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La Commissione Europea ha approvato il “prestito ponte” da 320 milioni di euro che il governo italiano vuole fare ad Acciaierie d’Italia, la società che gestisce lo stabilimento di produzione di acciaio di Taranto che si chiamò a lungo ILVA e che è il più grande in Europa. L’ex ILVA è in crisi da anni e nell’ultimo periodo ha quasi del tutto interrotto la produzione, ma il governo vuole evitarne la chiusura perché avrebbe costi sociali ed economici altissimi: la società impiega da sola circa 10.500 dipendenti, ma dal suo funzionamento dipendono anche molte altre aziende a cui affida lavori non direttamente collegati alla produzione dell’acciaio.

Per tentare di rimettere i conti in ordine e far ripartire la produzione, lo scorso febbraio il governo ha messo Acciaierie d’Italia in amministrazione straordinaria, ossia la procedura del diritto fallimentare che permette alle società in crisi di restare operative concordando con un tribunale un piano di risanamento dei debiti. L’obiettivo del governo è trovare un nuovo compratore per lo stabilimento, dopo la gestione insoddisfacente della multinazionale franco-indiana ArcelorMittal, che da tempo non vuole più investire negli impianti: Acciaierie d’Italia al momento è controllata per il 68 per cento da ArcelorMittal e per il 32 dallo Stato italiano tramite Invitalia (società che investe per conto dello Stato). Per trovare un nuovo compratore però serve che l’azienda sia in funzione e che i problemi economici vengano risolti.

In questo contesto si inseriscono i 320 milioni di euro che il governo vuole prestare ad Acciaierie d’Italia: la Commissione Europea doveva approvare l’operazione per verificare sostanzialmente che questo prestito non fosse un semplice aiuto di stato a fondo perduto, e quindi che potesse violare le regole sulla concorrenza dell’Unione Europea (il principio è che un’azienda che beneficia di aiuti indiscriminati dal proprio governo faccia concorrenza sleale alle altre che hanno sede nell’Unione). Per questo si parla di “prestito ponte”: un prestito cioè che abbia una scadenza vicina per la restituzione, che serve ad agire in una situazione di emergenza per poi poter attuare un piano più strutturato. Acciaierie d’Italia in questo momento è in una grave crisi di liquidità, e le mancano soldi per fare qualsiasi operazione.

Il prestito prevede un tasso di interesse annuo dell’11,6 per cento. Secondo il ministero delle Imprese e del Made in Italy, che è competente sul caso di Acciaierie d’Italia, il fatto che la Commissione lo abbia approvato testimonierebbe la validità del piano sulla gestione commissariale dell’azienda, perché significherebbe che la Commissione ritiene credibile che Acciaierie d’Italia sarà in grado di restituire il prestito in tempi accettabili. Negli ultimi tempi c’era stato anche un certo scetticismo sulla possibilità che la Commissione approvasse il prestito, visto che dalla richiesta sono passati diversi mesi; il ministro delle Imprese Adolfo Urso aveva invece sempre sostenuto che il ritardo fosse dovuto al ricambio nelle istituzioni europee avvenuto con le recenti elezioni.

Per rendere effettivo il prestito servirà un decreto del ministero dell’Economia, che secondo le fonti di diversi giornali – tra cui il Sole 24 Ore, solitamente molto informato su questi temi – dovrebbe essere approvato in tempi brevi.

Il prestito si aggiungerà a 300 milioni di euro che Acciaierie d’Italia aveva ricevuto per la gestione in amministrazione straordinaria. La società sta poi cercando di ottenere prestiti anche da privati. Questi soldi (620 milioni, più quelli che riuscirà a ottenere dai privati) serviranno a far ripartire la produzione riattivando gradualmente almeno un altro dei quattro altiforni che ha a disposizione, i grandi impianti a funzionamento continuo che vengono usati nelle acciaierie per produrre ghisa a partire da minerali di ferro e carbone (attualmente solo uno è attivo).

I sindacati hanno accolto favorevolmente la notizia dell’approvazione del prestito, ma sono comunque preoccupati per i lavoratori e chiedono con insistenza un incontro con il governo e l’azienda per capire quali siano i piani a lungo termine. Tra le preoccupazioni più grandi c’è il fatto che per i commissari straordinari sarebbe necessario mettere in cassa integrazione più di 5mila lavoratori di Acciaierie d’Italia in attesa che la produzione riparta a livelli maggiori.

 

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