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In un momento di grave crisi del sistema carcerario italiano, segnato da sovraffollamento cronico, carenze di personale e un’allarmante escalation di suicidi, il governo ha varato un decreto legge che promette di affrontare queste criticità. Purtroppo il bilancio delle persone che si sono tolte la vita in cella dall’inizio dell’anno continua ad aumentare: siamo a 52. Ieri altre tre vittime: un detenuto di 35 anni è morto in ospedale a Livorno, dove era in coma dopo il tentato suicidio avvenuto tra il primo e il 2 luglio. Nel pomeriggio a Pavia e a Sollicciano due ragazzi ventenni si sono tolti la vita, anche loro impiccandosi. Nel carcere fiorentino sarebbero state appiccate anche le fiamme e dalle finestre è stato calato uno striscione sul quale si legge “Suicidio carcere aiuto help”.

Un’analisi approfondita del provvedimento rivela che le misure proposte sono largamente insufficienti e, in alcuni casi, potenzialmente controproducenti. Il decreto, di 16 articoli, si concentra principalmente su tre aree: assunzioni di personale, semplificazione delle procedure per la liberazione anticipata e aumento delle telefonate per i detenuti. Nonostante le buone intenzioni, l’approccio appare miope e incapace di incidere significativamente sulle radici del problema.

ASSUNZIONI: UNA GOCCIA NEL MARE

Il provvedimento prevede l’assunzione di mille nuove unità nel Corpo di Polizia penitenziaria, oltre all’aumento di 20 unità del personale dirigente penitenziario. Sebbene ogni rinforzo sia benvenuto, questi numeri sono drammaticamente insufficienti rispetto alle reali necessità. Come sottolinea Gennarino De Fazio, segretario generale della UilPa Polizia penitenziaria, mancano all’appello oltre 18.000 unità. Inoltre, le tempistiche previste per queste assunzioni ( 500 alla fine del 2025 e 500 alla fine del 2026) rendono l’intervento ancora meno incisivo nell’immediato.

E Patrizio Gonnella di Antigone evidenzia che assumere sempre e solo poliziotti non basta. Sarebbe necessario aumentare anche il numero di educatori, mediatori, assistenti sociali, medici, psichiatri, etno- psichiatri, interpreti e direttori. «Altrimenti trasformiamo le carceri in un luogo di ordine pubblico!», chiosa Gonnella. Ancora più preoccupante è la decisione di ridurre il corso di formazione per gli agenti a soli 60 giorni effettivi, di cui molti in didattica a distanza. Questa scelta, motivata dalla volontà di accelerare l’immissione in servizio, rischia di compromettere la preparazione degli agenti, con potenziali ripercussioni sulla gestione dei penitenziari.

LIBERAZIONE ANTICIPATA: OCCASIONE PERSA

Le modifiche proposte alle procedure per la liberazione anticipata, pur mirando a una semplificazione, non sembrano in grado di produrre benefici sostanziali. Il decreto si limita a intervenire sull’iter burocratico, senza ampliare i criteri di concessione o aumentare i giorni di sconto di pena. In sostanza, si limita a sollevare i magistrati di sorveglianza dalla valutazione periodica dei requisiti per il riconoscimento della liberazione anticipata, che viene posposta a fine pena, come di fatto già accade, con mille problemi per la ricostruzione del percorso detentivo di ogni singolo detenuto. In un contesto in cui il sovraffollamento ha raggiunto livelli insostenibili – con 14.500 detenuti in più rispetto ai posti disponibili – questa misura appare come un’occasione mancata per incidere concretamente sul problema.

L’unica via d’uscita è il provvedimento deflattivo, di aumento dello sconto di pena per buona condotta come proposto dal deputato Roberto Giachetti di Italia Viva e Rita Bernardini di Nessuno Tocchi Caino. Si tratta della liberazione anticipata speciale che prevede lo sconto non più dei 45 giorni di pena per ogni semestre ( come previsto attualmente) per chi ha partecipato all’opera di rieducazione, ma elevato almeno a 60 giorni. Il 17 luglio sarà al vaglio del Parlamento e non tutto è ancora perduto, poiché su questa proposta è arrivato anche il consenso di Forza Italia.

