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Artigiani della democrazia, con il Vangelo in una mano e la Costituzione nell’altra, per «essere voce che denuncia e che propone».
È l’invito di papa Francesco ai partecipanti alla 50ª Settimana sociale dei cattolici in Italia nel discorso che ha concluso la kermesse, che si è svolta a Trieste dal 3 al 7 luglio, organizzata dalla Conferenza episcopale italiana.
Quattro giorni, che si sono aperti con l’intervento del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e che hanno visto più di 1.200 delegati delle diocesi italiane confrontarsi sul tema “Al cuore della democrazia. Partecipare tra storia e futuro”: riflessioni bibliche, approfondimenti, tavoli di confronto, piazze della partecipazione, convegni, dibattiti e molti eventi correlati organizzati da imprese, categorie professionali, concerti e un grande villaggio, nel cuore di Trieste, con tanti stand di «buone pratiche» provenienti da tutta la Penisola.
Un evento unico mai così sentito e coinvolgente.
L’assunto principale, che ha accomunato tutti gli interventi, è stato quello che «la democrazia non gode di buona salute, altrimenti non saremmo qui a parlarne», come ha detto il cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei. Da qui un rinnovato impegno dei cattolici chiamati ancora una volta ad essere protagonisti nella difesa della libertà, perché è di questo che si parla, e nel proporre segni di speranza.

Il presidente Mattarella ha sottolineato come la democrazia sia un bene prezioso, ma non può trasformarsi in assolutismo della maggioranza, in un esercizio del potere senza limiti. Anche perché non è una conquista acquisita una volta per tutte. Bisogna «battersi affinché non vi possano essere “analfabeti di democrazia”.
Con sicurezza e con un richiamo a figure luminose del cattolicesimo democratico, il Capo dello stato ha intrecciato sapientemente alla trama della storia del Paese e della sua maturazione democratica con il contributo offerto dai cattolici. Ha ricordato come la democrazia non si esaurisca nelle norme di funzionamento, che pure devono essere definite e rispettate, ma nella valorizzazione di un patrimonio di ideali e principi più ampio, rispecchiato nella carta costituzionale: libertà e uguaglianza, centralità delle assemblee elettive, rispetto del dinamismo tra maggioranza e minoranza.
Da Mattarella due richiami: «Occorre attenzione per evitare di commettere l’errore di confondere il parteggiare con il partecipare. Occorre, piuttosto, adoperarsi concretamente affinché ogni cittadino si trovi nelle condizioni di potere, appieno, prender parte alla vita della Repubblica. I diritti si inverano attraverso l’esercizio democratico».
Il Presidente della Repubblica ha poi sottolineato come «oggi constatiamo criticità inedite, che si aggiungono a problemi più antichi» e «la democrazia non è mai conquistata per sempre». “Il succedersi delle diverse condizioni storiche e delle loro mutevoli caratteristiche, ne richiede un attento, costante inveramento. Nella complessità delle società contemporanee, a elementi critici conosciuti, che mettono a rischio la vita degli Stati e delle comunità, si aggiungono nuovi rischi epocali: quelli ambientali e climatici, sanitari, finanziari, oltre alle sfide indotte dalla digitalizzazione e dall’intelligenza artificiale». Da qui anche l’invito a «una più efficace unità europea – più forte ed efficiente di quanto fin qui siamo stati capaci di realizzare – è oggi condizione di salvaguardia e di progresso dei nostri ordinamenti di libertà e di uguaglianza, di solidarietà e di pace».
È stato papa Francesco, dopo tre intensi giorni di lavori dei delegati, ha riprendere le fila e dare indicazioni concrete per «organizzare la speranza».
«Possiamo immaginare – ha detto il Pontefice – la crisi della democrazia come un cuore ferito, infartuato». Ma allo stesso tempo Francesco rilancia: «Appassioniamoci al bene comune», affinché attraverso la partecipazione “la democrazia assomigli a un cuore risanato».
«La pace e i progetti di buona politica possono rinascere dal basso – ha detto il Papa -. Perché non rilanciare, sostenere e moltiplicare gli sforzi per una formazione sociale e politica che parta dai giovani? Perché non condividere la ricchezza dell’insegnamento sociale della Chiesa? Possiamo prevedere luoghi di confronto e di dialogo e favorire sinergie per il bene comune».
In una società complessa non bisogna dunque farsi ingannare da soluzioni facili. E i cattolici in questo senso, ha spiegato Francesco, hanno qualcosa da dire. «Non possiamo accontentarci di una fede marginale, o privata. Ciò significa non tanto pretendere di essere ascoltati, ma soprattutto avere il coraggio di fare proposte di giustizia e di pace nel dibattito pubblico». Soprattutto, aggiunge, «avere il coraggio di fare proposte di giustizia e di pace nel dibattito pubblico. Abbiamo qualcosa da dire, ma non per difendere privilegi. Dobbiamo essere voce che denuncia e che propone in una società spesso afona e dove troppi non hanno voce. Questo è l’amore politico. A questa carità politica è chiamata tutta la comunità cristiana, nella distinzione dei ministeri e dei carismi».
«Se il processo sinodale ci ha allenati al discernimento comunitario, l’orizzonte del Giubileo ci veda attivi, pellegrini di speranza, per l’Italia di domani. Da discepoli del Risorto, non smettiamo mai di alimentare la fiducia, certi che il tempo è superiore allo spazio e che avviare processi è più saggio di occupare spazi. Questo è il ruolo della Chiesa: coinvolgere nella speranza, perché senza di essa si amministra il presente ma non si costruisce il futuro, Vi auguro di essere artigiani di democrazia e testimoni contagiosi di partecipazione».

Tutti gli interventi e i video della Settimana Sociale 

 

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