinanti. E, soprattutto, non ci sono impegni credibili a fare diversamente. Non si capisce come, insomma, il nostro Paese potrà rispettare impegni come la “Dichiarazione sul sostegno pubblico internazionale alla transizione energetica pulita” della Cop26.

Una serie di linee guida nazionali, secondo ActionAid, «lascia la porta aperta a nuovi investimenti a gas fossile, inquadrato come combustibile di transizione pulito». Il gas è il grande tema della nostra strategia energetica. A due anni dall’invasione dall’Ucraina il consumo europeo è calato rispetto all’ultimo decennio.

Continuiamo tuttavia a investire nel settore, con pionieristiche ambizioni di rendere il Paese hub internazionale di questa fonte energetica. Lo facciamo contribuendo alla destabilizzazione politica di intere regioni, come nel caso del Mozambico. O dell’intera Africa, cui destiniamo 4,4 miliardi di euro del Fondo italiano per il clima per investire nell’estrazione di gas.

 

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