Che il numero delle nuove imprese under 30 in Campania sia il secondo, in termini assoluti, dopo quello della Lombardia è solo l’ultimo dato di una sequenza impressionante di indicatori che in termini di prodotto interno lordo, export manifatturiero, primati turistici, culturali e di servizi segnalano un dinamismo produttivo e una voglia di riscossa che sono da più di quattro anni in qua il tratto costitutivo di questo territorio e della sua comunità.
Che, addirittura, per le nuove imprese agricole in testa alla classifica ci siano le aziende di Campania, Puglia e Sicilia, vuol dire che il fenomeno è più diffuso di quello che si pensi nel nostro Mezzogiorno e che merita di essere conosciuto e sostenuto. Che a San Giovanni a Teduccio all’Academy della Apple, nel campus del polo digitale della università Federico II, quasi uno su due degli studenti arrivi dall’estero e tutti trovino un impiego di qualità all’85% entro il primo anno, significa che il processo di rigenerazione urbana di un’ex area industriale degradata di Napoli non appartiene più al mondo dei sogni.
Prendiamo atto che l’ambasciatore americano in Italia, alla sua seconda visita al Campus, arriva a dire che non sa prevedere né lui né il suo governo quale sarà il settore del futuro, ma che è certo che le donne e gli uomini di questa terra sapranno esserci in modo competitivo. Prendiamo atto che il prossimo step di questa cavalcata nel futuro, affatto scontata e ancora densa di insidie nel suo cammino, è la conquista della fiducia globale per Napoli al punto di convincere una delle Big Tech a fare nella città del futuro del nuovo mondo non più un’Academy, ma un vero e proprio quartier generale della ricerca e dell’innovazione delle multinazionali delle tecnologie.
Questi sono i fatti accaduti, e quelli che devono accadere, che delineano un cambio di paradigma ovviamente da difendere e consolidare, ma che soprattutto impone l’uscita drastica dai pasticci della politica della spesa pubblica che vuole che le imprese e le amministrazioni locali concepiscano il loro futuro dentro l’elargizione del “padrone“ di turno di Ministeri e Regioni della cassaforte di fondi europei e nazionali. Qui, in questo passaggio chiave che ha contraddistinto con rare eccezioni al Nord come al Sud le due ultime stagioni delle programmazioni del Fondo di sviluppo e coesione, “muore” lo spirito di imprenditorialità. Qui, in questo passaggio chiave che diseduca alla cultura della intrapresa e lega la politica e il mondo degli affari in un circolo vizioso, si brucia il futuro produttivo e sociale delle città, in genere dei territori regionali, e complessivamente dell’economia di un Paese.
La nuova legge europea che disciplina l’utilizzo delle risorse comunitarie destinate alla perequazione, fortemente voluta dal ministro Fitto e dalla stessa Commissione europea che ha sempre preferito avere un’interlocuzione unica, rientra in quei processi virtuosi di nuova finanza pubblica della spesa di investimenti che può favorire il rafforzamento dei risultati produttivi e di ricerca, già conseguiti, incidendo sui fattori di contesto ambientale con una visione di lungo termine che è quella che serve.
Va in questa direzione il provvedimento motivato sulla coesione del ministro Fitto che integra una prima parte dell’accordo non definitivo con la Campania. Si tratta di 1,8 miliardi per il finanziamento di impegni di qualità su piani puntuali legati a progetti infrastrutturali di sviluppo del territorio. Si va dall’edilizia pubblica agli interventi di trasporto per fronteggiare l’emergenza Campi Flegrei al completamento dei progetti forti della precedente programmazione elaborati dalle amministrazioni comunali e valutati da chi di dovere a livello centrale, fino a quelli di bonifica ambientale e rigenerazione urbana del comprensorio Bagnoli-Coroglio. Altro dovrà arrivare con i medesimi criteri, a partire dall’esigenza di tutelare e valorizzare i beni culturali.
Lo stesso è già accaduto per 18 Regioni italiane, con amministrazioni di diverso colore politico e i singoli ministeri coinvolti. Tutti i soggetti interessati hanno accettato che la stagione dell’assegno in bianco a chi guida ministeri e amministrazioni regionali, che poi ripartiscono le risorse come meglio credono, è finita per sempre. Perché la scelta di sviluppo deve avvenire prima in un contesto generale di programmazione e di priorità concordate a livello centrale e territoriale. Perché nella stagione di prima, peraltro, molte di quelle risorse andavano perse o sprecate. Questo l’Europa non lo accetta più. Questo, soprattutto, non serve. Anzi, rischierebbe di fare molto male al nuovo Mezzogiorno e al cambio di paradigma che va difeso, sostenuto e rafforzato con una fiducia contagiosa. Questo è lo spirito nuovo dei nostri tempi che ci permette di dire che il futuro è qui e guai a noi se ce lo dimentichiamo. Anche per un solo momento.
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