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diGloria Bertasi

La presidente dell’Ateneo Veneto e il futuro della città: «Overtourism, la soluzione non è far pagare l’ingresso»»

È diventata la prima presidente donna dell’Ateneo Veneto, la più antica istituzione culturale veneziana, nel dicembre 2021 quando ancora le norme anti-pandemia erano in vigore e gli scatti di piazza San Marco deserta continuavano a fare il giro del mondo. Bellunese di nascita, ex presidente del Tribunale di Verona, Antonella Magaraggia ha fatto di Venezia la sua casa e dopo quasi quarant’anni in magistratura (molti dei quali in laguna) ora il suo ufficio è in quel palazzo dalle sale affrescate da Tintoretto, Palma il Giovane, Veronese, Leonardo Corona, Alessandro Vittoria che si affaccia su campo San Fantin. Con dirimpettaio il teatro La Fenice. «Venezia deve avere un futuro», afferma.

Presidente, quale? Patrimonio dell’umanità, Venezia è la città che tutti una volta nella vita vogliono visitare, travolta dalla sua stessa unicità: sempre più turisti, sempre meno abitanti.
«Voglio pensare positivo. All’Ateneo abbiamo inaugurato il ciclo denominato “ATENEOperlaCITTÀ”, dedicato ai problemi della città, con una visione non “piagnona”, ma prospettica e propositiva. Vedo una città con seri problemi, ma che può avere un futuro se si sfruttano gli strumenti che già si hanno e se ne richiedono altri. Faccio un esempio. Uno dei quattro obiettivi della prima Legge speciale, accanto alla salvaguardia, era quello che la Repubblica dovesse “garantire la vitalità socio-economica della città”. Nel corso dei decenni, e non senza ragione, si sono dedicate praticamente tutte le risorse alla tutela fisica di Venezia ottenendo l’“effetto Pompei”: si è salvata la città, ma non i suoi abitanti. Di recente, è stata anche introdotta una norma, di rango costituzionale, che impegna la Repubblica a promuovere le misure necessarie a rimuovere gli svantaggi dell’insularità. Dobbiamo pretendere, perché è possibile, una normativa speciale vista la specialità di Venezia. La città deve fare oggi quello che ha fatto in passato: vedere la sua unicità come risorsa e non come limite».




















































Esodo dei residenti, come frenarlo e invertire la rotta?
«È un fenomeno complesso, dovuto a tanti fattori. I due perni del problema sono: residenzialità e lavoro. Non c’è residenzialità senza lavoro e non c’è lavoro senza residenzialità. Fuggono le persone, i lavoratori. Se si pensa che vivere a Venezia, a una persona sola, costa 1.931,97 euro mensili, il 17,9 % in più rispetto alla media nazionale, e gli stipendi di un dipendente oscillano tra i 1.400 e i 1.500 euro, si comprende come in alcuni servizi pubblici essenziali (sanità, giustizia, istruzione, ndr) vi siano ampie scoperture, dal 30 al 50% rispetto ai fabbisogni lavorativi».

Per favorire l’insediamento di nuovi abitanti si punta alla città campus, ossia agli studenti, cosa ne pensa?
«Gli studenti sono, a oggi, la prospettiva più concreta per invertire la rotta. E intorno alle università si crea un ecosistema di posti di lavoro diverso da quello legato solamente al turismo. Ragionando in termini più ampi di quelli anagrafici, anche gli studenti sono dei residenti, seppure temporanei, e, se trovano adeguate situazioni di lavoro e abitazione, possono decidere di diventare stanziali, come hanno fatto tanti della mia generazione. Dobbiamo aumentare l’offerta formativa facendo nascere altre facoltà e accogliendo sempre di più università internazionali».

Altro fronte, il lavoro oggi quasi unicamente concentrato nel turismo e poco qualificato. Qualcuno dice investiamo nell’artigianato, altri nell’innovazione. Come diversificare l’economia?
«Quelli menzionati sono due settori su cui puntare. Venezia deve cominciare a essere meno vetrina e più laboratorio. Nel campo dell’artigianato abbiamo una tradizione secolare che si sta perdendo o si è già persa. Tuttavia, non basta dire che si deve favorirlo, bisogna farlo nel concreto tra fiscalità agevolata, speciali contratti di lavoro, eccetera. Quanto all’innovazione, grazie al telelavoro, Venezia sarebbe una splendida smart city, attrattiva per come si vive: non ci sono auto, si fa movimento, ci si incontra facilmente. Oggi le persone, soprattutto i giovani, sono molto attente alla qualità di vita e sono flessibili nella collocazione geografica. Le opportunità vanno trovate nel know how, cosa sappiamo fare, e negli spazi, dove lo facciamo. Penso, ad esempio, a quelli dell’Arsenale, dove si potrebbero spostare tante realtà attuando economie di scala».

Affitti, non ne trovano ormai nemmeno a Mestre. Tutto pare destinato ai turisti. Limitare le affittanze brevi? Come incentivare le locazioni residenziali?
«Quanto agli affitti brevi, la parola d’ordine è regolamentazione. Non si può più attendere. Quasi tutte le città europee vi hanno provveduto da anni con un ventaglio di soluzioni molto vario cui poter attingere dal time-cap, alle restrizioni differenziate per zone, agli accordi con le piattaforme, all’obbligo di residenza, ad esempio. Tra l’altro, visto che è passato ormai un decennio e sono stati eseguiti studi, si possono anche verificare gli effetti e optare per la soluzione più efficace e adeguata alla città. Le statistiche ci dicono che la regolamentazione ha funzionato, anche nel volgere di uno o due anni con circa il 30% di alloggi che sarebbero finiti nel mercato degli affitti brevi rimasto in quello delle locazioni a lunga durata».

In Italia però non ci sono norme in materia.
«Anche se manca una legge nazionale, a Venezia si può intervenire ai sensi del cosiddetto emendamento Pellicani. Ora, a ben due anni di distanza, il Comune ha stilato una bozza di Regolamento che ora sta sottoponendo alle categorie. Da quanto si apprende, oltre a censire le affittanze brevi, in buona sostanza, impone l’osservanza di regole di civile convivenza e di norme che già esistono, ad esempio l’identificazione degli ospiti. Mi pare che siamo lontani da quella regolamentazione-limitazione-programmazione che consentirebbe di affrontare realmente il problema. Credo, comunque, che la politica debba giocare tra limitazione e incentivazione. Nel settore privato, invogliando il proprietario, spesso veneziani, ad affittare ai residenti. Ad esempio, a Firenze, si è intervenuti azzerando l’Imu per un determinato periodo. E, nel pubblico, facendo interventi di restauro dell’esistente e creando nuove residenze: gli spazi ci sono».

Si sta concludendo il primo test di gestione dei flussi, con il contributo d’accesso. Sì o no al ticket? E se no, come ridurre il peso del turismo?
«Penso che la soluzione non sia quella di far pagare una somma a chi entra a Venezia, ma di contingentare gli accessi in relazione alle capacità ricettive della città, secondo un programma ragionato, trasparente e adeguato, individuando il numero critico e gestendolo. Il ticket introdotto potrebbe avere un problema simbolico — città che diventa un parco a tema — e costituzionale — limitazione della libertà di movimento —. Staremo, comunque, a vedere i risultati della sperimentazione».

Quale la strada per un futuro da «città vera» e non un museo a cielo aperto?
«Non rimanere fermi e trovare soluzioni, anche di fantasia. Ci vogliono politiche con un lungo respiro e non con quello, asfittico, della tempistica elettorale. La bellezza va coltivata nel tempo e non solamente esibita».

8 luglio 2024

 

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