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L’Europa si è finalmente accorta che oltre all’euro, serve una politica industriale. Ha capito che non ha brevetti sulle tecnologie di punta del futuro, ha capito che non ha le materie prime per tali tecnologie. Un continente marginale nell’innovazione strategica, destinato ad esserlo sempre di più.

Da qui il varo nei mesi scorsi del Critical raw material act, recentemente acquisito nella normativa italiana da uno specifico decreto legge.

In altri contributi su greenreport abbiamo analizzato i contenuti di queste normative. Proviamo a fare una sintesi.

La strategia europea (e quindi italiana) punta su due pilastri per superare una eccessiva dipendenza dall’importazione di materie prime critiche da paesi a rischio: l’aumento della produzione interna di questi materiali e l’aumento dell’estrazione dai flussi di riciclo. Entrambi sfide che impattano sulle politiche territoriali e dei rifiuti.

L’aumento della estrazione si fa aprendo nuove miniere, parola antica a cui non siamo più abituati. Il ministero delle Imprese ha individuato le prime potenzialità, non piccole, e punta ad una semplificazione delle procedure di autorizzazione.

La Toscana è una delle regioni con potenzialità elevate in diverse filiere (vedi cartina). Riusciremo a far partire i progetti? L’obiettivo europeo è arrivare al 10% di produzione interna di materie prime critiche e per farlo servirà il contributo di tutti i paesi membri. Il decreto legge punta molto sul potenziamento dell’estrazione e dice poco sul riciclo.

L’aumento del riciclo si fa potenziando raccolta, selezione e recupero di materiali dai rifiuti elettrici ed elettronici  (Raee), ovvero dalle batterie e dai rifiuti derivanti dalle sostituzioni di tecnologie delle fonti rinnovabili: pannelli fotovoltaici, pale eoliche. L’obiettivo europeo è arrivare al 15% di materie prime critiche provenienti dai processi di riciclo interno. Ad oggi le notizie non sono buone. Il tasso di raccolta e riciclo dei Raee in Italia è più basso dei target di legge e in riduzione; per il resto siamo alle prime sperimentazioni.

Fortunatamente in Toscana qualcosa si muove. Nei progetti Pnrr, Alia  Multiutility si è vista aggiudicare un finanziamento per un impianto di smontaggio e avvio a recupero dei Raee, hub di filiera importante, che potrebbe dare slancio alla necessità di migliorare il tasso di recupero  di questo flusso di rifiuti. Un impianto per 65.000 tonnellate di rifiuti elettrici ed elettronici la cui partenza è programmata per il primo semestre del 2026.

Il gruppo Iren (Valdarno Ambiente) sempre in Toscana si è aggiudicato il bando Pnrr: l’impianto è in costruzione e sarà inaugurato a fine 2024, per 350 tonnellate di schede Raee (più o meno la quantità di schede raccolte adesso in Toscana). Da questo impianto si otterranno rame e palladio, come materiali critici, ma anche oro e argento.

I due impianti di Alia e Valdarno Ambiente sono un modello interessante di simbiosi: nel primo avviene la fase di smontaggio e valorizzazione, nel secondo si estraggono i materiali rari. Un pezzo di politica industriale atterra in Toscana.

C’è poi un progetto per il recupero dei materiali rari dai pannelli fotovoltaici dismessi, in fase di realizzazione da parte della società Semia Green (gruppo Iren) e che partirà, in una prima linea di 2.500 tonnellate a gennaio 2025, una seconda linea prevista subito dopo di uguale capacità. Un impianto di recupero da cui si estrarranno come materiali critici rame e alluminio (ma anche vetro e silicio).

Ci sono poi sperimentazioni interessanti in corso: per il recupero del litio dalle batterie, del neodimio dei magneti, del tantalio dai condensatori: Sperimentazione, che potrebbe portare ad un progetto industriale. Così come si sta studiando la filiera del recupero del litio dalle salamoie della geotermia.

Se il Pnrr ha attivato in Toscana progetti industriali seri, il giudizio degli operatori sul decreto nazionale attuativo è di delusione. Un provvedimento che non stimola le attività di riciclo, mancando una struttura di incentivi capaci di orientare gli investimenti nel settore, caratterizzato da alti costi e basse rese.

Il provvedimento rischia inoltre di rendere la promessa semplificazione autorizzativa una complicazione: non si capisce ancora se il punto unico nazionale per le autorizzazione sostituisca in toto il processo autorizzativo regionale, oppure se sarà un raddoppio destinato ad allungare i tempi.

Il decreto poi non prevede niente sulla tracciabilità dei flussi di recupero, e rinuncia ad una azione forte di creazione del mercato italiano di una filiera industriale evoluta nazionale. Oggi il 95% delle schede Raee va all’estero (non solo in Europa, ma anche negli Stati Uniti, est Europa, Giappone, Cina).

Ci sono grandi spazi per lo sviluppo di un mercato nazionale, che andrebbe incentivato e che potrebbe portare agevolmente al raddoppio degli attuali quantitativi gestiti.  Poi ci sono le drammatiche criticità nella fase di raccolta dei Raee, scesa nel 2023 del 7% rispetto al 2022. Se da un lato sembrano funzionare i centri di raccolta pubblici, la linea di recupero interna ai circuiti commerciali non decolla.

Un fallimento che testimonia di una assenza di policy nazionale da un lato e di una fragilità grande del sistema industriale del recupero, fatto da aziende piccole, più orientate al trading che alla crescita industriale.

Insomma le buone intenzioni europee in termini di sviluppo di una filiera continentale delle materie prime critiche e strategiche devono trovare ancora una adeguata road map nelle politiche industriali nazionali. Ma qualcosa si muove, soprattutto in Toscana.

 

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