TELEFONATE: UN TIMIDO PASSO AVANTI

L’unico aspetto positivo del decreto riguarda l’aumento delle telefonate concesse ai detenuti (tranne i ristretti con reati ostativi e 4bis), che passano da quattro a sei al mese. Tuttavia, come sottolinea Patrizio Gonnella di Antigone, questa misura è insufficiente per contrastare efficacemente l’isolamento penitenziario e prevenire i suicidi. Sarebbe stato necessario consentire telefonate quotidiane, non una ogni cinque giorni. Il decreto, infatti, non prevede la maggiore liberalizzazione, richiesta da più parti, ma rinvia ad un regolamento, da emanarsi entro sei mesi, per il necessario incremento del numero dei colloqui telefonici settimanali e mensili, ammettendo intanto un’autorizzazione in deroga ai limiti attuali, lasciata ovviamente alla discrezionalità dei direttori.

ALBO DELLE COMUNITÀ: LUCI E OMBRE

Una novità significativa è l’istituzione di un elenco delle strutture residenziali idonee all’accoglienza e al reinserimento sociale di coloro che hanno i requisiti per accedere alle misure penali di comunità. Un vero e proprio albo di comunità adibite alla detenzione domiciliare, che potranno accogliere alcune tipologie di detenuti come quelli con residuo di pena basso, i tossicodipendenti e quelli condannati per determinati reati, e in cui potranno scontare il fine pena. L’intervento va nella direzione di consentire ai molti detenuti, soprattutto stranieri e privi di residenza ufficiale, di avere un luogo per la detenzione domiciliare. L’idea è di affidare alla Cassa delle ammende il finanziamento della collocazione in strutture di accoglienza delle persone indigenti e prive di un domicilio che possano accedere alle misure penali di comunità.

Tuttavia, dovrà essere emanato un ulteriore decreto per definire le modalità, la disciplina e l’aggiornamento dell’albo, nonché i requisiti di qualità dei servizi necessari per l’iscrizione. Si presume che poi ci vorrà un altro lasso di tempo considerevole per permettere alle strutture residenziali di adeguarsi e iscriversi all’elenco. Inoltre, queste strutture dovranno garantire non solo l’accoglienza, ma anche una serie di servizi di assistenza, riqualificazione professionale, reinserimento socio- lavorativo e riabilitazione per i detenuti con determinate problematiche. Tutto ciò solleva forti perplessità sulla reale fattibilità e consistenza di tali strutture. I tempi dilatati e le complesse procedure rischiano di vanificare l’intento originario, e comunque non parliamo di un provvedimento immediato per la riduzione concreta del sovraffollamento e del numero dei suicidi in carcere.

VISIONE LIMITATA DELLA CRISI CARCERARIA

Il decreto evidenzia una visione limitata e inadeguata della crisi carceraria. Concentrandosi quasi esclusivamente sull’assunzione di personale di polizia, trascura altri aspetti cruciali come il potenziamento delle figure professionali dedicate al reinserimento sociale: educatori, mediatori, assistenti sociali, medici, psichiatri. Questa scelta rischia di trasformare le carceri in meri luoghi di contenimento, perdendo di vista l’obiettivo costituzionale della rieducazione.

Le misure proposte, afflitte da “minimalismo” come sottolinea Gonnella di Antigone o come una “metastasi curata con un’aspirina” come dice il sindacalista De Fazio della Uilpa, non sono all’altezza della gravità della situazione. Con 52 suicidi dall’inizio dell’anno e tassi di affollamento elevatissimi, era lecito aspettarsi interventi più coraggiosi e incisivi. Un approccio che non solo non risolverà i problemi esistenti, ma rischia di aggravarli, compromettendo ulteriormente la dignità dei detenuti e le condizioni di lavoro del personale penitenziario.

Di fatto, non emerge nessun provvedimento immediato per la riduzione concreta del sovraffollamento e del numero dei suicidi in carcere, ma alcune norme tecniche di buoni propositi, da attuare nel tempo. E non è nemmeno detto che si concretizzeranno.

 

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