In Spagna i cittadini manifestano contro “l’invasione” dei visitatori. Alloggi destinati agli affitti brevi, prezzi che salgono, ingorghi stradali, inquinamento: sono alcuni dei problemi dell’overtourism. Ne soffre anche l’Italia, dove il settore pesa per il 13 per cento del Pil. Ma insistere su questa industria è penalizzante economicamente, checché ne dica Santanchè. Ecco perché.
Il turismo di massa sta diventando una questione sempre più problematica per tante località europee ed extraeuropee, dove stanno avvenendo diverse proteste da parte dei residenti locali in combinazione con una serie di reazioni da parte delle autorità vigenti. In Spagna, a Malaga, i cittadini hanno manifestato ripetutamente nelle ultime settimane contro la presenza dei turisti, che ha raggiunto un livello insostenibile per la località.
A Barcellona turisti spruzzati con le pistole ad acqua
Altre città si sono unite alle proteste, come Granada, Siviglia, Cadice e Barcellona – dove sabato 6 luglio i residente hanno spruzzato con delle pistole ad acqua i turisti -, sottolineando la deriva presa dalla nazione spagnola, che nel 2024 potrebbe superare i 100 milioni di visitatori. Secondo Curro Machuca, leader del sindacato degli inquilini di Malaga, «le persone che lavorano nel settore turistico non possono permettersi l’affitto nella loro città. Finché l’alloggio sarà visto come un asset commerciale, non ci sarà una soluzione. Riteniamo che basare l’economia di Malaga sulla monocultura del turismo sia insostenibile e debba cambiare». Questa problematica situazione ha spinto il sindaco di Barcellona, Jaume Collboni, ad annunciare che entro il 2028 non saranno rinnovate le licenze per oltre 10 mila appartamenti attualmente affittati a breve termine.
Alcuni rimedi: numero chiuso di ingressi, biglietti per entrare, revoca delle licenze
La reazione di alcune autorità locali spagnole è solo l’ultimo atto di una serie di misure che diversi sindaci e governi europei stanno adottando per regolare i flussi turistici di milioni di persone. Questo è avvenuto soprattutto negli anni post pandemia Covid-19, dove sono state introdotte diverse tasse da pagare per entrare nelle città, un numero chiuso per certi monumenti e centri cittadini, fino ad arrivare alla revoca di determinate licenze per locali e bed & breakfast/hotel. Anche in nazioni extra-europee, come il Giappone, i visitatori devono pagare un biglietto di 2 mila yen (12,40 dollari) a persona per l’accesso al monte Fuji a partire dal mese di luglio. Una misura che si è resa necessaria a causa dell’aumento drastico dei turisti, passati dai 2 milioni del 2012 ai 5 milioni del 2019, che ha finito per creare ingorghi stradali, inquinamento ambientale, disturbo della quiete pubblica e l’esasperazione degli abitanti locali.
Gentrificazione dei vecchi quartieri ed espulsione degli abitanti verso la periferia
L’aumento del turismo di massa ha portato a coniare l’espressione “overtourism”, che è finita al centro di un report dell’europarlamento redatto per analizzare le esternalità negative del fenomeno in atto. Gli imponenti flussi turistici diretti verso le località europee stanno alterando profondamente il tessuto economico locale, con fenomeni di gentrificazione dei vecchi quartieri, l’espulsione degli abitanti verso la periferia, l’aumento generalizzato degli affitti, dei prezzi al consumo e la trasformazione delle città in “parchi turistici” privi di servizi per i cittadini residenti.
Doppio problema: privilegi per piattaforme come Airbnb e sfruttamento dei lavori precari
Inoltre l’industria turistica presenta una caratteristica duale, che privilegia da una parte le piattaforme online come Airbnb, i grandi fondi di investimento e i rentier che possiedono tanti immobili, mentre dall’altra parte vengono creati troppi posti di lavoro precari, stagionali, a basso valore aggiunto, dove si può annidare lo sfruttamento lavorativo privo di tutele e compensi adeguati.
Santanchè vuole far diventare il turismo la prima industria: ma strategicamente è sbagliato
Questo comparto economico in determinati Paesi europei genera un’importante quota del Pil, che nel 2019 era arrivata a contare per il 12 per cento in Spagna, l’8 per cento in Portogallo e il 7 in Grecia. In Italia il settore turistico ha un peso pari al 13 per cento del Prodotto interno lordo, fra contributo diretto e indiretto, con circa 2,7 milioni di occupati che sono pari all’11 per cento della forza lavoro nazionale. Una quota importante che ha portato la ministra del Turismo Daniela Santanchè ad affermare che «il turismo deve diventare la prima industria della nazione».
Una scelta giudicata da diversi analisti ed economisti come strategicamente sbagliata per una nazione industrialmente avanzata. Indirizzare i piani di sviluppo nazionale principalmente verso il turismo potrebbe determinare un generale impoverimento economico, dato il basso valore aggiunto del settore. Nessuna nazione occidentale al di fuori del continente europeo presenta un’elevata incidenza del turismo sul Pil, mentre la direzione presa dai Paesi europei sembra indicare una de-industrializzazione crescente con la perdita dei comparti economici più avanzati, ormai concentrati principalmente in Asia e negli Stati Uniti. Un declino continentale che potrebbe rendere irrilevante l’Unione europea nella corsa verso la frontiera tecnologica.
La nuova classe media africana e asiatica alimenterà il turismo globale
Le misure adottate finora per frenare questa deriva potrebbero rivelarsi insufficienti nei prossimi anni. La crescita economica delle nazioni emergenti sta creando le basi per una classe media africana e asiatica che alimenterà il turismo globale nei prossimi decenni, andando a superare i record del 2019. Questa evoluzione andrà a impattare sicuramente sui Paesi turistici e i territori locali, oltre ad aggravare l’inquinamento ambientale, dato che il turismo è responsabile di circa l’8 per cento delle emissioni di gas alteranti a livello planetario.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link
Informativa sui diritti di autore
La legge sul diritto d’autore art. 70 consente l’utilizzazione libera del materiale laddove ricorrano determinate condizioni: la citazione o riproduzione di brani o parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi qualora siano effettuati per uso di critica, discussione, insegnamento o ricerca scientifica entro i limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all’utilizzazione economica dell’opera citata o riprodotta.
Vuoi richiedere la rimozione dell’articolo?
Clicca qui