Dovrebbe essere interesse generale evitare ulteriori contrapposizioni sulla autonomia differenziata, tentando un percorso condiviso che eviti al Paese ulteriore confusione burocratica e consenta un passo in avanti nella condizione sociale e nell’assetto istituzionale. Il rischio è di sbandare tra la disgregazione dell’unità nazionale e uno status quo insostenibile. Prima di arrivare a votare sul quesito del probabile referendum abrogativo si dovrebbe sospendere per un biennio la efficacia della legge approvata e procedere da subito con una attuazione sperimentale limitatamente al tema lavoro. Il punto di partenza dovrebbe infatti riguardare la proposta di definizione dei LEP con riguardo al lavoro, materia di competenza costituzionale concorrente tra stato e regioni ex art. 117 Cost..
La relazione Cassese in materia di Lep depositata nei mesi scorsi in parlamento fotografa in buona sostanza al riguardo la normativa esistente, prende atto delle politiche attive del lavoro e delle normative in tema di contrasto alla povertà. La scontata prossima individuazione dei Lep lavoro su tali insufficienti basi richiede una riflessione critica a sostegno della nostra proposta di mediazione.
Perché tra tante materie coinvolte nella autonomia differenziata concentrarci sul lavoro? Sia per ragioni contingenti, sia per ragioni di fondo. Il caso vuole che una parte di tali normative sul lavoro, in particolare decentramento, contratti a termine e appalti, sia oggetto di referendum abrogativi promossi dalla CGIL, da tenersi probabilmente in contemporanea nella primavera 2025 col possibile referendum contro l’autonomia differenziata. In realtà, l’intreccio non è solo casuale e contingente, perché il lavoro, non dimentichiamolo, fonda la nostra Repubblica delle autonomie. Ma quale lavoro? Solo il lavoro comprato e venduto nel mercato appunto del lavoro, oppure anche il lavoro fuori mercato come predica l’art. 4 Cost., le doverose attività socialmente necessarie nei territori, i progetti e lavori utili alla collettività, il volontariato, il lavoro-consumo erogato da ciascuno di noi quasi gratuitamente ai big-data con la trasmissione dei nostri dati e profili? La risposta rinvia appunto alla natura dei Lep, livelli essenziali delle prestazioni non solo riferiti ai diritti, ma anche ai doveri, a quali prestazioni e attività ciascuno di noi deve erogare per la collettività, cosicché nel contrasto alla povertà e all’aumento delle diseguaglianze, prima di stabilire quali assegni e sussidi erogare dobbiamo definire quali attività e servizi socialmente necessari nei territori possano essere democraticamente decisi ed erogati dai beneficiari e dal volontariato che li supporta.
Si propone di considerare LEP in materia di lavoro il servizio civile democratico collegato al reddito base di partecipazione sulla base di una bozza di proposta di legge popolare che è in elaborazione nel mondo della disabilità intellettiva dal 2018 e che è condensata in una proposta di delibera popolare di sperimentazione pendente dal 2021 in consiglio comunale a Chioggia. Il servizio civile democratico è la organizzazione del lavoro fuori mercato, volontariato compreso, sostenuta dal reddito base di partecipazione (1 % del PIL), complementare al mercato del lavoro. Sulla base della recente legge n. 86 del 2024 la definizione dei LEP in materia di lavoro consente alle regioni di chiedere una maggiore autonomia, tuttavia carente sotto il profilo finanziario, mentre la nostra proposta di mediazione prevede una autonomia sostenuta da un finanziamento aggiuntivo direttamente collegato ad una limitata quota di imposte raccolte nel territorio, in parziale analogia con il finanziamento della autonomia regionale e provinciale del Trentino Alto Adige.
Qualcuno avanti nell’età forse ancora ricorderà che tra la fine degli anni settanta e i primi anni ottanta avevo prima ideato e proposto un referendum per estendere le garanzie contro i licenziamenti nelle piccole imprese dell’allora nascente decentramento produttivo e poi, sostenuto dalla Cisl veneta, una mediazione all’epoca dello scontro politico e sindacale sulla predeterminazione della scala mobile che prevedeva un doppio sistema di garanzie nelle piccole imprese del decentramento anche a tutela dei piccoli imprenditori, il futuro popolo delle partite IVA, verso i grandi committenti. Allora il mondo sindacale e politico era concentrato sulla centralità delle grandi aziende in crisi, poco sul decentramento. Ora si rischia di riprendere e privilegiare in storico ritardo battaglie su salario minimo e stabilità del posto, in parte certo necessarie ma ormai non centrali, trascurando il declino storico del lavoro subordinato/remunerato ed il crescente multiforme lavoro fuori mercato. Per un approfondimento rinvio a due miei recenti lavori editi da Youcanprint: Testimonianze a sud della laguna, 2022; Servizio civile democratico e reddito base di partecipazione, 2024.
Giuseppe Avvocato Boscolo
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